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IL CASO

Travet di giorno, escort di notte. Ma guai a licenziarlo

Di giorno faceva l'impiegato in Provincia, di notte il doppio lavoro di prostituto. Con tanto di pubblicità sui siti hard. Licenziato dall'amministrazione per "indegnità morale", lui ha fatto ricorso e ha ottenuto dalla Cassazione il reintegro perché prostituirsi è «un'abitudine sessuale» coperta dalla privacy.

Politica 12_10_2014
Per i giudici prostituirsi è un affare coperto dalla privacy

Con sentenza n. 21107 la Prima sezione civile della Corte di Cassazione ha dato torto alla Provincia di Verbania e ragione al dipendente da essa licenziato. Leggendo il report dell’agenzia AdnKronos del 7 ottobre, lì per lì viene da approvare incondizionatamente: la Corte ha sancito che le abitudini sessuali delle persone sono fatti privatissimi e tali devono restare. Oh, yeah, dammi il cinque. Solo che, continuando a leggere, il cinque resta a mezz’aria perché il caso specifico su cui era chiamata a pronunciarsi la Corte con l’ermellino è davvero singolare. 

Riassumo: a fine 2011 la suddetta Provincia piemontese era stata squassata da un affaire che aveva messo in subbuglio gli austeri uffici. Qualcuno aveva fatto sapere ai responsabili dell’Ente che a una delle sue scrivanie sedeva un signore col doppio lavoro. Ora, un dipendente pubblico che fa una cosa del genere deve almeno informarne l’Ente, dicono le norme. Il che non era stato fatto. E non era stato fatto anche per la particolare natura della seconda attività del dipendente in questione: la prostituzione. Detta attività, tuttavia, la Provincia era tra i pochi a non conoscere, visto che veniva pubblicizzata sui siti di incontri hard. L’Ente, appena informato, si era sentito in dovere di andare a verificare ed aveva constatato che, ahimè, era tutto vero. Comprensibilmente indignato l’Ente aveva provveduto a cacciare il dipendente che col suo comportamento ne aveva leso l’immagine e il decoro. 

Il licenziato, sapendo che in Italia la cosa più incerta è la certezza del diritto, aveva però adito il tribunale del lavoro al grido di: cosa faccio nel tempo libero sono fatti miei, come si permette l’amministrazione provinciale di attentare alla mia privacy? Ma nel 2012 il giudice gli aveva dato torto, poiché la Provincia, raccogliendo informazioni su di lui in rete, l’aveva fatto nel pieno rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003 che regola il trattamento dei dati sensibili finalizzati alla gestione del rapporto di lavoro. Così, nessuna lesione della privacy, in quanto la raccolta dei dati «era volta ad acquisire non già elementi relativi all'orientamento sessuale del dipendente, ma alla prova della denunciata pubblicizzazione dell'attività di prostituzione ritenuta lesiva dell'immagine dell'Ente». 

Judex locuto, causa finita? Macché. Com’è noto, nei moderni ordinamenti i gradi di giudizio non sono due ma tre, anzi quattro (c’è la Corte costituzionale), cinque (la Corte europea), sei (il Tribunale dei diritti umani) e così via, per la gioia di avvocati e Garanti. Infatti, l’impiegato a cui il suo dirigente aveva applicato la sanzione della destituzione perché con «l’offerta di prestazioni sessuali a pagamento» inserita sui siti per escort danneggiava «l’immagine della Provincia», non si è dato per vinto e ha investito del suo doloroso caso il Garante della Privacy. Questi, sdegnato per l’ingiustizia subita dall’impiegato-escort, ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che: come si permette un datore di lavoro di andare a scrutare la vita sessuale dei suoi dipendenti? E la Cassazione gli ha dato ragione. Prostituirsi con tanto di pubblicità e cartellino del prezzo è un’«abitudine sessuale» privatissima su cui non è lecito a chicchessia mettere becco. 

Okay, riprendiamoci il cinque. Lì per lì vien da pensare a Berlusconi, la cui «vita sessuale» è stata intercettata, indagata, fotografata, processata in lungo e largo con clamore planetario, una neverending story che tuttora perdura. Ma la vera domanda, in questo Paese, è un’altra: che cosa deve fare uno per farsi licenziare? C’è un film degli anni Settanta con Elliot Gould intitolato L’impossibilità di essere normale. Val la pena di riguardarlo e rifletterci sopra. Ma soprattutto merita il répechage  il romanzo scandinavo L’uomo che voleva essere colpevole di Stangerup Henrik, pubblicato da Iperborea nel 1973. Ed ecco un’altra domanda: si può fare un’indagine sul grado odierno di fiducia degli italiani nella magistratura senza che l’indagatore e il committente finiscano nei guai? Terza e ultima domanda: facendo domande del genere correrò rischi io?