Totalitarismo e Stati falliti: dove si muore di fame
La globalizzazione ha permesso di ridurre la fame nel mondo. L'ultimo rapporto sulla sicurezza alimentare, pubblicato ieri dall'Onu, rivela che la percentuale di malnutriti è passata dal 18,7% della popolazione mondiale, all'attuale 11,3%, pari a 805 milioni di persone. Non tutti si sviluppano allo stesso modo.
Rapporto Fao sulla insicurezza alimentare 2014: la fame nel mondo non è stata sconfitta, ma è decisamente diminuita. Nel biennio 1990-1992 i malnutriti erano il 18,7% della popolazione mondiale, oggi sono l’11,3%, pari a 805 milioni di persone. Considerando che l'ultimo ventennio è quello della globalizzazione, possiamo constatare, prima di tutto, che, nonostante la crisi degli ultimi anni, il mercato globale funziona. Funziona come macro-sistema che elimina la fame.
Mentre si notano progressi in tutto il mondo, questi non sono comunque uniformi. Ci sono Stati come la Cina, il Brasile e la Georgia che fanno passi da gigante. Altri, invece, come la Corea del Nord, lo Zambia e il Madagascar che fanno grandi passi indietro, aumentando la loro popolazione di malnutriti cronici. Nelle statistiche pubblicate ieri sul rapporto Fao, spiccano soprattutto dieci Paesi che hanno ridotto maggiormente il numero di affamati, in percentuale alla loro popolazione nazionale: Armenia, Azerbaigian, Brasile, Cuba, Georgia, Ghana, Kuwait, Saint Vincent e Grenadine, Tailandia e Venezuela. Sono Paesi molto lontani fra loro, con governi ideologicamente diversissimi (dalla liberale Georgia alla comunista Cuba), ma con una caratteristica comune: hanno affrontato di punta il problema della fame delle loro popolazioni e lo hanno risolto, riducendo la percentuale di malnutriti cronici al di sotto della soglia del 5%. Le strategie sono state molto diverse, appunto. In Georgia, il presidente Saakashvili ha puntato soprattutto sulle riforme di libero mercato, ottenendo un boom economico. L’Azerbaigian ha puntato sulla fortuna di essere uno dei maggiori produttori di petrolio della sua regione, così come lo è il Venezuela nella sua. In Tailandia, l'apertura alla globalizzazione e il boom economico degli anni '90, poi proseguito con le politiche di Thaksin Shinawatra nei primi anni 2000, hanno evidentemente prodotto buoni risultati, anche se il Paese è ormai cronicamente instabile dal punto di vista politico dal 2006. Il Brasile, così come il Venezuela, hanno promosso politiche specificamente indirizzate alla lotta alla fame, riconoscendo il cibo come un diritto. La Cina, con le sue riforme economiche verso un’economia di mercato, non ha ancora eliminato il problema della fame: 150 milioni di cinesi sono malnutriti, pari al 10,6% della popolazione. Ma in questo ventennio, 138 milioni di cinesi sono stati sfamati. Un risultato importante, anche se non miracoloso. In India, sempre grazie alle riforme economiche di mercato, intraprese sin dagli anni ’90, ci sono 20 milioni di affamati in meno. La percentuale di malnutriti indiani era del 23,8% nei primi due anni ’90, adesso è del 15,2%.
Il peggiore di tutti è il regime della Corea del Nord, come in tante altre classifiche ormai. La carestia causata da una agricoltura completamente collettivizzata, ha fatto sì che i malnutriti cronici, nel Paese passassero dai 4,8 milioni (23,3% della popolazione) di 20 anni fa ai 9,3 milioni (37,5%) di quest’anno. Un peggioramento netto si registra anche nel Madagascar, dove instabilità politica e guerra civile hanno devastato le strutture economiche e i malnutriti sono passati da 3 milioni e mezzo di vent’anni fa ai 7 attuali (dal 27,3% al 30,5% della popolazione, considerando il notevole aumento demografico nell’isola africana). Nello Zimbabwe del dittatore Mugabe, che era il fiore all’occhiello dell’agricoltura d’avanguardia africana, quando si chiamava Rhodesia ed era governato da Ian Smith, oggi il problema della fame è ancora cronico e riguarda più di un terzo della popolazione. Anche se, soprattutto gli ultimi anni di esperimento democratico, con un governo di coalizione nazionale, hanno ridotto la percentuale di malnutriti cronici dal 39,8% al 31,8% della popolazione.
Queste statistiche possono dire poco, se restano slegate alla storia dei Paesi a cui sono riferite. Come abbiamo visto che sono differenti le cause del miglioramento della situazione alimentare, differenti sono le cause del loro peggioramento. Ma possiamo tentare di rintracciare alcuni trend comuni. Nelle regioni dell’ex Urss, in particolar modo quelle asiatiche, vediamo che l’uscita dal comunismo e la stabilità interna eliminano progressivamente la fame. Gli unici due Paesi della regione che hanno ancora problemi cronici e stanno addirittura peggiorando sono Uzbekistan (sottoposto a una rigida dittatura post-comunista) e il Tagikistan (che ha subito 5 anni di guerra civile e tuttora non è del tutto stabile). L’America Latina ha raggiunto i migliori risultati nella riduzione, o addirittura eliminazione, della fame dei propri popoli. Benché non tutto il sub-continente sia democratico (basti pensare alla dittatura di Cuba e alla democrazia fragile in Venezuela), la maggioranza dei Paesi che lo compongono sono democratici e negli ultimi vent’anni hanno comunque goduto di una notevole stabilità: assenza quasi completa di golpe, guerre civili, rivoluzioni e conflitti internazionali, molto di più rispetto agli anni precedenti.
In Asia si registra ancora il più alto numero di malnutriti nel mondo, in termini assoluti. Ma perché l’Asia è il continente più popoloso del mondo. A ben guardare, assieme all’America Latina, è il continente che ha fatto più progressi per eliminare la fame. La Corea del Nord comunista resta un caso a sé, eccezionale nella sua gravità. In generale, però, il continente che non progredisce o addirittura regredisce è sempre l’Africa. Benché sia beneficiaria dell’attenzione della maggior parte delle Ong nel mondo e abbia ricevuto l’equivalente di numerosi “piani Marshall” in aiuti internazionali, il continente nero presenta sempre un bilancio negativo. Sono ben 8 gli Stati dell’Africa sub-sahariana che hanno visto aumentare la malnutrizione delle loro popolazioni: Botswana, Costa d’Avorio, Liberia, Madagascar, Namibia, Swaziland, Uganda, Tanzania, Zambia. Somalia e Sud Sudan sono “non pervenuti”: è talmente caotica la situazione al loro interno che la Fao non ha potuto stilare le classifiche.
Dove lo Stato è fallito, come in molti paesi dell’Africa, lì regna la fame. Così come laddove lo Stato è totale, come in Corea del Nord. Sono i due estremi che si toccano, in cui la gente muore.