Tommaso, l’incredulità svanisce davanti alla Presenza
Il Caravaggio rappresentò l’incredulità di san Tommaso in una delle sue opere più celebri e riprodotte. Quella conservata a Potsdam, in Germania, sembra essere la versione migliore. La luce, che colpisce il sacro costato di Gesù Risorto, gioca un ruolo fondamentale. Illuminati sono anche i movimenti delle mani, che esprimono il dubbio radicato nel cuore dell’uomo, cui risponde il paziente e infinito amore di Dio.
Michelangelo Merisi (detto il Caravaggio) - L’incredulità di san Tommaso - Potsdam, Bildergalerie
Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 28-29)
Tommaso in ebraico significa “gemello”, come in greco didimo, soprannome dell’Apostolo di cui ci racconta solo il Vangelo secondo Giovanni. L’episodio più celebre che lo vede protagonista è quello che ne riferisce l’incredulità dopo la Resurrezione di Cristo. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, ne fece il soggetto di una delle sue opere più celebri e riprodotte. Le quattro copie che oggi si contano sono sparse in vari angoli del mondo.
Quella conservata a Potsdam, in Germania, sembra essere la versione migliore, per qualità. Fu commissionata intorno al 1601 da uno dei più appassionati mecenati e sostenitori del Merisi, il marchese Vincenzo Giustiniani, che andò con essa ad arricchire la sua già preziosa quadreria. Caravaggio scelse un’inquadratura di tre quarti, disponendo sulla tela orizzontale, emergenti dal fondo scuro, quattro figure. Oltre al Risorto e a Tommaso, sono presenti, alle sue spalle, altri due Apostoli, lo sguardo fisso su quanto sta accadendo.
La luce, che anche qui - come sempre accade nei quadri del maestro lombardo - svolge un ruolo fondamentale, proviene dalla sinistra del dipinto incidentalmente colpendo il costato del Cristo e illuminando, sul lato opposto, la fronte corrugata dei tre discepoli che osservano la ferita. È in gioco la fede e non solo quella di Tommaso.
Investite di luce sono anche le mani, i cui movimenti rappresentano il fulcro di questa composizione perfetta, studiata per far convergere l’attenzione su di essi: semplici gesti che esprimono, in estrema sintesi, il dubbio radicato nel cuore dell’uomo, cui risponde, con altrettanta semplicità e immediatezza, l’amore paziente e infinito di Dio.
Gesù sposta il sudario che avvolge il Suo torace, scoprendo la ferita dentro cui guida il dito di Tommaso, avendone afferrata, dolcemente ma con fermezza, la mano. I Suoi occhi accompagnano la Sua premurosa iniziativa, quasi a volersi accertare che il tocco del discepolo amato lo convinca definitivamente della Sua reale Presenza. E Tommaso, pieno di curiosità, Lo asseconda, verificandone la fisicità del corpo, letteralmente frugando dentro la piaga.
È una constatazione quella che il Merisi fotografa, un avvenimento che non lascia spazio a scetticismi. “L’accaduto, nient’altro che l’accaduto”, ebbe modo di scrivere il Longhi in una delle sue memorabili pagine caravaggesche, irrompe dalle tenebre anche qui, dove il fondale neutro e buio non concede distrazioni.
La visione della scena è così ravvicinata che chiunque la osservi se ne sente inevitabilmente partecipe. Chi di noi, del resto, non ha continuamente bisogno di essere confermato nella fede? Come Tommaso, in questa Pasqua di Resurrezione, possiamo, allora, esclamare: “Mio Signore e mio Dio!”.