Tre milioni di disperati in arrivo. Come controllarli?
I ministri degli Interni dell’Unione europea si sono riuniti a Amsterdan per discutere la revisione di Schengen. Allo studio la proposta di creare un corpo europeo di guardie di frontiera con cui gestire i flussi migratori in arrivo e la possibilità estendere i controlli alle frontiere interne fino a due anni.
I ministri degli Interni dell’Unione europea si sono riuniti a Amsterdan per discutere il rafforzamento delle frontiere esterne allo spazio di Schengen ma il futuro stesso di Schengen è in forse. Già l’Ungheria ha recintato i propri confini con la Serbia, la Croazia e la Slovenia e alcuni altri stati hanno ripristinato dei controlli alle frontiere.
Per chi non lo ricordasse, il trattato di Schengen ha creato una zona di libera circolazione entrata in vigore progressivamente a partire dal 1995, in seguito a un accordo concluso da un gruppo di Stati europei nel 1985. Vi aderiscono al momento 26 Paesi, 22 dei quali membri dell’Unione europea. All’interno dello spazio di Schengen sono stati aboliti i controlli alle frontiere. A tal fine i Paesi membri si sono impegnati a collaborare per rendere possibile alle forze di polizia interventi coordinati e, se necessario, oltre i confini dei rispettivi Paesi, per lottare contro la criminalità organizzata (ad esempio trafficanti di droga, armi, uomini...), per integrare le banche dati delle singole forze di polizia e per rafforzare i controlli alle frontiere esterne.
I ministri degli Interni europei al vertice di Amsterdam sono chiamati a pronunciarsi sulla proposta della Commissione Europea di riorganizzare Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, di creare una nuova Guardia europea costiera e di frontiera con un mandato più forte. Ma il rafforzamento di Frontex non risolve il problema di fondo che è il continuo afflusso di persone provenienti da tutto il mondo, decise a varcare i confini europei a qualsiasi costo. È un fenomeno che 20 anni fa, quando lo spazio di Schengen è nato, non si poteva prevedere. Quando ha iniziato a manifestarsi, e ormai sono trascorsi diversi anni, i governi europei e l’Unione Europea ne sono stati travolti.
Non si potevano prevedere 20 anni fa conflitti così vicini all’Europa che rendono profughi milioni di persone, con pieno diritto di chiedere asilo e di essere ospitate. Non si poteva prevedere neanche la fine del regime del colonnello Gheddafi che ha fatto saltare gli accordi con l’Italia grazie ai quali la Libia monitorava le proprie coste per impedire il contrabbando di persone provenienti dall’Africa e dirette in Europa e che inoltre ha indotto centinaia di migliaia di africani immigrati in Libia a imbarcarsi alla volta dell’Italia. Né si poteva prevedere che milioni di giovani, soprattutto africani, spinti non dalla fame né dalla guerra, ma dal miraggio di una vita più facile, decidessero di lasciare clandestinamente i loro Paesi e disponessero del denaro necessario per farlo.
Irresponsabilmente si sono accolti e si continuano ad accogliere emigranti da tutti i Continenti senza un pensiero per il danno economico, culturale e sociale che deriva ai loro Paesi d’origine dall’esodo di così tanti giovani e senza valutare l’effettiva capacità di integrazione economica e sociale dei Paesi di destinazione: invocando un dovere illimitato di accoglienza che anzi si vuole estendere a chiunque per qualsiasi motivo lasci il proprio Paese. Come se non bastasse, e nemmeno questo si poteva prevedere nel 1995, l’Islam fondamentalista ha dichiarato guerra all’Occidente e la combatte mettendo a segno attentati terroristici anche nel cuore del Continente europeo. Proprio quando il controllo delle frontiere è diventato cruciale, indispensabile per difendere i cittadini europei dal jihad, il flusso enorme di profughi e di emigranti irregolari rende estremamente difficile individuare i combattenti di al Qaeda e dell’Isis che tentano di entrare in Europa.
Profughi ed emigranti continuano ad arrivare. Dall’inizio dell’anno già più di 30.000 hanno raggiunto via mare la Grecia dalla Turchia. Nel 2015 sono entrate in Europa più di un milione di persone. Nel 2016 potrebbero essere ancora di più. Lo scorso novembre la Commissione Europea, in base a dati forniti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha aggiornato le previsioni relative ai flussi migratori verso l’Europa occidentale portando a tre milioni il numero di persone che entro il 2017 arriveranno in Europa, in gran parte attraversando il Mediterraneo. Non si fermerà l’esodo dalla Siria, si prevede, e, come negli ultimi anni, altri profughi arriveranno da Iraq, Afghanistan, Eritrea e Somalia, teatro di guerre e di violazioni estreme dei diritti umani.
La maggioranza dei profughi e degli emigranti si dirige verso la Germania. Ma sono i Paesi periferici meridionali, l’Italia e la Grecia, a sopportare la pressione maggiore alle loro frontiere. I centri di accoglienza sono sovraffollati di richiedenti asilo, gran parte dei quali mancano dei requisiti necessari per ottenere lo status di rifugiati, ma devono essere ospitati per tutto il lungo periodo di tempo necessario all’espletamento della loro pratica. Il progetto di ridistribuzione degli emigranti tra i Paesi dell’Ue per alleggerire Italia e Grecia del peso dell’accoglienza si è finora tradotto solo nel trasferimento di piccoli gruppi di persone e diversi Stati lo hanno respinto.