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MARE NOSTRUM

Tragedia immigrati, le chiacchiere della politica

L'operazione Mare nostrum, per il soccorso dei clandestini in mare, ha peggiorato una situazione già drammatica. L'Italia inizia il suo semestre di presidenza dell'Ue. È tempo che utilizzi questa occasione per controllare i flussi migratori.

Politica 02_07_2014
Mare Nostrum

Le parole di chi ha responsabilità istituzionali e non va oltre le parole di regola provocano fastidio. Diventano insopportabili quando tra la realtà e le parole, sempre uguali e sempre troppe, continuano a contarsi i morti. Non è gradevole l’on. Salvini quando punta l’indice contro il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno e addebita loro le ultime trenta vittime, quasi fossero stati loro a uccidere uno per uno i migranti ammassati nella stiva del barcone; ma – come con altri toni e in modo articolato si è più volte riflettuto su questa testata – è inconfutabile che un’operazione varata con le migliori intenzioni, Mare nostrum, si è rivelata un moltiplicatore di disgrazie.

Il modo migliore per replicare a Salvini dovrebbe essere quello di comparare il numero stimato di coloro che hanno perso la vita in mare, da quando l’operazione si è avviata, coi numeri dei periodi antecedenti: se manca questo tipo di replica, è ragionevole pensare che i dati confermano la pur sbrigativa tesi del segretario della Lega. Soccorrere le imbarcazioni in prossimità delle acque territoriali libiche ha prodotto, fra l’altro, l’intensificazione delle partenze e l’utilizzo di scafi di fortuna, ancora meno idonei di quelli adoperati per il passato, con una quantità maggiore di persone fatte salire a bordo, nella prospettiva di incontrare al più presto una lancia della Marina militare; e quindi ha moltiplicato i rischi e le stragi.

Che Mare nostrum prosegua senza ripensamenti o rimodulazioni, col suo carico di conseguenze negative anche dopo l’arrivo in Italia, e che gli esponenti più significativi del governo italiano continuino a lamentarsi con l’Europa, vuol dire che non si ha una idea precisa di come uscire o ridimensionare la tragedia. Da ieri il capo del governo italiano è anche, e lo sarà fino al 31 dicembre, il capo del consiglio dei premier europei: protestare contro l’Europa suona male, ha elementi di analogia contro chi inveisce verso la propria immagine allo specchio. Prendere l’iniziativa vuol dire due cose: a) enucleare delle proposte per affrontare l’emergenza, che coinvolgano l’intera Ue e possibilmente l’Onu, per le crisi che in questo momento sono all’origine dei flussi; b) dotarsi di strumenti operativi per uscire dai circoli verbali. L’assenza di una strategia d’insieme, con obiettivi di breve e di lungo termine e con l’indicazione dei tempi e dei mezzi per raggiungerli, è valsa finora all’Italia la sgarbata ironia di esponenti europei come la Commissaria agli affari interni Cecilia Malmstrom, che ha addebitato al governo di Roma di non aver chiesto nulla di concreto alla Commissione.

Le premesse non sono incoraggianti: venerdì scorso, all’ultimo Consiglio dei capi di governo prima della presidenza italiana, nel documento sull’immigrazione è stato rifiutato l’inserimento della sola proposta avanzata dall’Italia, e cioè una equilibrata ripartizione degli oneri dell’accoglienza dei richiedenti asilo. La richiesta non è stata accolta, mentre compare un allucinante impegno a potenziare Frontex, l’agenzia europea per le frontiere, che – se il compito di Frontex continua a essere quello di polizia dei confini dell’Ue – andrebbe in controtendenza rispetto a Mare nostrum e all’accoglienza. Il tutto con la genericità tipica di questi documenti, dai quali possono desumersi le esegesi più discordanti.

Il quesito a cui rispondere – formulato da mesi su queste colonne – è se il governo italiano intenda utilizzare al massimo grado l’occasione della quale dispone col semestre di presidenza. Dovrebbe essere un quesito retorico, ma purtroppo retorico non è, se continuano a latitare idee e indicazioni di prospettive sulle quali aprire confronti, scontri e definire sintesi. Ammettiamo per un momento che l’esecutivo Renzi smentisca l’eccesso di parole che finora ne ha contraddistinto il profilo, e proprio sull’immigrazione decida di passare all’azione. Confidare sul semestre di presidenza non lascia tanti margini, mentre Jean-Claude Juncker, individuato quale prossimo presidente della Commissione, ha lanciato l’idea di istituire la figura stabile di Commissario europeo per l’immigrazione: nell’ottica di capire chi fa che cosa l’idea è buona; finora la questione è rientrata nella competenza del Commissario per la giustizia e gli affari interni, ma l’esperienza e la ragionevolezza impongono che essa riceva attenzione esclusiva.

Nella trattativa per la composizione della Commissione, ben potrebbe l’Italia chiedere per sé questa postazione, che garantirebbe maggiore sensibilità per quanto accade nel Mediterraneo per un quinquennio, e non solo per un semestre. Certo, questo imporrebbe di rinunciare ad altro, per es. alla postazione di “ministro degli esteri”, per la quale era stata individuata l’attuale titolare della Farnesina. Ma si torna all’interrogativo di partenza: si vuol andare avanti con le parole, o si intende giocarsela per intero, mettendo da parte i lamenti e svolgendo un ruolo di guida su un asset così cruciale?