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La guerra a Gaza

Tregua e rilascio di ostaggi, più vicino l'accordo Israele-Hamas

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Mancherebbero pochi dettagli per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Sia Biden che Trump premono su Netanyahu perché concluda l’intesa. La bozza prevede lo scambio di prigionieri e una tregua, di almeno 42 giorni, in tre fasi.

Esteri 15_01_2025
Manifestazioni a Tel Aviv, 11/01/2025 (Ap via LaPresse)

Il cessate il fuoco tra Israele e il gruppo terroristico di Hamas sembra ormai cosa fatta. Nel momento in cui scriviamo, mancano piccoli dettagli, che dovrebbero essere risolti nel giro di poche ore. «Abbiamo superato le principali divergenze. Questo è il punto più vicino a un accordo che abbiamo raggiunto negli ultimi mesi» ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri del Qatar.

La pressione politica sul primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e sul numero uno di Hamas, Mohammed Sinwar, si fa, ora dopo ora, sempre più stringente. In particolare, da parte americana, sia Joe Biden, presidente uscente, che Donald Trump, presidente entrante, vogliono mettere la parola fine a questo conflitto. A rimuovere gli ostacoli sarebbe stato il faccia a faccia tra l’inviato del neopresidente degli Stati Uniti, Steve Witkoff, e Brett McGurk, l’inviato di Biden, con Netanyahu. «Siamo vicini ad un accordo che potrà concretizzarsi questa settimana. Non sto facendo una promessa o una previsione, ma è lì per essere realizzato, e siamo in grado di lavorare perché ciò accada», ha aggiunto Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, dopo un lungo colloquio telefonico tra il primo ministro israeliano e l'emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani.

Hamas, da parte sua, avrebbe accettato, riconoscendo che i colloqui hanno fatto dei progressi su alcune delle questioni controverse che sono state discusse più volte nel corso di questi 15 mesi di guerra. «I negoziati su alcune questioni fondamentali hanno registrato dei notevoli miglioramenti e stiamo lavorando per concludere presto ciò che resta», ha detto un funzionario del gruppo.

Dal 7 ottobre 2023, da quando sono iniziate le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza in risposta all'attacco di Hamas, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute di Gaza, i morti hanno raggiunto quota 46.645, mentre i feriti sono 110.012. Una scia di morte che non si ferma.

Nel frattempo, all’interno della coalizione del governo israeliano le acque sono agitate. Netanyahu sta affrontando notevoli pressioni da parte dei ministri dell’estrema destra, che lo hanno minacciato di abbandonare l’esecutivo, nel caso si arrivasse ad un accordo con Hamas, nonostante le assicurazioni del primo ministro di conservare, da parte di Israele, il controllo militare su Gaza anche all'infuori di qualsiasi accordo. Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, a capo di uno dei partiti religiosi ultranazionalisti, e il più intransigente della coalizione di governo, ha affermato che in Qatar si sta definendo un accordo che è una «catastrofe per la sicurezza nazionale».

Su alcune richieste del gruppo terroristico, comunque, Israele non cede. Il governo Netanyahu difende il veto al rilascio di dieci detenuti, tra cui Marwan Barghouti, capo dell’ala militare di Fatah, e Ahmad Saadat, responsabile del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, che progettò l'assassinio del ministro israeliano, Rehavam Zeevi, nel 2001, insieme ad alti membri militari di Hamas e della Jihad islamica. Israele avrebbe però accettato di rilasciare mille prigionieri palestinesi, durante la prima fase, tra cui circa 190 che stanno scontando condanne di 15 o più anni.

La tregua avrebbe una durata di almeno 42 giorni ed è divisa in tre fasi. Nella prima, Hamas dovrebbe rilasciare 33 ostaggi già il primo giorno dell'accordo di cessate il fuoco; mentre Israele rilascerà 50 prigionieri palestinesi, tra cui 30 prigionieri che stanno scontando l'ergastolo, per ciascuna delle cinque donne-soldato prese in ostaggio. Dopodiché l’esercito israeliano dovrebbe iniziare a ritirare le sue forze dalle aree più popolate della Striscia. Si ritiene che 94 dei 251 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre siano ancora a Gaza, compresi i corpi di almeno 34 persone la cui morte è stata confermata dalle forze di difesa israeliane (Idf).  La seconda fase, che avrà inizio il 16° giorno dell’accordo, esigerà ulteriori negoziati basati sul rilascio di tutti i civili e dei soldati rimasti. Infine, la terza fase, con gli accordi a lungo termine per la creazione di un governo alternativo nella Striscia.

La bozza dell’accordo è stata discussa ieri, prima dai servizi segreti israeliani, poi sottoposta all’approvazione del governo. Netanyahu l’ha illustrata anche al comitato delle famiglie degli ostaggi e ha dato contemporaneamente disposizioni per predisporre quanto serve per accogliere gli ostaggi, naturalmente, mobilitando gli ospedali. Anche al gruppo dirigente di Hamas è stata recapitata la bozza di questo possibile accordo. Accordo che dovrà essere approvato in modo definitivo da Mohammed Sinwar, fratello di Yahya, ucciso tre mesi fa dalle forze israeliane, la cui salma è reclamata dal gruppo, ma che Israele non intende riconsegnare: «Non succederà, punto e basta!», avrebbe detto Netanyahu.

Si tratta di un’intesa che porterà realmente alla pace? I dubbi, stando alle dichiarazioni di ambo le parti, sono tanti. Netanyahu ha fatto sapere che la sua campagna contro il gruppo terroristico andrà avanti fino a quando il movimento islamista non sarà completamente eliminato. Hamas risponde che, dopo la liberazione dei primi ostaggi, gli altri prigionieri ritorneranno liberi solamente alla fine definitiva del conflitto. Infatti, gli attori coinvolti nella trattativa non hanno mai parlato di un cessate il fuoco permanente, ma di una sospensione temporanea dei combattimenti, in modo da consentire alle organizzazioni umanitarie di distribuire viveri e beni di prima necessità. Infatti, a Gaza le incursioni aeree e le bombe continuano, ogni giorno, a mietere vittime.

Non c’è, infatti, alcuna certezza sulle modalità e sull’entità di un ritiro dei soldati israeliani. È stato lo stesso Netanyahu a ribadirlo. La richiesta di Hamas del ritiro dei soldati israeliani dal Corridoio Filadelfia, una striscia di terra della lunghezza di 14 chilometri che divide Gaza dal deserto egiziano del Sinai, rimarrà molto probabilmente inascoltata. E lo stesso accadrà per il Corridoio Netzarim che separa il Nord dal Sud della Striscia: anche di quel luogo si è discusso e l’intesa prevederebbe un graduale ritiro dei soldati, esclusa una presenza minima per la sicurezza; in sostanza, per controllare i palestinesi di ritorno verso le zone settentrionali.

La diplomazia è in pieno fermento. Ieri il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, in missione a Roma, era accompagnato da alcuni familiari di cinque ostaggi detenuti nella Striscia. Mentre il responsabile degli Esteri era a colloquio con il segretario per i Rapporti con gli Stati del Vaticano, monsignor Paul Richard Gallagher, il Santo Padre ha incontrato i familiari degli ostaggi. Non è la prima volta che papa Francesco incontra le famiglie di prigionieri israeliani nelle mani di Hamas.