Tragedia a Genova. Non collettivizzare le colpe
Il primo pensiero di fronte alla tragedia di Genova è quello della nostra estrema precarietà e del nostro dovere di essere preparati alla partenza. Il nostro essere incapaci di garantire a noi stessi che tra un’ora o domani saremo ancora qui. E' molto forte la tentazione di buttare la tragedia del crollo del ponte Morandi nella rissa politica. Ma i due "colpevoli" additati, cioè l'austerity e le privatizzazioni, non colgono nel segno. Non è per mancanza di risorse, né per mancanza di investimenti del gestore privato che il cavalcavia è collassato. Si deve cercare il responsabile, che abbia un nome e un cognome. Inutile cercare un colpevole collettivo.
Il primo pensiero di fronte alla tragedia di Genova non può che essere lo stesso che il Direttore di questo giornale ha formulato solo pochi giorni fa in occasione del tamponamento di un veicolo pesante da parte di un camion cisterna carico di GPL avvenuto nei pressi di Bologna. E’ quello della nostra estrema precarietà e del nostro dovere di essere preparati alla partenza. Il nostro essere incapaci di garantire a noi stessi che tra un’ora o domani saremo ancora qui.
Viene in mente Pascal: “L’uomo non è che un giunco, il più debole di tutta la natura… Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua basta per ucciderlo.” Ma, ci ricorda ancora Pascal, è un essere pensante e che cerca di capire, di darsi una spiegazione di quanto accade. Eventi come il crollo del Ponte di Genova sono seguiti nell’immediato dall’accumularsi di spiegazioni spesso improvvisate accompagnate da una spasmodica ricerca di un colpevole. Chi scrive, pur “esperto” del settore, non ha al momento una risposta certa sul perché dell’accaduto e non è in grado di puntare il dito contro un colpevole. Proverà a dire “ciò che non è” e a formulare una ipotesi su ciò che potrebbe essere.
Come sempre, in molti non hanno resistito alla tentazione di “buttarla in politica”. In prima fila i due parlamentari leghisti nemici della (presunta) austerity. Il senatore Bagnai ha twittato il titolo: “Austerità” e l’onorevole Borghi ha svolto il tema: “Il tragico fatto di Genova ci ricorda che gli "investimenti pubblici" di cui abbiamo assoluta necessità sono sotto gli occhi di tutti. Ponti, strade, acquedotti. Anni di possibili manutenzioni rimandate ed accantonate "perché non c'erano soldi”. Una linea di interpretazione già vista in occasione degli incendi che hanno devastato Atene nello scorso luglio e che si è rivelata priva di riscontro fattuale
Poniamoci dunque l’interrogativo: i viadotti crollano perché si spende troppo poco per la manutenzione? Una risposta all’interrogativo viene fornita dal sito “Italia Dati alla mano” ricco di dati ufficiali su molti aspetti della vita economica e sociale. Tra questi è riportato il confronto tra quanto spende l’Italia e quanto gli altri Paesi per ogni chilometro di rete stradale. Ebbene, tra il 2010 e il 2015, nel nostro Paese la spesa media è risultata pari a oltre 15mila €, inferiore solo a quella - presumibilmente correlata a una maggiore usura delle strade dovuta a condizioni climatiche assai severe - della Norvegia e superiore a quella di tutti gli altri Paesi occidentali. Il dato è da prendere con cautela vista la difficoltà a omogeneizzare la estesa complessiva delle infrastrutture tra Paesi diversi ma porta a escludere che vi sia stata, quanto meno in termini relativi, una penuria di risorse. Si può ritenere che i soldi siano stati spesi male ma non che non ve ne fossero in abbondanza (a meno di non giudicare come gravemente carenti le dotazioni di tutti gli altri Stati).
Peraltro, il viadotto crollato costituisce parte della autostrada A10 in concessione a un soggetto privato, Autostrade per l’Italia e le spese per la manutenzione non gravano sul bilancio pubblico ma sono a carico dei concessionari e, indirettamente, degli utenti. Non sono stati pochi coloro che hanno individuato il “colpevole” nella privatizzazione della rete e nella ricerca del profitto a ogni costo, anche a scapito della sicurezza. Ora, le spese per la manutenzione della rete non vengono stabilite in autonomia dai concessionari ma devono essere approvate dal soggetto concedente pubblico. Come si può leggere nella Relazione annuale della “Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali presso il Ministero delle Infrastrutture”, dal 2000 al 2017 la spesa sostenuta dai concessionari per le manutenzioni ordinarie è risultata complessivamente pari a 11,6 miliardi (di cui circa 2 miliardi per opere d’arte e altri elementi del corpo autostradale), corrispondente a una spesa annua superiore ai 600 milioni. In media le concessionarie hanno speso quanto previsto nei rispettivi Piani economici e finanziari. Autostrade per l’Italia in particolare ha destinato alla manutenzione oltre 2,52 miliardi a fronte dei previsti 2,47.
I numeri sopra riportati sembrano quindi portare a escludere che quanto accaduto a Genova sia riconducibile a una qualche motivazione “di sistema” e che, per cercare di interpretare quanto accaduto, sia opportuno riferirsi al caso specifico. Al riguardo c’è da evidenziare come già da tempo il Ponte Morandi, su cui già più volte si era intervenuti con manutenzioni profonde per porre rimedio a problemi insorti durante l’esercizio, fosse un osservato speciale da parte di specialisti alcuni dei quali ipotizzavano che le spese di manutenzione del viadotto sarebbero in breve divenute di tale entità da rendere meno costoso un suo rifacimento. Nello scorso mese di maggio Autostrade per l’Italia aveva assegnato un appalto per oltre 20 milioni per l’adeguamento strutturale del viadotto Polcevera. Lavori di consolidamento della soletta del viadotto erano in corso al momento del crollo. Non risulta però a chi scrive che alcuno avesse ritenuto lo stato dell’infrastruttura così degradato da costituire un immediato rischio per i veicoli oltre che per le abitazioni sottostanti.
C’è stata negligenza o sottovalutazione da parte di qualcuno? O quanto accaduto è davvero imponderabile? Una seria risposta si potrà avere solo con tempi adeguati. In ogni caso si tratterà di responsabilità individuali e non collettive.