UNIVERSITA'
Tra crisi e riforma, la persona al centro
Impegno e studio sono gli unici strumenti per vincere la sfida con l'Università, oggi in sofferenza, non solo per motivi economici.
Attualità
19_08_2011
L’Università italiana, a pochi mesi dall’avvio della riforma Gelmini, è sicuramente in grande fermento. Da un lato Ministero e CUN sono impegnati nel definire le norme di applicazione, dall’altro le Università debbono mutare i loro statuti e regolamenti. Entrambe le istituzioni nel tentativo di coniugare rigore, buon senso ed anche rispetto di quanti all’Università sono legati: docenti ed altre categorie di personale, ma anche e soprattutto gli studenti con le loro famiglie (senza però dimenticare la società nel complesso).
Le difficoltà, come facile immaginare, sono molteplici e quella finanziaria viene spesso enfatizzata,
ma probabilmente non è la maggiore. Non che non ci sia, ma è un po’ come per la generale situazione italiana: è evidente che non si può continuare ad espandere la spesa pubblica, ma al tempo stesso non si può continuare con i tagli “lineari”, inevitabili finchè non si sa come selezionare. Al pari dell’apparato pubblico generale, l’Università è infatti diventata pletorica per l’apertura di nuove sedi, di nuova Facoltà, di nuovi corsi ecc. (la riforma del 3+2 è stato un vero “disastro”). Ovvio che tagliare ora è ben più difficile di quanto non sarebbe stato l’impedire inutili espansioni, ma noi siamo a questo punto e – se proprio non si ha la forza di chiudere – bisogna ridimensionare, accorpare, razionalizzare, ma soprattutto creare i presupposti perché l’eventuale “selezione” dell’attuale, e soprattutto del futuro corpo docente, avvenga su basi obiettive (la parola magica è: legata al merito).
ma probabilmente non è la maggiore. Non che non ci sia, ma è un po’ come per la generale situazione italiana: è evidente che non si può continuare ad espandere la spesa pubblica, ma al tempo stesso non si può continuare con i tagli “lineari”, inevitabili finchè non si sa come selezionare. Al pari dell’apparato pubblico generale, l’Università è infatti diventata pletorica per l’apertura di nuove sedi, di nuova Facoltà, di nuovi corsi ecc. (la riforma del 3+2 è stato un vero “disastro”). Ovvio che tagliare ora è ben più difficile di quanto non sarebbe stato l’impedire inutili espansioni, ma noi siamo a questo punto e – se proprio non si ha la forza di chiudere – bisogna ridimensionare, accorpare, razionalizzare, ma soprattutto creare i presupposti perché l’eventuale “selezione” dell’attuale, e soprattutto del futuro corpo docente, avvenga su basi obiettive (la parola magica è: legata al merito).
In ogni caso appare evidente la necessità – tanto per la nazione, quanto per l’Università - di tagliare molti “rami secchi”. Sono questi infatti la vera fonte di ingiustizia nei sistemi pubblici: perché consentono indebiti privilegi, ma anche perché sono causa di scarsa efficienza e di servizi insoddisfacenti. Ma quali i “rami secchi”? Tutti noi sappiamo quali sono a “casa d’altri”, ma poi nessuno è disponibile ad accettare l’indispensabile sistema di valutazione necessario per tentare di individuarli.
Si era provato con i docenti della scuola superiore ed anche per l’Università, ma con scarso successo. Ora l’Università ci riprova e Stefano Fantoni, neo-presidente dell’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della Ricerca) ne ha spiegato obiettivi e criteri in una intervista a “Il sole 24 ore” lo scorso 18 luglio.
Ma docenti ed esperti sono divisi e non pare che ci sia una convinzione reale condivisa in merito.
Ad accrescere la preoccupazione vi è poi lo spirito con cui molti studenti (e le loro famiglie) affrontano il problema dell’Università, preoccupati spesso dell’acquisizione di un titolo – comunque sia – ed assai meno di averlo ottenuto in una sede prestigiosa ed efficiente. A parte l’esperienza personale, lo sosteneva negli anni scorsi il Prof. De Rita, la tendenza emerge chiaramente anche nello “spaccato di scuola quotidiana” che emerge dal libro “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare” di Paola Mastrocola. Preoccupazione perché non v’è dubbio che qualsiasi mezzo di valutazione è sempre inadeguato, per cui è preferibile usarne più di uno e, fra questi, il “giudizio” interessato degli studenti, che ambiscono o meno a quella Università, costituisce una ulteriore garanzia di imparzialità (così almeno in gran parte dei paesi sviluppati).
Ad accrescere la preoccupazione vi è poi lo spirito con cui molti studenti (e le loro famiglie) affrontano il problema dell’Università, preoccupati spesso dell’acquisizione di un titolo – comunque sia – ed assai meno di averlo ottenuto in una sede prestigiosa ed efficiente. A parte l’esperienza personale, lo sosteneva negli anni scorsi il Prof. De Rita, la tendenza emerge chiaramente anche nello “spaccato di scuola quotidiana” che emerge dal libro “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare” di Paola Mastrocola. Preoccupazione perché non v’è dubbio che qualsiasi mezzo di valutazione è sempre inadeguato, per cui è preferibile usarne più di uno e, fra questi, il “giudizio” interessato degli studenti, che ambiscono o meno a quella Università, costituisce una ulteriore garanzia di imparzialità (così almeno in gran parte dei paesi sviluppati).
Se la giustizia non è di questo mondo, pure una qualche giustizia è assolutamente indispensabile. Se quindi è comprensibile una certa riluttanza nell’accettare valutazioni di merito, si deve d’altra parte riconoscere che è meglio sbagliare per insufficienza obiettiva dei criteri adottati, piuttosto che per ignavia e “indecisionismo” cronico. Chiaro che successivamente, e senza indugio, dovranno far seguito importanti decisioni volte a tagliare i rami “veramente” secchi per poter supportare ragionevolmente quanto rimasto, soprattutto la ricerca che della Università è il lievito.
Se però tutto ciò è indispensabile, a mio parere non può bastare; per l’Università italiana – al pari del sistema Italia – è necessario il richiamo di monsignor Vincenzo Paglia del 14 gennaio 2009: ”Ogni riforma che non riformi il cuore è velleitaria e destinata alla sconfitta”. Come dire che non bastano buone leggi ed ottime norme applicative, ma serve la consapevolezza, nella maggior parte dei cittadini, di essere loro gli artefici delle sorti di sé stessi e dell’intero paese. Quasi a bilanciare questa “provocazione” cattolica, concludiamo con una molto simile, ma laica: il 4 febbraio scorso, l’ex Senatore PD Nicola Rossi ha scritto al direttore del Corriere della Sera per denunciare il fallimento di una generazione, dicendo fra l’altro: “E la strada che hanno (i giovani) davanti è la stessa dei tanti che hanno in passato affrontato simili difficoltà e hanno saputo risalire la china: rimboccarsi le maniche, studiare e lavorare di più e meglio per riconquistare i perduti livelli...”.
Come dire che senza impegno personale, che parta dalla conversione del cuore, nulla sarà mai possibile di veramente serio e “rivoluzionario”, nella Università come nel Paese.
Come dire che senza impegno personale, che parta dalla conversione del cuore, nulla sarà mai possibile di veramente serio e “rivoluzionario”, nella Università come nel Paese.