Tra sangue e scintille di bene nell’Europa in guerra
Bassa Sassonia, Guerra dei Trent’anni. Prìncipi e generali si fronteggiano con schiere di eserciti, mentre la povera gente annaspa per sopravvivere. Storie di personaggi che si intrecciano, con un filo rosso: la fede degli ultimi, manifestata in atti eroici di carità fraterna in un’Europa ricca di contraddizioni. Ecco Il cardo e la spada, il nuovo romanzo storico di Elisabetta Sala.
Le contraddizioni della storia e gli abissi del cuore umano costituiscono la cornice e il quadro del nuovo avvincente romanzo di Elisabetta Sala Il cardo e la spada (Ares 2021, pp. 320) ambientato durante la Guerra dei Trent’anni. Esso mette a fuoco, attraverso le vicende dei suoi personaggi, storie di caduta e redenzione tra orrore e speranza, desideri e delusioni, tormento e luce inattesa.
Siamo a Münden, in Bassa Sassonia, nel 1626. Prìncipi e generali si fronteggiano con schiere di eserciti, mentre la povera gente annaspa per sopravvivere. La prostituta Rose, bella e combattiva, dopo una vita di umiliazioni al seguito degli eserciti cerca una via di redenzione, ma il destino le pone una scelta complicata. «Perché siete tanto buono con me, che neanche conoscete?», chiede Rose a chi le tende la mano per aiutarla a sollevarsi dalla propria condizione di miseria. Questa domanda ingenua offre in realtà l’occasione per approfondire la natura del bene, diversamente inteso da cattolici e protestanti, se infatti l’autrice chiosa: «Herr Helmut rimase disorientato dalla schiettezza della domanda. Non lo sapeva neanche lui, in realtà. Era perché le buone opere erano un segno del favore di Dio? Se uno è generoso, dev’essere perché Dio lo ha destinato alla salvezza, no? O era per ricordare a Dio di ricordarsi di lui e di non permettere più che anni e anni di fatica e sudore andassero in fumo? Non era, piuttosto, che questa bella giovane gli piaceva? La risposta che diede sorprese anche lui: “Perché non mi costa nulla. E perché ho un certo sesto senso con le persone”».
Anche il luogotenente Brian, nauseato e ormai assuefatto al sangue, combatte per professione interrogandosi sull’onore e il senso ultimo dell’esistenza. L’amore tra queste due anime in cerca di riscatto è messo alla prova dai fantasmi del passato e dalle violenze del presente. Il loro cammino s’intreccia a quello di altri personaggi significativi, tra i quali il padre gesuita Friedrich Spee, missionario tra gli eretici, sorpreso a portare «urgentemente in salvo la cosa più preziosa che c’era: delle particole consacrate trafugate il giorno prima da una chiesetta cittadina. Una volta nel bosco, forzato il tabernacolo rivestito di placche d’oro che avevano smurato dall’altare, i ladri avevano abbandonato le ostie tra l’erba e il fango, dove lui e Markus avevano avuto la fortuna di ritrovarle. Accadeva anche troppo spesso: chiese profanate, devastate, incendiate. Il nemico le provava tutte prima di arrendersi definitivamente». Eppure il suo zelo apostolico, corroborato da solide ragioni della fede, sospinge molti protestanti a rientrare nell’ovile dell’unica Chiesa. Sul tema spinoso e divisivo della predestinazione, il sacerdote gesuita ribadisce che la sola fede non è sufficiente senza le opere per ottenere la vita eterna, e dunque «ci salviamo solo per i meriti di Cristo; il quale, però, vorrebbe salvarci tutti, ma non ci salva senza la nostra cooperazione. Lo stesso vale per la dannazione: all’inferno va solo chi consapevolmente rifiuta la salvezza».
Padre Spee fa ancora una considerazione significativa sugli uomini e le loro opere, valida per tutti e non solo in tempo di guerra: «Cercò di contemplare e basta, pensando che la natura era il libro di Dio; ma, come quegli splendidi fiori si affollavano sui rami, così facevano i pensieri nella sua mente. “Molti di questi fiori si staccheranno e cadranno a terra”, si disse. “Sarebbe bello sapere quali, invece, daranno frutto”. Lo stesso valeva per la vita degli uomini: pur tra i mille fiori caduti, poi perduti mescolandosi al terreno, centinaia si trasformavano in frutti. E lui, alla fine della vita, voleva essere un albero che si piegava per il peso: voleva darne il più possibile, impegnare al meglio tutti i suoi poveri talenti».
Degli spaccati della dura vita sui campi di battaglia della guerra dei Trent’anni, l’autrice racconta: «I beoni sono i poeti migliori, perché birra e vino ti sciolgono la lingua. Ricordo un soldato convinto che nelle stelle sia scritta la morte di ognuno. Quando ce l’hai sempre accanto, la morte, o non ne parli mai e cerchi di stare allegro, o ne parli in continuazione, di solito dopo aver bevuto». Di qui «la cosa che più mi colpisce è che a volte, anche il più malvagio degli uomini nella peggiore delle sventure riesce a trovare un momento per voler bene a qualcuno. Che cos’è questo se non una scintilla dell’amore di Dio?».
Insomma, ripercorrendo peripezie e vicissitudini dei protagonisti, Elisabetta Sala tesse la trama di un avvincente romanzo in uno scenario storico complesso, in cui è però possibile individuare un filo rosso, la fede autentica e semplice di persone umili, non quella di avidi regnanti in cerca di legittimare la propria sete di potere, bensì quella degli ‘ultimi’- soldati, prostitute, bambini e sacerdoti - che la manifestano concretamente in atti generosi, quotidiani ed eroici, di carità fraterna.