Tra poltrone e recessione si affaccia Draghi
I segnali d’allarme per l’economia crescono ogni giorno di più, l'Istat certifica il declino del sistema produttivo: 73.000 imprese chiuse, 17.000 non riapriranno. E mentre il governo pensa al rimpasto si affaccia Draghi che spiega come si deve usare il Recovery fund: «Produrre crescita».
I segnali d’allarme per l’economia crescono ogni giorno di più e le paventate nuove chiusure natalizie non faranno che aggravare la già precaria situazione di milioni di famiglie italiane. Nel frattempo, però, il Governo non sa far altro che imporre restrizioni ai cittadini e continuare a litigare al suo interno.
La verifica promossa dal premier per andare a vedere le carte dei suoi alleati e capire se c’è ancora la volontà di sostenerlo avrà tempi più lunghi del previsto. Matteo Renzi, che agli occhi del resto della maggioranza passa come il guastafeste, continua a tenere sulla corda Giuseppe Conte e a chiedere l’abolizione della cabina di regia sul Recovery e una maggiore collegialità nelle decisioni. Dietro il senatore di Rignano ci sono però ampi settori del Pd e del Movimento 5 Stelle che non vengono allo scoperto ma che condividono la sua crescente insofferenza nei confronti di Palazzo Chigi. Gli impegni europei della ministra renziana Teresa Bellanova hanno prodotto il rinvio del chiarimento Conte-Renzi, che dunque slitta di qualche giorno, il che non contribuisce a placare gli animi. Il segretario di Italia Viva ha anzi detto che è pronto a ritirare le sue ministre dal governo, e quindi anche l’appoggio parlamentare, per cui Conte sarebbe destinato a non avere più i numeri per rimanere in sella. E probabilmente non basterebbe un drappello di responsabili a garantirgli la sopravvivenza.
Ciò che allarma di più, però, non è la ormai cronica instabilità politica, ma l’inesorabile dilagare di nuove povertà, dovuto anche all’incapacità dell’esecutivo di prendere decisioni coraggiose per sostenere le imprese evitando di continuare ad erogare sussidi a pioggia.
A sottolineare la gravità della situazione è stato nelle ultime ore anche Mario Draghi: «I responsabili politici devono agire con urgenza perché in molti settori e Paesi siamo sull'orlo del precipizio in termini di solvibilità, specialmente per le piccole e medie imprese, con i programmi di sostegno in scadenza e il patrimonio esistente che viene eroso dalle perdite. Il problema è peggiore di quel che appare perché il massiccio aiuto in termini di liquidità, e la vera e propria confusione causata dalla natura senza precedenti di questa crisi, ne stanno mascherando le vere dimensioni».
L’ex Presidente della Bce siede nel comitato di direzione del G30 (Group of the Thirty, un think tank di consulenza su questioni di economia monetaria e internazionale), insieme anche a Raghuram Rajan, ex governatore della Reserve Bank of India, che alla presentazione del rapporto ha spiegato: «Non è troppo presto per iniziare a pensare al periodo successivo alla pandemia e provare quindi a evitare danni collaterali per le imprese».
Il ragionamento di Draghi è semplice: le risorse del Next Generation EU, se ben indirizzate, avranno un impatto importante sulla sostenibilità del debito pubblico. Un problema, quest’ultimo, che da sempre rende l’Italia osservata speciale a Bruxelles. «Se le risorse del Recovery Fund saranno sprecate – ha detto ancora l’ex numero uno della Bce - il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita. Se invece i tassi di rendimento dei progetti fossero elevati e tali da giustificare l’investimento pubblico, allora la crescita arriverebbe e diventerebbe il fattore decisivo per la sostenibilità del debito».
Che ci attenda quindi una lunga traversata nel deserto della recessione è ormai chiaro a tutti. Peraltro anche i dati Istat diffusi lunedì sulle crisi di impresa ai tempi del Covid certificano il declino del sistema produttivo: 73.000 imprese (che pesano per il 4% dell’occupazione) sono chiuse; 17.000 di esse non riapriranno.
L'85% delle unità produttive "chiuse" sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi non commerciali (58 mila unità, pari al 12,5% del totale). Le attività sportive e di intrattenimento presentano la più alta incidenza di chiusura, seguite dai servizi alberghieri e ricettivi e dalle case da gioco. Una quota significativa di imprese attualmente non operative si riscontra anche nel settore della ristorazione (circa 30 mila imprese di cui 5 mila non prevedono di riprendere) e in quello del commercio al dettaglio (7 mila imprese). Il 28,3% degli esercizi al dettaglio chiusi non prevede di riaprire rispetto all'11,3% delle strutture ricettive, al 14,6% delle attività sportive e di intrattenimento e al 17,3% delle imprese di servizi di ristorazione non operative.
Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: il 31,9% delle imprese chiuse (pari a 6 mila unità) prevede di non riaprire, rispetto al 27,6% del Centro, al 23% del Nord-ovest e al 13,8% del Nord-est (24% in Italia).
Imprese che chiudono significa tante altre famiglie in mezzo a una strada. Lo documentano le migliaia di persone in fila ogni giorno a Milano per un pasto e un po’ di cibo presso l’associazione di volontariato “Pane Quotidiano” e presso le mense dei francescani. La povertà dilaga, anche in ambienti insospettabili, che nessuno immaginava potessero essere toccati da questa emergenza alimentare.
«In questi giorni - racconta Luigi Rossi, il portavoce dell'associazione che raccoglie donazioni ed eccedenze alimentari di aziende e grande distribuzione per poi redistribuirle - viene tanta gente, tutti senza soldi, senza lavoro, senza cibo da mettere in tavola». I volontari che si alternano nell'associazione a distribuire i pacchi alimentari sono oltre 200, tutti giovani, per evitare che i più anziani storici del Pane Quotidiano, corrano rischi di contagio. In coda ci sono senza tetto ma anche disoccupati, soprattutto uomini, ma anche un 30 per cento di donne. Gli italiani sono almeno il 40 per cento.
In prevalenza italiani anche i nuovi poveri accolti dalla Caritas di Roma negli ultimi mesi. Stando ad un Rapporto diffuso ieri dall’organizzazione, le richieste di cibo sono aumentate del 600% con oltre 21.000 persone accolte con aiuti e pasti caldi. Per la precisione 21.160, delle quali ben 7.476 per la prima volta (35,3%). Si aggiungono alle 40.607 persone che le parrocchie avevano già preso in carico nel corso degli anni. Il 54% ha meno di 45 anni mentre gli ultra 65enni sono il 14,7%.
E di fronte a questo spettacolo desolante la politica che fa? Discute di poltrone e difende il parassitario reddito di cittadinanza, come hanno fatto ieri in Parlamento i grillini, pur di continuare ad alimentare i loro pascoli elettorali e di scongiurare la loro estinzione.