Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
IL BELLO DELLA LITURGIA

Tintoretto: la bellezza della resurrezione nella croce

La Crocifissione, conservata nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia, fece dire allo scrittore americano Henry James che "in questo dipinto c’è tutto, inclusa la più squisita bellezza". Solo un genio poteva suscitare la percezione del bello rappresentando il momento più drammatico della storia dell’umanità: la morte di Nostro Signore Gesù.

Cultura 13_03_2021

Jacopo Robusti (detto il Tintoretto), Crocefissione, Venezia - Scuola Grande di San Rocco

Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15).

Il grande telero della Crocefissione deve, forse, in parte la sua esistenza all’intercessione di San Rocco, la cui gloria fu dipinta da Tintoretto per l’ovale centrale del soffitto della Sala dell’Albergo, cuore della veneziana Scuola Grande del Santo, che valse al maestro l’assegnazione dell’intero ciclo decorativo da parte della confraternita. Di dimensioni considerevoli – misura  x12 mt – fu eseguito in un solo anno, il 1565, e posizionato sopra il bancone attorno al quale si riunivano i rappresentanti della potente istituzione.

Anche l’antefatto veterotestamentario citato dal Vangelo di Giovanni, il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto, fu dipinto dal maestro ma in un secondo tempo e in un’altra sala, quella Capitolare. La scelta iconografica del tema della Passione - oltre alla Crocefissione sono presenti le tele di Cristo davanti a Pilato, dell’Ecce Homo e della Salita al Calvario - voleva qui significare che questa è l’unica strada per giungere alla gloria del Paradiso, come la storia di San Rocco poteva dimostrare.

Varcato l’ingresso, si viene, immediatamente, calamitati dall’imponente composizione che, all’epoca, riscosse immediato successo e, nei secoli a venire, fu copiata, citata e studiata da artisti e letterati: lo scrittore americano Henry James arrivò a dire che in questo dipinto c’è tutto, inclusa la più squisita bellezza. Solo un genio come Tintoretto poteva suscitare la percezione del bello rappresentando il momento più drammatico della storia dell’umanità: la morte in croce di Nostro Signore.

Il Golgota brulica di personaggi. E, se tutto è ormai compiuto, il mondo sembra non accorgersene. Pare sia convenuto tutto l’esercito romano per assistere al grande evento: cavalieri sopraggiungono specularmente dal fondo e dai lati della scena; due soldati, nascosti dentro a una buca, si giocano ai dadi le vesti di Gesù. In modo apparentemente caotico una variegata umanità, curiosa e indaffarata, si distribuisce nello spazio, animando l’inquadratura la cui profondità è scandita dalle diagonali delle lance e dei legni delle croci dei due ladroni, ancora erigende. I carnefici stanno tirando funi e scavando buche: sembra quasi di sentire il brusio delle voci degli astanti e il clamore nefasto degli strumenti di tortura.

All’orizzonte, uno scorcio di Gerusalemme e il profilo di colline in lontananza sono immersi in un cielo plumbeo e minaccioso, perché anche la natura prende parte al dramma in atto. I bagliori che compaiono tra le nubi oscure fanno presagire una tempesta in arrivo, come pure il vento che scuote le fronde degli alberi.

In primo piano il gruppo formato dalle pie donne, da Giovanni e Giuseppe d’Arimatea schierati attorno alla Vergine, rende, con posture ed espressioni di accentuato realismo, l’intensità del dolore della Madre al cospetto della morte del Figlio. Mentre alle loro spalle s’innalza la Croce.

Il corpo di Cristo, bellissimo, si staglia, luminoso, sulle tenebre circostanti. È questo il punto in cui converge il nostro sguardo che trova, infine, pace, rassicurato dai raggi di luce che il Crocefisso emana. Tutto è dunque, effettivamente, compiuto qui, sulla terra. Osservando con attenzione, però, si nota che dell’asse della croce e dei pioli della scala a essa appoggiata non s’intravvede la fine: entrambe suggeriscono linee potenzialmente tendenti all’infinito. Il momento fissato da Tintoretto sulla tela segna, dunque, l’inizio dell’eternità e della salvezza cui, grazie al sacrificio di Gesù, siamo stati destinati.