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ESEMPI

Tre coppie di santi per riflettere

I Beltrame Quattrocchi, la famiglia di Luigi e Zelia Martin, Ulisse e Lelia Amendolagine: tre esempi diversi che ci mettono davanti il primato di Dio, che offre la luce per giudicare tutti i problemi che si possono incontrare. Proprio lo sguardo che siamo chiamati a imitare.

Famiglia 17_10_2014

L’uomo è anima e corpo, non è un semplice animale, ma un particolarissimo essere che grazie a intelletto e volontà si alza in piedi e, in un certo senso, sovrasta l’universo. Fa cose grandi, cose da uomo. In questo suo sporgersi “verso l’infinito e oltre”, come dice anche un giocattolo di un noto cartoon disneyano, l’essere umano cerca un senso, al tutto e a sé. Come diceva Pascal vi sono solo due categorie di uomini ragionevoli: “quelli che servono Dio con tutto il cuore, perché lo conoscono, o coloro che lo cercano con tutto il cuore, perché non lo conoscono.” Fra Dio e uomo, e così fra Dio e famiglia, diceva Benedetto XVI, esiste un nesso imprescindibile.

Il Sinodo che sta tentando di aprire nuove strade pastorali in tema di famiglia e dintorni, non può dimenticare queste considerazioni. Le stesse che S. Giovanni Paolo II esprimeva in Familiaris consortio, cose che non passano, cose che restano vere al di là delle mode. Incontrare il Figlio di Dio fatto uomo e aderire a Lui non è solo mettersi su di un graduale cammino, ma è una tensione verso la perfezione che è del Padre. Non è uno svuotamento della necessità della fede, ma una decisione fondamentale della vita. Un cammino verso la santità, una chiamata universale che riguarda anche i coniugi. E, infatti, la chiesa ha beatificato coppie di sposi.

Maria Beltrame Quattrocchi, che insieme al marito Luigi ha costituito la prima aureola per due, scriveva che il matrimonio è come l’intreccio di ordito e trama. L’affetto, l’indissolubilità, la passione, nel loro quotidiano ricevono forza e significato dalla prospettiva dell’eternità. Questa è una pastorale della santità coniugale che alza l’asticella “verso l’infinito e oltre”, un’alternativa al tran tran del mondo che gioca al ribasso in tema di impegni e promesse, di sessualità e procreazione.

La proposta è quella di una valida medicina alla malattia del secolo, quella dell’ipertrofia dei sentimenti che esaurisce tutto il desiderio nella “carne”. Invece, perché l’eros smetta di essere fitness e torni ad essere vero amore fisico bisogna che il naturalem desiderium dell’uomo non perda la sua stella polare, cioè quel rapporto con Dio che è il chiodo a cui attaccare tutto il resto.

“Tutto per la maggior gloria di Dio” amava ripetere il Beato Luigi Martin, il papà di S. Teresa di Lisieux. A casa sua, insieme alla beata moglie Zelia, Dio era sempre il primo a essere servito, in modo che anche gli avvenimenti della vita erano osservati con una luce soprannaturale. “Mio padre e mia madre – testimonia la figlia maggiore – avevano una fede profonda e, sentendoli parlare insieme dell’eternità, ci sentivamo disposte, pur così giovani come eravamo, a considerare le cose del mondo come pura vanità”.

Allora anche la fila al supermercato, andare in vacanza, lavorare, mettere al mondo dei figli, innamorarsi, accettarsi per quel che si è, tutto prende un’altra prospettiva. Eppure gli uomini oggi ignorano Dio in massa. Per questo le ricette del Sinodo proposte nella sua Relatio post disceptationem sembrano un po’ decentrate, un po’ periferiche rispetto al misericordiosissimo problema dell’assenza di Dio. Perché, diceva Guareschi, “chi ignora Dio è il cieco che non vedrà mai la luce”.

Ulisse Amendolagine, che insieme alla moglie Lelia è oggi incamminato verso la santità, ricordava che “se tutta l’umanità si raccogliesse intorno agli Altari, chi sa cosa avverrebbe. Ma gli uomini hanno alla loro portata il Signore dell’universo e non ne approfittano! Pensano ad altro e restano immersi nelle loro miserie. Però hanno torto. Giacché dato che esiste Dio e che le anime sono immortali, mi sembra che non ci sia altro da fare che stare in adorazione perpetua davanti ai Tabernacoli.” Un programma pastorale di tutto rispetto, molto meno clericale di quanto si potrebbe pensare.

Qui si afferma un primato di Dio che non esclude, ovviamente, possibili temi di carattere sociologico o psicologico, ma senza il quale qualsiasi altro discorso resto appesa al nulla delle mode culturali e perfino teologiche.

Le coppie di sposi che la Chiesa ha messo sugli altari non sono l’ennesimo santino, ma una prospettiva concreta per tanti laici cattolici che non sono S. Francesco di Assisi, né S. Tommaso d’Aquino, per dire loro che c’è una via quotidiana, familiare, rivolta “verso l’infinito e oltre”.

"Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione", secondo il titolo che si è dato il Sinodo 2014, non possono dimenticare che tra eclissi di Dio e crisi della famiglia c’è un nesso fondamentale. I diritti di Dio vengono prima di qualsiasi altro diritto. Anche così si possono curare le ferite della famiglia. Anzi solo così, perché, concludeva Guareschi, “non potrà mai vivere da uomo giusto chi ignora Dio, perché chi ignora Dio non è un uomo”.