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ANCORA UNA STRAGE

Tra jihadisti e scontri etnici, il Mali è una polveriera

Dopo le 95 vittime del massacro nella notte tra il 9 e il 10 giugno, in Mali si indaga sulle cause. Il governo ritiene che dietro l’attacco ci sia un gruppo islamista, ma al momento appare più verosimile l’ipotesi che la strage sia stata compiuta da un commando di etnia Fulani. Di certo nel Paese africano, instabile dal 2012, ci sono vari fronti di crisi.

Esteri 12_06_2019

Dal Mali giunge notizia di una nuova strage. Tra il 9 e il 10 giugno degli uomini armati hanno attaccato Sobane Da, un villaggio abitato da famiglie di etnia Dogon, situato nella regione centrale di Mopti. “Circa 50 uomini armati sono arrivati a bordo di motociclette e di pickup”, ha raccontato un sopravvissuto. “Prima hanno circondato il villaggio e poi ci hanno attaccato. Nessuno è stato risparmiato: donne, bambini, anziani. Chi ha tentato di fuggire è stato ucciso”. Le forze di sicurezza sopraggiunte hanno già rinvenuto 95 cadaveri, molti dei quali carbonizzati, e all’appello mancano almeno 19 persone.

Il governo maliano sostiene che l’attacco sia avvenuto intorno alle 3 di notte e che a colpire potrebbe essere stato uno dei gruppi jihadisti che infestano la regione. Invece, secondo il sindaco di un villaggio vicino, Moulaye Guindo, la strage è avvenuta poco dopo il tramonto ed è stata compiuta da un commando di uomini di etnia Fulani. Questa versione dei fatti al momento sembra la più verosimile. Tra Dogon e Fulani scontri e aggressioni sono infatti molto frequenti, con uno stillicidio di vittime di cui neanche si dà notizia se non quando, come è successo a Sobane Da, diventano decine. Nell’attacco del 9 giugno sono stati uccisi circa un terzo degli abitanti del villaggio. In quello del 23 marzo, contro il villaggio di Ogossagou, nella stessa regione, i morti sono stati 160, uccisi a colpi di arma da fuoco e di machete. Ma in quel caso a essere attaccati sono stati dei Fulani e gli autori del massacro erano dei Dogon, forse appartenenti al gruppo di autodifesa Dan Na Ambassagou.

I Dogon vivono nel Mali centrale da secoli, sono stanziali e praticano l’agricoltura. I Fulani sono pastori seminomadi dell’Africa occidentale e centrale dove percorrono grandi distanze per pascolare le loro mandrie. La conflittualità etnica, che è un fattore strutturale delle economie di sussistenza africane, si accentua quando a contendersi le risorse sono comunità dedite all’agricoltura e alla pastorizia. Pastori e agricoltori si disputano l’accesso alla terra e all’acqua. Inoltre i pastori attaccano i villaggi degli agricoltori per rubarne il bestiame e i raccolti. Per cercare di evitare le rappresaglie, che comunque non mancano, incendiano case e granai, uccidono chi non riesce a fuggire.

Pastori e agricoltori sono in conflitto da secoli in Africa. Negli ultimi anni però, in Mali, in Nigeria, Niger e altri stati, gli scontri si sono fatti più frequenti e soprattutto più cruenti. I Fulani, che sono musulmani, sono accusati di stringere rapporti con gruppi di jihadisti dai quali ricevono armi e sostegno. Da parte loro i Fulani protestano che in Mali l’esercito rifornisce i Dogon di armi per combatterli.  

Sta di fatto che in Mali negli ultimi mesi ci sono stati molti attacchi sia etnici che jihadisti, con centinaia di morti, e la situazione specialmente nelle regioni centrali del Paese continua a peggiorare. Pesa tuttora su vasta parte del territorio nazionale l’assenza di controllo da parte del governo. Il Paese è instabile dal 2012 quando un colpo di Stato, le rivendicazioni secessioniste su base etnica del nord e l’offensiva jihadista hanno aperto più fronti di crisi. La presenza dal 2013 di una missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite, la Minusma, affiancata fino al 2014 dalla missione francese Serval, gli accordi di pace del 2015, il ripristino delle istituzioni democratiche hanno migliorato gradualmente la situazione, ma dal 2016 i gruppi jihadisti che erano stati ricacciati ai confini settentrionali hanno riconquistato terreno, sfruttando la debolezza del governo e la conflittualità etnica endemica. Si stima che diversi gruppi legati ad al-Qaida e all’Isis abbiano le loro basi nel Paese. 

All’indomani della strage di Sobane Da, il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keita, ha condannato “l’atto barbarico che niente può giustificare” e ha esortato la popolazione al senso di responsabilità e di cittadinanza. Più concretamente, la missione Minusma ha inviato un supporto aereo nell’area del massacro per prevenire nuovi attacchi.  

Dal Mali i jihadisti si infiltrano negli Stati confinanti. Il 10 giugno decine di uomini armati hanno attaccato un villaggio del distretto settentrionale di Arbinda, nel Burkina Faso. Era giorno di mercato, hanno sparato sulla gente che affollava l’area uccidendo 19 persone. Quasi sicuramente si trattava di un commando jihadista, ma anche in Burkina Faso sono frequenti scontri e attacchi sia etnici che messi a segno da gruppi jihadisti. Questi ultimi hanno moltiplicato le azioni di recente, prendendo di mira, come succede da anni in Nigeria, oltre che sacerdoti e fedeli cristiani, anche moschee e imam ritenuti non abbastanza integralisti.

Mentre in Mali quasi il 95% della popolazione è musulmana e i cristiani sono un’esigua minoranza, circa il 2,4%, in Burkina Faso i musulmani sono poco più del 61% e i cristiani quasi il 30%. La presenza di cellule e gruppi jihadisti in Paesi africani in cui i cristiani sono numerosi o addirittura la maggioranza della popolazione, come il Kenya, la Repubblica Centrafricana, il Mozambico, è un fenomeno relativamente recente.