Tratta e migranti, le meditazioni delle polemiche
Affidate a suor Eugenia Bonetti, le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo hanno da una parte fatto conoscere meglio la realtà della tratta degli esseri umani, ma dall'altra hanno creato polemiche per i giudizi eminentemente politici che vi erano contenuti.
“Vorremmo ricordare la storia della piccola Favour, di 9 mesi, partita dalla Nigeria insieme ai suoi giovani genitori in cerca di un futuro migliore in Europa. Durante il lungo e pericoloso viaggio nel Mediterraneo, mamma e papà sono morti insieme ad altre centinaia di persone che si erano affidate a trafficanti senza scrupoli per poter giungere nella “terra promessa”. Solo Favour è sopravvissuta: anche lei, come Mosè, è stata salvata dalle acque. La sua vita diventi luce di speranza nel cammino verso un’umanità più fraterna”.
Con queste parole, seguite da una preghiera al Signore affinché nessun suo figlio sia trattato più come schiavo, si sono concluse le meditazioni per le stazioni della Via Crucis al Colosseo. Quest’anno papa Francesco ha voluto che a scriverle fosse suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata e presidente di “Slaves no more”, un’associazione impegnata nella denuncia della tratta come crimine contro l’umanità. E la storia di alcune donne vittime di questo tragico fenomeno è stata raccontata durante il venerdì santo.
La tratta di esseri umani è una delle forme di schiavitù moderne più diffuse, tanto da coinvolgere più di 40 milioni di persone nel mondo. Quello dello sfruttamento sessuale è sicuramente l’ambito più conosciuto e frequente del fenomeno soprammenzionato. In Italia sono più di 70 mila le donne ridotte in schiavitù dai “mercanti di carne umana”, la maggior parte delle quali di nazionalità nigeriana: giovane e giovanissime attirate nel Belpaese con la promessa di un buon lavoro e costrette a vendere il proprio corpo sui marciapiedi e negli appartamenti, molto spesso sotto la minaccia di ritorsioni contro le famiglie d’origine. I clan criminali che gestiscono questi racket non temono di utilizzare anche l’”arma” dei riti voodoo per tenere sotto ricatto quelle che sono delle vere e proprie schiave contemporanee.
Le meditazioni della Via Crucis di ieri hanno permesso di far conoscere in maniera più approfondita al grande pubblico il dramma vissuto da tante di loro, ma hanno anche provocato polemiche per alcuni passaggi che sono suonati come troppo strettamente legati all’attualità politica. Il tema dei migranti, infatti, è stato l’altro protagonista dei testi scritti da suor Eugenia Bonetti in cui non è mancato più di un riferimento critico alle “politiche esclusive ed egoiste”, giudicate la causa dell’indifferenza che condanna a morte “giovani vite”. Presente anche un ringraziamento a “coloro che con ruoli diversi, in questi ultimi mesi, hanno rischiato la loro stessa vita, particolarmente nel Mar Mediterraneo, per salvare quella di tante famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità”.
Al contrario, la religiosa se l’è presa, poi, con l’ipocrisia di chi si dichiara cattolico, utilizzando un leit-motiv caro anche a papa Francesco: “E’ facile portare il crocifisso al collo o appenderlo come ornamento sulle pareti delle nostre belle cattedrali o delle nostre case, ma non è altrettanto facile incontrare e riconoscere i nuovi crocifissi di oggi”; tra questi, suor Eugenia Bonetti ha approfondito in modo particolare la condizione degli “immigrati costretti a vivere nelle baracche ai margini della nostre società, dopo aver affrontato sofferenze inaudite”. “Purtroppo – ha osservato nel testo - questi accampamenti, senza sicurezza, vengono bruciati e rasi al suolo insieme ai sogni e alle speranze di migliaia di donne e uomini emarginati, sfruttati, dimenticati”. Una condizione di discriminazione che, secondo la missionaria, vivrebbero anche tanti bambini “esclusi dalle opportunità dei loro coetanei e compagni di scuola” a causa della loro provenienza.
Nelle riflessioni sui momenti della passione di Gesù, è comparso, inoltre, un invito ad adottare un determinato approccio in materia di accoglienza: “il povero, lo straniero, il diverso non deve essere visto come un nemico da respingere o da combattere ma, piuttosto, come un fratello o una sorella da accogliere e da aiutare. Essi non sono un problema, bensì una preziosa risorsa per le nostre cittadelle blindate dove il benessere e il consumo non alleviano la crescente stanchezza e fatica”.
Affermazioni che sembrerebbero travalicare il tema delle donne vittime della tratta e potrebbero essere trascinate nell’agone del dibattito politico. In un’intervista di alcuni mesi fa, padre Evaristus Bassey, direttore della Caritas nigeriana, ha raccontato il suo impegno in patria atto a dissuadere queste ragazze dal proposito di partire verso l’Europa, ammaliate dalle tragiche promesse di mercanti di morte intenzionati a lucrare sulla vendita del loro corpo agli uomini occidentali. In effetti, la politica delle “porte aperte” sempre e comunque, difficilmente si concilia con il contrasto del fenomeno della tratta. Per provare a mettere fine al calvario di così tante giovani contemporanee, invece, potrebbe essere più efficace il supporto al lavoro quotidiano delle Chiese locali o degli enti ad esse collegati, come la Caritas guidata da padre Bassey. Grazie a loro, infatti, testimonianze drammatiche come quelle ascoltate durante la Via Crucis di ieri vengono fatte arrivare tutti i giorni, in lingua locale, anche nei villaggi poveri da cui partono le future vittime del racket. Probabilmente è questo, insieme all’investimento sull’istruzione, il miglior disincentivo per impedire ai mercanti di carne umana di calpestare la “centralità dell’essere umano”.