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500 ANNI

Tintoretto, il divino irrompe nell'umano

Tintoretto, a 500 anni dalla nascita, una duplice mostra ripercorre la sua carriera in sedi prestigiose: Palazzo Ducale e le Gallerie dell’Accademia nella sua Venezia. Un innovatore che seppe rappresentare il movimento vorticoso della vita che si avvicina alla presenza del divino. 

Cultura 26_12_2018
Tintoretto, Miracolo di San Marco

Aveva uno stile assolutamente peculiare, nuovo e stupefacente, che fece esclamare allo scrittore Henry James, quando contemplò la Crocefissione nella chiesa di San Cassiano a Venezia: «Mi sembrò di essermi spinto all’estremo limite della pittura». Perché Tintoretto stupisce, impressiona, incanta per l’audace pennellata, che infonde tensione alle sue tele, per il dinamismo delle sue figure, muscolose e in vivace movimento, per gli scorci inediti e le prospettive inconsuete che sfidavano la tradizione ben incarnata da Tiziano, eterno rivale, per la sua straordinaria capacità di “far vedere” l’irruzione del divino nelle vicende umane.

Venezia, con le sue chiese e le sue Scuole (confraternite laiche molto attive nel XVI secolo), è già di per sé una mostra permanente del grande Jacopo Robusti, detto Tintoretto, di cui nel 2019 ricorrono i 500 anni dalla nascita, dal momento che sappiamo  con certezza che morì a Venezia il 31 maggio 1594 a 75 anni, e perciò possiamo ipotizzare che sia nato nel 1518/1519. Pensiamo alle meraviglie della Scuola Grande di San Rocco, dove non si può non rimanere colpiti da quel grandioso ciclo decorativo che può essere definito la sua Cappella Sistina. Così è davvero un degno tributo all’artista aver allestito proprio nella sua città (fino al 6 gennaio 2019) un’ampia, duplice mostra che ripercorre la sua carriera in due sedi prestigiose come Palazzo Ducale e le Gallerie dell’Accademia, con le esposizioni Tintoretto 1519-1595 e Il giovane Tintoretto, che ci permettono di comprendere il genio, la modernità, l’audacia e le dimensioni grandiose dell’opera del pittore cinquecentesco.

Gli inizi non furono facili per il figlio del tintore Battista Comin che, partendo da una discreta disponibilità economica, cercava comunque freneticamente committenti in una città piena di concorrenti, per soddisfare la sua ambizione a diventare artista di fama. Trovò i committenti in Chiese e Scuole, in particolare la Scuola Grande di San Rocco, di cui diverrà confratello nel 1565, condividendone le attività caritative e devozionali. Tintoretto aveva una personalità forte, ambiziosa, impaziente e volutamente anticonvenzionale, che si rispecchia perfettamente nell’Autoritratto giovanile (esposto in mostra), dalle pennellate velocissime e vigorose che addirittura danno al quadro quell’aspetto di apparente non-finito, frutto invece intensissimo del “fulmine del suo pennello”. A chi guardava la furia di questo giovane ambizioso pittore? Sicuramente a Michelangelo, e alla sua capacità di disegnare la figura umana, che Tintoretto però associò a un dinamismo del tutto nuovo, quasi scioccante.

Dovette maturare lentamente per affinare la sua veemenza e raggiungere un risultato stupefacente come Il Miracolo dello schiavo esposto alle Gallerie dell’Accademia. Qui scopriamo anche la notevole abilità “narrativa” dell’artista che, in un’unica composizione, fonde tre episodi consecutivi: il denudamento dello schiavo, il fallimento di ogni tortura per l’intervento di san Marco che irrompe nella scena dall’alto a testa in giù e lo stupore con conseguente conversione del padrone dello schiavo; al centro il carnefice col turbante tende verso l’alto gli inutili strumenti di tortura. Una scena in forte movimento, con contrasti di luce e ombra che la rendono altamente drammatica. E qui si manifesta e si riconosce la profonda fede di Tintoretto, che ci mostra con indubbia maestria la realtà imprevista del miracolo nel suo eccezionale sconvolgimento della realtà. Il pittore mostra una cura attentissima del corpo nei suoi movimenti e dei dettagli di abiti e architetture, per meglio esprimere l’irruzione del divino nell’umano.

Eppure qualcuno lo criticò consigliandogli pazienza e moderazione nell’esecuzione dei suoi dipinti, senza comprendere che quella foga era desiderio di modalità nuovissime, per aprirsi al soprannaturale dentro il turgore della carne e nel dinamismo dei corpi così fisici nella loro scultorea bellezza. Ormai per Tintoretto le convenzioni della pittura veneziana erano decisamente alle spalle. Ora era preoccupato di presentare l’evento raffigurato come davvero soprannaturale, non poteva più accontentarsi di una raffigurazione della quotidianità secondo la tradizione. Aveva guardato ai maestri del suo presente e dell’immediato passato, al punto da scegliere come motto da scrivere sul muro della propria bottega, all’inizio della carriera: “Il disegno di Michel Angelo e ‘l colorito di Titiano”. Ma come nuovo pittore della figura umana creò personaggi che si chinavano, si torcevano, si voltavano, si tendevano (che ispirazione i corpi scultorei di Michelangelo!) per mostrare il movimento vorticoso della vita disegnato con il colore, per avvicinarsi sempre più, anche attraverso i clamorosi contrasti di luce e ombra, alla presenza del miracoloso e del divino.

Tuttavia il suo percorso di artista che voleva prepotentemente affermarsi sulla scena di Venezia come “il più arrischiato Pittore del Mondo”, subì un arresto, anche dopo il suo trionfo per la decorazione della Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale. Non mancavano infatti i detrattori, tra cui l’ostile Tiziano, che macchinava per tagliargli la strada nella sua affannosa ricerca di commissioni; e pure l’innegabile talento di Paolo Veronese in parte lo oscurava. Tintoretto reagì alle sfide dei grandi contemporanei con soluzioni inedite e vertiginose, come nella bellissima Presentazione della Vergine al tempio, adottando per esempio un punto di vista così basso per far stagliare contro il cielo la figura di Maria, mentre sale una scalinata ripidissima, in una scena che al confronto con l’omologa dell’anziano collega Tiziano appare rivoluzionaria e stupefacente: un vero movimento verso il divino, corredato dalla viva partecipazione degli astanti nelle pose più diverse.

Fu proprio la competizione con i grandi del suo tempo a stimolare Tintoretto a scelte sempre più innovative e convincenti, come il movimento impressionante degli scheletri del Giudizio finale nella chiesa della Madonna dell’Orto. Finalmente le grandi dimensioni mai osate prima, i fondi ridottissimi accettati dall’artista, i risultati meravigliosi proprio del coro della Madonna degli Orti, gli aprirono le porte per la commissione della decorazione della Scuola Grande di San Rocco: sede che merita una sosta per ammirare i suoi capolavori. Jacopo era talmente sicuro del suo diritto a vincere la gara per la decorazione pittorica della Scuola, che agì in modo decisamente molto disinvolto, attuando una vera e propria prevaricazione: infatti fece installare in segreto un dipinto su tela nella Scuola e lo fece scoprire bello e pronto il giorno del concorso, offrendolo come dono (che la confraternita per regolamento non poteva rifiutare): i rivali si trovarono di fronte al fatto compiuto, la decorazione delle pareti e del soffitto della  Sala dell’Albergo nella Scuola Grande di San Rocco era sua e noi la contempliamo oggi con emozione, in particolare per la descrizione da “regista cinematografico” della drammatica scena della Crocefissione. Non mancarono da questo momento in poi molte altre commissioni in chiese, palazzi e in altre sale della stessa Scuola di San Rocco, cui Tintoretto si dedicò per il resto della vita con un compenso costante ma tutto sommato modesto.

La degna conclusione di un percorso dedicato alle meraviglie di Tintoretto non può che essere una sosta davanti al Paradiso, la gigantesca composizione realizzata dall’anziano artista per la parete della tribuna nella Sala del Maggior Consiglio, definito il più grande dipinto a olio della storia dell’arte. Si tratta di un insieme di corpi umani e figure angeliche turbinanti in uno sfolgorio di luce attorno a Cristo e alla Vergine. Ormai stanco, il pittore dovette avvalersi dell’aiuto del figlio Domenico Robusti, ma per noi sicuramente l’emozione sarà la stessa dei suoi contemporanei allo scoprimento dell’opera: Parve à ogn’uno, che si svelasse à gli occhi de’ mortali la celeste beatitudine… meraviglia non più veduta in terra. In conclusione, per vivere con gioia e profondità le feste natalizie, queste mostre su Tintoretto - assolutamente da visitare - sono un vero regalo.