Tragedia in Oregon, una guerra contro i cowboy
Una famiglia di ranchers non vuole vendere la sua terra al governo, per un incendio padre e figlio vengono condannati a una pena "sproporzionata" (a detta dello stesso giudice distrettuale), la popolazione locale si ribella e ad essa si unisce una milizia armata. E finisce in tragedia. Una storia americana che pare d'altri tempi.
Tragedia in Oregon: la polizia spara, un morto fra gli occupanti di un parco federale. A prima vista, la notizia può essere letta come una vittoria del governo federale contro un gruppetto di fanatici armati, una “milizia paramilitare” come viene definita dalla stampa, che voleva approfittare di un caso locale per incitare a una rivolta reazionaria. A un esame più approfondito, la tragedia appare sotto una luce completamente diversa, però.
La vicenda del Malheur National Wildlife Refuge, Oregon, inizia nel lontano 2001, quando due agricoltori di Burns, Dwight Hammond e suo figlio Steven, danno fuoco a delle sterpaglie nel loro terreno e le fiamme si espandono fino a coinvolgere il vicino terreno demaniale, di proprietà del governo federale e affittato ad altri allevatori. Per quel primo incendio, la pubblica accusa parla di dolo e di tentativo, da parte degli Hammond, di coprire con uno sbarramento di fuoco una battuta illegale di caccia al cervo. I due si difendono, affermando che l’incendio fosse assolutamente contenuto, che il contagio fosse non intenzionale e che, semmai, il problema fosse proprio l’opposto: dai terreni demaniali loro confinanti, ginepro e artemisia sconfinano nella loro proprietà rovinando i pascoli. Il problema si ripete nel 2006, quando, durante un temporale che aveva provocato altri incendi, Hammond figlio dà fuoco alle sterpaglie, un incendio controllato per proteggere il bestiame. Anche in questo caso le fiamme arrivano nel vicino terreno demaniale, causando circa 1000 dollari di danno per poco meno di un acro andato in fumo. La questione viene trattata dalla cronaca locale quasi come un fatto abituale. Sono frequenti anche i casi in cui è dai terreni di proprietà pubblica che gli incendi sconfinano nelle proprietà private. Ma ecco che la magistratura si muove con solerzia: la pubblica accusa chiede per i recidivi incendiari di applicare la legge anti-terrorismo del 1996, che prevede una pena minima di 5 anni di carcere. Il giudice distrettuale (primo grado) rifiuta però di applicare una pena di 5 anni ai due agricoltori che non hanno creato alcun disturbo, se non lievissimi danni a un grande terreno demaniale. Pronunciando una sentenza che viene ricordata in questi giorni, il giudice Michael Hogan ritiene che la pena prevista dalla legge anti-terrorismo sia “grandemente sproporzionata” all’offesa e la sua applicazione “scuoterebbe la mia coscienza”. Così decide di condannare Dwight Hammond a tre mesi di carcere e il figlio Steven a 1 anno. I due scontano la loro pena e tornano in libertà.
Tutto finito? No, perché a questo punto è il Dipartimento di Giustizia (il ministero) che ricorre in appello, lo vince dopo un lungo processo e alla fine del 2015 ottiene che i due Hammond scontino tutta la loro pena: 5 anni di carcere. Ma a questo punto, i vicini agricoltori e gli abitanti di Burns si ribellano e danno il via a un’azione di resistenza civile, il 2 gennaio. A loro si uniscono ben presto volontari da altri stati, fra cui anche Ammon Bundy, del Nevada, famoso per aver appoggiato il padre Cliven nel suo lungo braccio di ferro con il governo federale contro la nuova tassa sui pascoli. Bundy aveva vinto la sua battaglia nel 2014: si era opposto al sequestro del suo pascolo, con un presidio permanente di contadini armati, impedendo l’azione dei federali, finché il governo non aveva trattato. Per questa sua azione, unica nel suo genere in tempi recenti, la gente di Burns ha accolto il figlio Ammon come un campione. Il gruppo, composto da uomini armati, ha occupato una riserva naturale federale, Malheur, e l’assedio è cominciato. Gli occupanti si dicevano disposti a resistere anche per un anno intero e di essere disposti a morire in azione. A nulla è valso il tentativo di mediazione, promosso anche dalle autorità locali (fra cui lo sceriffo di Burns) e questa volta l’assedio, da simbolico, è diventato reale. I fucili hanno sparato veramente. Nel laconico messaggio della polizia federale si legge solo che “sono stati esplosi colpi di arma da fuoco”. Un giornalista indipendente, portavoce del gruppo degli assediati, Robert Finicum, è morto. Altri due feriti. Ammon Bundy è stato arrestato.
Può sembrare incredibile, agli occhi di un pubblico italiano, che un gruppo armato possa contrapporsi a un’azione della polizia. In Italia, in Europa in generale, sarebbe considerato come un atto di terrorismo, una rivoluzione o un golpe. Negli Usa no. Perché la costituzione stessa, nel suo Secondo Emendamento, prevede la libertà di portare armi, non solo per autodifesa dalla criminalità, ma anche per la difesa dallo Stato. Gli Stati Uniti sono infatti nati da una rivoluzione e da una guerra per l’indipendenza da Londra. Il Secondo Emendamento è una sorta di clausola di sicurezza: se anche lo stesso governo statunitense dovesse diventare tirannico, i cittadini americani devono poter essere in grado di difendersi. E così viene inteso, soprattutto dai conservatori. Nelle conferenze stampa rilasciate da Bundy, non troviamo alcun invito alla sovversione, né alcuna sfumatura anti-sistema. Anzi, il gruppo da lui fondato si chiama “Cittadini per la Libertà Costituzionale”, i suoi proclami richiamano i diritti fondamentali della legge suprema americana (vita, libertà, proprietà), l’amore per la patria, la necessità di proteggerla. Le mostrine sulle tute mimetiche indossate dai miliziani, rappresentavano tutti i simboli dell'America delle origini: il motto indipendentista "Non calpestarmi", l'inizio della Costituzione ("We, the People"), lo slogan rivoluzionario "Libertà o morte", oltre alla bandiera degli Stati Uniti e al tradizionale "Confidiamo in Dio".
Come mai tanto accanimento da parte del governo federale, allora? Prima di tutto per una questione di terre. Anche un dipendente del Bureau of Land Management (Blm l’amministrazione dei terreni demaniali), parlando sotto falso nome, aveva lamentato una vera ossessione nella lotta contro gli Hammond. Perché rifiutavano di vendere la loro terra, erano gli ultimi privati in un’area interamente di proprietà pubblica, perché opponevano una resistenza di principio. E anche perché, negli ultimi anni, è in corso una battaglia politica fra il governo federale e i singoli stati (e i privati locali) sul possesso delle terre. L’Oregon, assieme a Utah, Idaho, New Mexico, Arizona, Nevada, Wyoming e lo stato di Washington, dal 2014 chiede al governo di trasferire le terre demaniali all'amministrazione locale. Perché i terreni controllati dal Blm sono spesso trasformati in riserve naturali (come i governi locali lamentano) e le loro strade vengono chiuse, con l’effetto di impedire il transito ai privati e anche ai pompieri, che a questo punto non riescono più a domare efficacemente gli incendi. Il governo federale non ha ceduto e sta continuando ad espandere il suo controllo sulle terre. In alcuni stati, come l’Alaska e lo Utah, possiede la maggioranza assoluta della superficie. La causa del governo contro gli Hammond, dunque, va letta in questo contesto. Alla lotta per la terra è subentrata poi quella di principio. Entrando in scena Bundy, già vincitore di una prova di forza contro Washington, il governo federale si è evidentemente sentito sfidato nel suo ruolo di monopolista tendenziale della forza armata. Alla fine l’amministrazione Obama ha scelto la via dell’inflessibilità, ha dato una dimostrazione di forza. Ma a che prezzo: un morto e un pezzo di sogno americano andato in fumo.