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CALCIO E PARADISO

Totti si ritira dal più bel gioco del mondo

Totti si ritira dal calcio allo scadere del contratto. Da un anno si polemizza su questa scelta della società. Spettava a lui decidere o alla As Roma? Ma la polemica è inutile, per noi spettatori, a cui non resta che ammirare uno dei più grandi giocatori italiani. In uno sport che è il "più bel gioco del mondo", una premonizione del Paradiso.

Sport 14_05_2017
Francesco Totti

La carriera da calciatore di Francesco Totti alla As Roma è giunta al capolinea. Un fatto che non dovrebbe nemmeno costituire una notizia, visto che così prevede il suo contratto, firmato un anno fa e ora in procinto di tramutarsi in un impiego per sei anni in qualità di dirigente, a cifre comunque importanti.

Ma Totti è Totti, uno dei talenti più cristallini che il calcio mondiale abbia mai visto calcare un terreno di gioco. E, nonostante l'anagrafe dica classe '76, il “Pupone” non sembra così pacificamente propenso ad appendere per sempre gli scarpini al chiodo. Comunque sia da mesi, anzi da anni, tutta Italia si domanda (e si divide schierandosi, chi con il giocatore e chi con la società): “Francesco deve smettere di giocare oppure no?”. “È troppo vecchio o è troppo forte e ancora in grado di fare la differenza così da poter strappare l'ennesimo rinnovo?”. Ma soprattutto: “È giusto che sia la società a dire quando il suo campione deve dire addio o è una carognata che a Roma potevano risparmiarsi, lasciando a lui la decisione?”.

Chi, forse per mestiere, ha scelto di affrettare un po' i tempi è lo spagnolo Ramón Rodríguez Verdejo, detto Monchi, il nuovo direttore sportivo della As Roma, in precedenza al Siviglia. L'ex portiere, che dopo due retrocessioni in tre anni ha appeso i guanti al chiodo per ricoprire l'incarico di direttore sportivo nel suo club, non è un parvenu. Monchi, in riva al Guadalquivir, ha scoperto talenti (Reyes e Sergio Ramos, per ricordarne un paio), realizzato buone plusvalenze (Dani Alves e Luís Fabiano, per esempio), ma soprattutto ha regalato agli andalusi successi, tra cui due Coppe del Re e cinque Coppe Uefa, le ultime tre consecutive dal 2014 al 2016, quando già si chiamava Europa League. Successi che anche lungo il Tevere continuano a sognare, ormai da qualche anno, senza riuscire a raggiungerli e per i quali Monchi vorrebbe subito mettersi al lavoro.

Sia chiaro, Totti ha vinto un Mondiale, un Campionato passato alla storia, due Coppe Italia e due Supercoppe, ma soprattutto è un giocatore universale, il suo valore eccede i suoi successi, perché è uno sportivo di quelli che, come Marco Pantani o Valentino Rossi, Michael Schumacher o Roger Federer, ha saputo andare oltre la stretta cerchia dei suoi tifosi e degli addetti ai lavori, affascinando con le sue gesta ampie fette di popolazione e intere nazioni. In più è simpatico ed è un personaggio mediatico, non solo per merito della moglie Ilary Blasi, che recentemente, intervistata da Fabio Fazio, sulla data dell'addio al calcio del marito ha scherzato (o forse non troppo): “ha 40 anni, avrà finito!”. Dunque è inevitabile che intorno a quest'ora fatale si oda ancora un gran clamore.

Appena arrivato in Italia, Monchi ha subito ribadito, con un vertiginoso inciso, quello che la dirigenza ha dato per scontato più di un anno fa: “per quanto riguarda Totti, io voglio che quando smetterà di giocare si metta vicino a me, l'accordo prevede che questo sarà il suo ultimo anno da calciatore, io voglio imparare da lui perché lui è la Roma. E se io imparerò da lui anche l'1% di quello che lui sa sulla Roma allora sarò molto fortunato”.

Parole che, dalle parti di Trigoria, sono risuonate con una definitività che l'allenatore Spalletti non è mai riuscito a (o forse non ha mai voluto) trasmettere, contribuendo ad alimentare sui media, a corrente alternata, la sensazione che per Totti, quella in corso avrebbe potuto essere sì l'ultima stagione, ma forse anche no. Vedremo chi avrà ragione. Se il 28 maggio a Roma contro il Genoa sarà la sua festa d'addio o se si verificheranno imprevedibili colpi di scena. Totti, dal canto suo, interpellato ai microfoni Rai, ha detto “non lo so”, tentando di dribblare l'argomento e da campione qual è ha aggiunto: “io so solo che domenica arriva la Juve e penso solo a quello perché stiamo lottando fino alla fine in campionato”. “Il resto verrà dopo e ci sarà tempo per parlarne”.

Una cosa è certa: nessuno può fermare l'incedere del tempo, nemmeno l'Ottavo re di Roma (quella calcistica). Ed è fuori discussione che, dopo Totti, il calcio saprà trovare sempre nuovi interpreti e fenomeni, anche se i Totti, come i Baggio, i Maradona o i Cruyff rimangono unici e irripetibili. Chissà se il prossimo possa essere proprio lo juventino Dybala, che domenica incontrerà da vicino Francesco e che, più di tanti altri, lo ricorda quanto a estro, bagaglio tecnico e visione di gioco.

Ma a tutti quelli che oggi si interrogano sul fatto se Totti debba smettere o no, se sia giusto o sbagliato che a dirlo sia la società, cosa rimane? Cosa rispondere? Chi ha ragione? Forse tutti e nessuno, perché è una decisione che ultimamente spetta solo e soltanto a Totti e alla sua amatissima società, sia che le loro visioni convergano sia che confliggano. Ai tifosi, agli spettatori, volenti o nolenti, non resta che continuare a godere del calcio. Quello di Totti, per quel che resta, e quello di chi verrà dopo, certi che sarà diverso ma consapevoli di aver visto giocare uno dei più grandi di sempre.

In cosa risiede, dunque, “il fascino di un gioco che”, come ricordava magistralmente l’allora cardinal Joseph Ratzinger nel 1985, “assume la stessa importanza del pane” (e nell'Italia tifosa ciò è, se possibile, forse più evidente che altrove) e continua a farlo nonostante tutto? “Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma”, notava Ratzinger, “panem et circenses”, ovvero i “contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati”. Ma in realtà, prosegue il ragionamento, “è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione”, una “sorta di tentato ritorno al Paradiso”, “l'evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello”.

Il bello dello sport, come il bello del “più bel gioco del mondo”, come amava chiamarlo Gianni Brera, sta proprio qui, in questo suo essere metafora ludica della vita. Una bellezza troppo importante per lasciare che si guasti, come troppo spesso accade, in sterili e arcinote polemiche da bar o preconfezionati, quanto vuoti nel reale contenuto, schieramenti di parte. Una bellezza che, forse non salverà il mondo, ma è certamente premonizione e anticipo del Paradiso, come ha detto il Papa. E quello sì che è eterno; Totti, al massimo, può esserlo per necessità narrativa, perché così vuole la retorica della celebrazione di quei moderni eroi che sono gli atleti. La palla, invece, prima o poi, si ferma. Per tutti, anche per i campioni.