Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
INTERVISTA

Ticozzi: gli ottimisti in Vaticano si illudono sulla Cina

Mentre si fanno sempre più insistenti le voci sulla possibile firma di un accordo tra Cina e Santa Sede, il governo di Beijing prosegue nelle sue campagne per il controllo politico della Chiesa e per la persecuzione dei cristiani.

Ecclesia 14_09_2018

In queste ultime settimane si è parlato molto dell'ex cardinale Theodore McCarrick per la nota vicenda degli abusi sessuali. Meno noto è invece il suo legame con la Cina, ovvero il suo impegno per un'opera diplomatica nella direzione aperturista che molto sembra in voga in questo pontificato.

Si tratta di un approccio, un "aperturismo ingenuo", molto discusso da chi ha una maggiore conoscenza del modus operandi cinese. Il problema evidnetemente non sono le autorità cinesi, che fanno la loro parte come ci si aspetta da loro, vista la loro evoluzione storica. Il problema è invece l'ottimismo che non procede da una analisi attenta della situazione. Ne parliamo con padre Sergio Ticozzi, missionario del PIME, che da 50 anni risiede a Hong Kong. Il padre ha studiato e scritto di Cina e Cattolicesimo da decenni, essendo fluente nella lingua cinese e anche in alcuni dialetti. Un suo libro in uscita, in lingua inglese, scandaglia ancora il tema dei rapporti fra Cina e Vaticano: "The Never Ending March. China's Religious Policy and the Catholic Church" (Chorabooks, September 2018).

Padre Ticozzi, cominciamo dal piano quinquennale per la sinicizzazione della Chiesa Cinese, un documento recente che dimostra come l'attento osservatore di cose cinesi non deve solo osservare la luce, ma più attentamente scandagliare le ombre. Lei cosa pensa di questo piano?
I responsabili dei due organismi centrali della Chiesa cattolica in Cina, cioè dell’Associazione patriottica e della cosiddetta Conferenza episcopale della Cina, hanno steso il piano quinquennale secondo la pratica della metodologia  tradizionale delle autorità cinesi e nel contesto ideologico della campagna per la sinicizzazione della Religione, lanciata con particolare enfasi dal Presidente Xi Jinping nel 2015. L’interpretazione politica ufficiale, cioè di accettare pienamente la guida del Partito, adattarsi al socialismo dalle caratteristiche cinesi e adeguarsi alle esigenze della società socialista presente, non poteva essere trascurata nella stesura del piano e i responsabili cattolici, volenti o nolenti, vi si sono inchinati. Però hanno cercato di spiegarla anche nel contesto di quanto tradizionalmente si chiama localizzazione e inculturazione della fede cristiana in un determinato ambiente culturale. Hanno allargato quindi la visuale e sottolineato la necessità di questo processo in vari settori: sociale, liturgico, storico, teologico e artistico. Si sono preoccupati, date le presenti carenze nella Chiesa, di suggerire proposte realistiche, come la formazione di esperti, l’apertura di istituti di ricerca, ecc.  Sono però poco valutate le difficoltà e le ristrettezze imposte all’attuazione di queste proposte, che richiedono tempi lunghi. Cinque anni sono solo sufficienti a fare un primo passo. Non sembra però che gli autori del piano siano coscienti che per il Partito comunista cinese ciò che preme è solo la dimensione politica, cioè la loro obbedienza alla sua guida e al suo controllo.

Si sentono voci di un possibile accordo tra Cina e Vaticano annunciato a giorni. Cosa ci può dire?
Sì, persistono voci che prossimamente, in settembre o ottobre, ci sarà la firma di un accordo tra la Cina e il Vaticano, e sono insistenti. E questo nonostante che giungano dalla Cina notizie allarmanti di restrizioni indebite, come proibire ai fanciulli di frequentare la chiesa, ai giovani sotto i 18 anni di ricevere un’educazione religiosa, di lasciare a un comitato del Partito di risiedere nella parrocchia, ecc. Ma si continua a parlare di accordo imminente. Non possiamo fare altro che attendere i fatti.  Se l’accordo viene firmato, se ne deve valutare il contenuto, prima di dare ogni giudizio. Personalmente però, temo che se viene firmato, sarà un po’ deludente data la complessa problematica ora esistente per la Chiesa cattolica cinese. Fondo questa mia opinione su due motivi: il primo è che l’accordo sarà necessariamente ambiguo, risolverà uno o due problemi ma ne lascerà e renderà più difficile la soluzione di altri. Il secondo motivo è che, secondo la mia esperienza in Cina, esiste una grande diversità tra quello che  dicono le autorità centrali da quello che fanno le autorità locali, per cui l’attuazione in loco dell’eventuale accordo creerà molta perplessità.   

Si legge che in Cina ci sono molte resistenze all’accordo, come del resto dalla parte cattolica.
Si, ci sono resistenze all’accordo e, nel caso venisse firmato, alla sua attuazione. Tale opposizione viene soprattutto dai responsabili diretti degli affari religiosi, cioè il Dipartimento del Lavoro del Fronte unito e l’Amministrazione statale per gli affari religiosi, che sono state recentemente uniti insieme. Mentre è il Ministero degli Esteri che spinge verso l’accordo e anche verso il riconoscimento diplomatico per motivi politici. Le due suddette istituzioni vedono nell’accordo una diminuzione se non una perdita della loro autorità, se non un’interferenza nel loro ambito di responsabilità. Ci sono anche molti membri della Chiesa non ufficiale che hanno perso ogni aspettativa in un possibile accordo, perché sospettano che la Santa Sede intenda cedere troppo.

Lei ha un nuovo libro in uscita su Cina e Vaticano, in lingua inglese, “The never ending March”. Cosa si trova in questo libro?
Si tratta di una piccola raccolta di miei articoli recenti già pubblicati altrove, soprattutto riguardanti la situazione e la problematica attuale della Chiesa cattolica in Cina. Ad essi ho aggiunto due nuovi studi sui rapporti tra la Santa Sede e la Cina: il primo un excursus sui vari tentativi che la Santa Sede ha fatto nella storia passata di allacciare rapporti diplomatici con il Governo cinese fino al suo successo nel 1942, mentre il secondo  fa una breve storia dei negoziati attuali tra Roma e Beijing, iniziati sotto Papa Giovanni Paolo II, e che si stanno tuttora svolgendo.