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IL TESTAMENTO SPIRITUALE

Tomko, il "papa rosso" che difese i cattolici cinesi

È morto a 98 anni il cardinale slovacco Josef Tomko, che ha servito la Chiesa in circostanze delicatissime, fino al dossier Vatileaks. Nei lunghi anni da prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli si distinse per la lucida fermezza nei rapporti con la Cina. Legatissimo a Giovanni Paolo II, fu il primo a volerlo sugli altari.

Ecclesia 18_08_2022
tomko

«Affido la mia anima alla misericordia di Dio perché possa vedere il Volto di Cristo nell’abbraccio del Padre! Che lo Spirito mi porti a questa Montagna santa!». Sono queste le ultime parole del testamento spirituale del cardinale Jozef Tomko, morto la scorsa settimana a 98 anni. Le scrisse il 27 febbraio 2007, ma nel frattempo è vissuto altri quindici anni fino a diventare il più anziano membro del Sacro Collegio. Alcuni passaggi dello scritto sono stati letti dal cardinale decano Giovanni Battista Re durante le esequie celebrate nella Basilica di San Pietro.

L'ultimo porporato slovacco sarà sepolto, come richiesto, nella cripta centrale della cattedrale di Košice dopo una seconda Messa funebre che sarà celebrata dal cardinale ceco Dominik Duka. L'arcivescovo emerito di Praga gli ha reso omaggio, ricordando gli anni in cui guidò la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli divenendo il prelato dell'ex Cecoslovacchia ad aver raggiunto la più alta carica nella storia della Chiesa. Nel suo testamento spirituale, lo stesso Tomko ha definito quei sedici anni da "papa rosso" (così vengono soprannominati i prefetti della Congregazione) come «il periodo più bello e più lungo della mia vita» durante il quale ha svolto un «servizio che mi ha completamente catturato il cuore e a cui ho dedicato tutte le mie energie» per la «costruzione e la crescita del Corpo mistico della Chiesa». Una lettera che trasuda amore per la Chiesa e riconoscenza per San Giovanni Paolo II con il quale ha collaborato «in sintonia quasi spontanea di idee, di gioie e di sofferenze».

Nel momento in cui la scriveva, si credeva prossimo alla pensione, senza immaginare che negli anni successivi Benedetto XVI – la cui elezione aveva accolto «con grande gioia» – lo avrebbe incaricato di uno dei compiti più delicati nella sua longeva carriera: allo scoppio di Vatileaks nel 2012, infatti, venne chiamato a far parte della commissione incaricata di scoprire chi e cosa c'era dietro il trafugamento ai media di documenti interni riservati. Papa Ratzinger diede a lui e ai confratelli Julián Herranz e Salvatore De Giorgi un mandato pontificio a tutti i livelli per indagare non solo sulla fuga di notizie ma sulle condotte immorali e criminali esistenti in Curia. Otto mesi di interrogatori ai livelli più alti al termine dei quali venivano redatti quei verbali che sono poi finiti nel voluminoso dossier consegnato da Benedetto XVI al suo successore subito dopo il conclave del 2013.

Un dossier ritornato prepotentemente d'attualità qualche mese dopo, nel giugno del 2013, quando Francesco parlò esplicitamente di «lobby gay» in Curia nel corso di un'udienza privata con i vertici della Confederazione latinoamericana dei religiosi e delle religiose, dicendo ai presenti che «è vero, è lì, noi dobbiamo vedere cosa possiamo fare». Dopo quelle parole, la mente degli addetti ai lavori andò subito alle indiscrezioni sul rapporto prodotto dalla commissione dei tre cardinali secondo cui sarebbe esistito un intero capitolo intitolato proprio «rete gay».

Ma la figura del cardinale Tomko rimane legata soprattutto al pontificato di Giovanni Paolo II, quel santo che amava perché capace di rimanere «per oltre un quarto di secolo sul piedistallo del mondo mettendo al centro della scena la fede e non sé stesso». Il porporato slovacco, peraltro, fu il principale sostenitore dell'apertura immediata della sua causa di beatificazione al punto da raccogliere le firme tra i cardinali durante le Congregazioni generali pre-conclave nel 2005. Il Papa polacco lo volle Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, poi Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e in questa veste si trovò a gestire il delicato dossier cinese. Fu lui nel 1988 ad emanare la direttiva – voluta ed approvata da Wojtyla – passata alla storia come gli "Otto punti" sui rapporti tra Chiesa clandestina e Associazione patriottica cattolica cinese invitando ad evitare la comunione sacramentale con i membri delle comunità fedele a Pechino. Nella lettera, indirizzata ai vescovi di tutto il mondo, pur raccomandando la «carità fraterna», il prelato slovacco chiedeva di mettere in guardia chi visitava la Cina da comportamenti che avrebbero potuto far pensare ad un implicito riconoscimento della legittimità dell'Associazione patriottica.

Il combattivo cardinale novantenne Joseph Zen, in procinto di finire alla sbarra per aver sostenuto la causa democratica nell'ex colonia britannica, ha raccontato in passato la sua nomina episcopale fu dovuta proprio a Tomko, che incoraggiò in tal senso Giovanni Paolo II. Sulla questione cinese, il vescovo emerito di Hong Kong ha detto che l'allora Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli si dimostrò «un uomo molto equilibrato che partì da una linea dura per difendere la Chiesa dalla persecuzione, rimanendo aperto alla ragione» e riuscendo ad ottenere dal governo condizioni migliori per i cattolici cinesi rispetto a quelle che si sarebbero viste dopo di lui.

La prova del grande amore e dello zelo pastorale di Tomko nei confronti dei cattolici cinesi resta, in particolare, in un'omelia di ventidue anni fa per il cinquantesimo anniversario delle trasmissioni di Radio Vaticana in lingua cinese: «Sono stati certamente 50 anni difficili per la Chiesa in Cina. È stato un periodo di sconvolgimenti politici e sociali, ma anche di una dura persecuzione contro varie religioni, specie contro la Chiesa cattolica, accusata di non essere abbastanza cinese, abbastanza fedele a quel grande popolo. C’erano i tentativi di staccarla dal suo centro vitale che garantisce la sua cattolicità, dalla Roccia sulla quale Gesù Cristo ha voluto edificare la "sua" Chiesa. Una nuova grande muraglia ideologica doveva isolare quella Chiesa dal resto della Chiesa universale guidata da Pietro. In questa atmosfera, spesso permeata di paura, la Chiesa in Cina è passata attraverso “il fuoco e l’acqua”, tuttavia non è sparita, né diminuita, ma è maturata sulla croce e sta crescendo in numero e nel coraggio della fede».