Tra ville e castelli: Asolo e Castelfranco Veneto
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Rifugio e idillio letterario nella campagna trevigiana, dove trovarono asilo scrittori e artisti, e dove tuttora si colgono gli echi di un mondo passato.
Pietro Bembo ambientò la sua prima opera Gli asolani (1505) ad Asolo nella reggia di Caterina Cornaro, la regina di Cipro che era stata costretta ad abdicare dalla Repubblica di Venezia nel 1489. In cambio le era stata donata la signoria di Asolo, pur conservando il titolo di regina di Cipro, di Gerusalemme e di Armenia, garantendosi una rendita di ottomila ducati all’anno. Poté così agire da mecenate e attirare nel paese letterati e artisti come Giorgione, Lotto e lo stesso Bembo.
Non è un caso che proprio nel bellissimo scenario di Asolo si ambienti il dialogo in tre libri Gli asolani incentrato sull’amore, nelle sue diverse esperienze (felici e tristi) e prospettive (platonica e cristiana). La cornice dell’opera e gli stessi contenuti richiamano il Decameron del Boccaccio in cui i narratori, costituiti da un gruppo eterogeneo di giovani e fanciulle, sono fuggiti dalla pericolosa realtà in cui imperversa la peste per rifugiarsi in un mondo onesto e letterario di campagna in cui domina una dimensione ideale.
Per il turista che si fermasse ad Asolo qualche giorno diverrebbe chiara questa dimensione di rifugio in un mondo idilliaco che trasmette serenità e conserva ovunque le vestigia di un passato splendente: dal VI al X secolo Asolo era addirittura sede vescovile, dopo la signoria della regina Caterina Cornaro conobbe i fasti della Serenissima fino alla caduta della stessa nel 1797 ad opera di Napoleone.
In epoca contemporanea celebri scrittori e artisti cercarono in Asolo un rifugio. La diva del teatro Eleonora Duse, che aveva già soggiornato nel paese nel 1892, vi dimorò poi tra il 1920 e il 1922 nella cosiddetta casa dell’arco. Partì poi per una tournee negli Stati Uniti da cui fece ritorno solo per essere seppellita, secondo la sua volontà, ad Asolo il 12 maggio 1924. Al cimitero di Sant’Anna si può visitare la sua semplice tomba. Aveva scritto anni prima la Duse al critico teatrale Marco Praga:
Asolo è bello e tranquillo, paesetto di merletti e poesia; non è lontano da Venezia che adoro, vi stanno dei buoni amici che amo; […] allorché al mattino apro le imposte della mia camera, nel vano della finestra si inquadra il Monte Grappa. Allora metto due vasi di fiori sul davanzale. Questa sarà l’asilo della mia ultima vecchiaia, e qui desidero di essere seppellita. Ricordatelo e, se mai, ditelo.
Un’epigrafe sulla casa dell’arco rammemora il soggiorno di Eleonora Duse ad Asolo:
A Eleonora Duse
figlia ultimogenita di San Marco
apparizione melodiosa
del patimento creatore
e della sovrana bontà.
È Gabriele d’Annunzio a ricordare con queste parole la sua musa ispiratrice per la quale compose opere teatrali (come La Gioconda, Francesca da Rimini, La città morta, La figlia di Iorio), raccolte poetiche (l’Alcyone ricorda la sua vacanza in Toscana con l’amata) e romanzi (Il fuoco in cui si racconta la loro storia a Venezia e nelle ville palladiane lungo il Brenta e che provocò l’incrinatura del loro rapporto sentimentale).
Ad Asolo si stabilirono anche altri scrittori, come il poeta inglese Robert Browning che visse nella villa Scotti-Pasini ove fece piantare i cipressi che divennero pianta tipica del luogo. L’ultima opera poetica di Browning è intitolata Asolando dal verbo inventato «asolare», ovvero «andare in giro all’aria aperta», Camminando su e giù per le vie del borgo si possono cogliere prospettive sempre diverse, proprio per questo Giosuè Carducci la definì la «Città dei Cento Orizzonti».
Scendendo dalle colline asolane verso mezzogiorno il visitatore incontra prima Riese Pio X, ove si può visitare la casa natale del santo Padre, e poi Castelfranco Veneto, città tra le maggiori della provincia trevigiana che conserva un incantevole centro storico con le cinta murarie e le sei torri agli angoli, attorniate da un fossato imperlato di statue e da una grande piazza. Dotato di mura alte diciassette metri e spesse quasi due, alle origini il castello aveva funzioni difensive. Vi si accedeva solo attraverso due ponti levatoi, sostituiti nel Cinquecento da ponti in muratura.
Ancora oggi ci si può immergere nell’affascinante borgo all’interno delle mura e tra le vie visitare il Duomo con la Pala del Giorgione, l’artista più celebre della città, morto a soli trentadue anni nel 1510, la cui vita è in parte avvolta dal mistero e di cui è difficile ricostruire con precisione l’intero itinerario artistico, dal momento che non firmava le sue opere. La pala è opera di certa attribuzione ed è anche la sua più celebre.
Uscendo dalle mura di Castelfranco, in direzione sud-ovest, a quattro km, in località Sant’Andrea si può visitare Villa Chiminelli.
Improntata allo stile palladiano, Villa Chiminelli riserva non poche sorprese. Conserva affreschi pressoché intatti sia all’interno che all’esterno: la mano è degli haeredes del celebre pittore Paolo Caliari, soprannominato il Veronese (1528-1598), tra cui il fratello Benedetto. Paolo Veronese, come è stato scoperto dal professor Elia Bordignon Favero, aveva acquistato casa a Castelfranco Veneto: un’ennesima prova del ruolo che la città del Giorgione ricopriva nel Cinquecento per il mondo degli artisti.
La sobrietà della struttura architettonica è un indubbio pregio. Priva di ali laterali, la villa presenta una loggia a tre archi. L’ingresso principale è rialzato, disposto a sud e preceduto da un giardino all’italiana. Vi si accedeva un tempo dopo aver percorso un lungo viale ai cui lati si distendevano ettari di poderi. Ancora oggi quelle terre sono ricoperte di vigneti che producono il prosecco, ma l’accesso alla villa è consentito solo dal lato nord.
Sul lato est della villa si conserva ancora un cortile, circondato da un muro che era un tempo affrescato (oggi vi si vedono solo le tracce). Da lì tramite una porta si poteva accedere alla Chiesa. Infatti, la villa era stata riservata nel Cinquecento a canonica.
Le terre che circondano Castelfranco conservano la memoria di un mondo passato, quel mondo contadino segnato dai ritmi delle stagioni e dei campi, allietato dai momenti di vita comunitaria in cui si raccoglievano i frutti della terra e li si assaporavano insieme. Un ritmo più lento, più cadenzato, più naturale.
Chi lo ha vissuto non fatica ad immaginarselo guardando ancora i poderi attorno alla villa Chiminelli. Chi non lo ha vissuto può provare a scoprirlo visitando i due musei che sono stati allestiti al suo interno nella barchessa a ovest: il museo conciario con un centinaio di strumenti e macchine utilizzati per la conceria del Bassanese (la tradizione di Bassano del Grappa è antica e risale addirittura alle concessioni di Mastino della Scala del 1339); il museo agricolo che ospita circa mille oggetti del mondo contadino veneto.