Tra l'animale e l'uomo è l'anima che fa la differenza
In "L’anima c’è e si vede" Francesco Agnoli esplora i vari modi di intendere l’anima nel corso dei secoli e le molteplici vie (dalla genetica alla paleontologia, dalle neuroscienze all’archeologia) che ne attestano l'esistenza.
L’anima è soffio vitale. I filosofi greci, che ne indagano la natura a partire dall’etimologia della parola greca anemos (“vento”, “respiro”), le riconoscono il ruolo di principio del movimento, ossia ciò che rende gli esseri viventi. Per Socrate l’uomo è la sua anima; per Platone l’anima, essendo principio di vita, non può abbracciare il suo contrario che è la morte; per Aristotele è in grado di cogliere le realtà intelligibili ed è immateriale perché, se fosse corporea, dovrebbe avere una qualità (es. il caldo) e non anche il suo contrario. In ambito latino per Cicerone l’anima umana ha rapporto con Dio; in ambito cristiano, lungi da ogni forma di spiritualismo e materialismo, l’anima è carnale, per dirla con Péguy.
È quanto scrive in un rapido excursus sulle diverse concezioni dell’anima nel corso dei secoli il professore e giornalista Francesco Agnoli nel recente saggio L’anima c’è e si vede (Il Timone 2023, pp. 164). Nel volume l’autore individua inoltre numerose vie razionali quali prove per una deduzione logica dell’esistenza dell’anima, grazie all’apporto sinergico di diverse discipline, dalla genetica alla paleontologia, dalle neuroscienze all’archeologia.
Il materialismo, che affonda invece le proprie radici nell’atomismo di Democrito criticato già da Aristotele (in quanto se l’anima fosse corporea, si troverebbero nel contempo due corpi in un solo corpo, il che è logicamente impossibile), si trova nell’impasse di dover spiegare come «la materia, che è immobile, rigidamente determinata, non vivente, quantificabile, pesabile, possa giustificare il movimento, la libertà, la vita, il pensiero, l’amore, la moralità, le idee religiose, filosofiche, matematiche». In buona sostanza i materialisti sostengono che tra l’uomo e il sasso vi sia una differenza puramente quantitativa legata al numero di atomi e non anche qualitativa tra la «materia-uomo che vive e pensa e tutto il resto della materia che non vive e non pensa». Per costoro con la morte anima e corpo si disgregano a vantaggio dell’universo, divino ed eterno. Siamo dunque agli antipodi della visione cristiana per la quale l’uomo è immortale mentre l’universo finirà.
La conoscenza di verità universali e necessarie, come le leggi fisiche e matematiche, è un’operazione dell’intelletto, per cui è parimenti immateriale anche l’anima che le conosce. C’è poi la via del linguaggio, che è biologico-istintuale, ripetitivo e limitato negli animali, laddove quello verbo-vocale umano è estremamente creativo, «un potere illimitato di un organo finito», per dirla col paleoantropologo Tattersall. Gli animali invece, pur possedendo un codice comunicativo, non sanno comporre e disporre, non hanno la sintassi e la ricorsività (capacità di espandere una frase potenzialmente all’infinito), né la capacità di combinare insieme diversi gesti iconici. Ogni anima è poi singolare e presenta una coscienza morale, per cui naufraga il tentativo della criminologia ottocentesca di dimostrare che l’uomo agisca deterministicamente alla stregua di un oggetto materiale.
C’è poi una via genetica all’esistenza dell’anima, in relazione alla quale il genetista Collins afferma che «l’altruismo disinteressato rappresenta un vero scandalo per il pensiero riduzionista». A differenza di quello biologico dei lupi e delle api dettato da reazioni automatiche, l’altruismo umano è infatti sempre accompagnato da un giudizio morale. D’altra parte non esiste un gene per l’amore o per la coscienza e «l’uno per cento che distingue Shakespeare da uno scimpanzé è proprio la prova che non sono i suoi geni ad aver scritto l’Amleto», per dirla col biologo francese Testart.
Anche la medicina apporta un contributo all’esistenza dell’anima. Agnoli riferisce in proposito l’argomento delle malattie psicosomatiche; il fatto che in tanti si risveglino dal coma perché magari i familiari hanno continuato a parlare loro e la preghiera, i cui effetti benefici anche a livello cardiologico e psichico sono stati recentemente oggetto di numerose conferme scientifiche.
La felicità giammai conseguita soddisfacendo i soli bisogni materiali e che dimora in esperienze spirituali, come la natura del desiderio di portata infinita, testimoniano ancora che l’uomo ha una dimensione spirituale. La via delle neuroscienze non è in grado di spiegare «come da una serie di eventi elettrochimici emerga la soggettività di ogni uomo», osserva Agnoli citando il neurochirurgo Massimo Gandolfini. La stessa intelligenza artificiale è sempre programmata dall’uomo per rispondere agli stimoli in modo meccanicistico, e dunque non libero.
Ci sono poi la via della mano, data la capacità prensile dell’uomo (basti osservare una persona che canta accompagnandosi con uno strumento) e la via della fragilità corporea, che considera l’uomo fisicamente inadatto rispetto alle altre creature eppure così capace di «modificare l’ambiente in cui vive per metterlo in armonia con i propri geni», di contro agli altri animali non razionali. Infine, a ulteriore conferma dell’esistenza dell’anima, si pongono la via dell’archeologia, dalla quale affiora il bisogno di ogni civiltà di seppellire i morti nella fiducia di un destino ultraterreno; la via della sessualità e dell’amore e quella cosmologica secondo cui, citando l’astrofisico vietnamita e docente all’Università della Virginia Xuan Thuan, «l’universo sembra essere configurato apposta per la comparsa di un osservatore intelligente, capace di apprezzarne il livello di organizzazione e di armonia. Questo universo è la pianta, noi il fiore».