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IL DISASTRO

Tianjin, la Chernobyl chimica cinese

Tianjin, il grande porto della Cina settentrionale che serve anche la capitale Pechino, è protagonista di uno dei più grandi incidenti industriali della storia recente. L'esplosione di un deposito di sostanze chimiche ha causato un numero di morti ancora da calcolare e ha anche contaminato una città da 7 milioni e mezzo di abitanti. Silenzio delle autorità e censura dei media non fermano il dibattito e l'indignazione dei cinesi.

Esteri 15_08_2015
Tianjin, il momento dell'esplosione

Sono passati due giorni dalla gigantesca esplosione che ha scosso il porto di Tianjin, in Cina settentrionale. La natura dell’evento è ormai accertata: si è trattato di un incidente in un deposito di stoccaggio di sostanze chimiche. Ma tanti altri aspetti restano ignoti, a partire dalla causa, dalle sostanze chimiche presenti nel deposito e dal numero delle vittime. La Cina ha vissuto una sua Chernobyl e, proprio come l’Urss, sta cercando di filtrare le informazioni il più possibile. Ma, nonostante tutto, l’esplosione sta alimentando un dibattito sempre più ampio nell’opinione pubblica.

E’ nota la dinamica dell’accaduto. Una prima esplosione nel deposito chimico, di una potenza pari a 3 tonnellate di tritolo, ha causato un grande incendio. Quando sono arrivati i primi soccorsi per cercare di domare le fiamme, è avvenuta la seconda esplosione, di una potenza pari a 21 tonnellate di tritolo. La palla di fuoco è stata talmente grande e luminosa da essere rilavata dai satelliti in orbita. E l’onda d’urto talmente forte che i sismografi l’hanno rilevata come una scossa di terremoto del 2° grado. I soccorsi sono stati letteralmente spazzati via: 17 sono morti sul colpo. I condomini più vicini si trovavano ad appena 200 metri dall’esplosione e sono stati completamente distrutti. Fino a 2 km di distanza, porte e finestre sono state divelte e frammentate. Tutte le auto parcheggiate in un deposito adiacente sono state bruciate dalla palla di fuoco. La Hyundai denuncia la perdita di almeno 4000 nuovi veicoli, la Renault di 1500 fra le sue auto esportate, Fiat Chrysler sta ancora valutando i danni.

Il primo e principale mistero riguarda proprio la natura delle sostanze chimiche esplose nella notte fra il 12 e il 13 agosto. Nella loro ultima conferenza stampa di ieri, le autorità locali hanno ammesso di non sapere quali sostanze chimiche siano esplose e l’esistenza di discrepanze fra i dati forniti dalla dogana e quelli dall’azienda proprietaria del deposito, la Ruihai International Logistics. Da un punto di vista legale, il deposito saltato in aria era in flagrante violazione delle norme di sicurezza, perché si trovava troppo vicino alle abitazioni. Non è dato sapere, però, chi abbia autorizzato la sua costruzione e poi il suo utilizzo. Evidentemente anche la qualità dello stoccaggio delle sostanze chimiche era molto scadente. Una prima ipotesi parla di un’esplosione causata dal contatto fra acqua e carburo di calcio. A innescare l’esplosione maggiore, la seconda, potrebbero essere stati gli stessi pompieri, non informati sulla natura chimica dell’incendio: se hanno usato acqua per domare le fiamme, possono aver dato origine alla reazione letale.

Il quotidiano People’s Daily parla di 700 tonnellate di cianuro di sodio presenti nel deposito. In quel caso tutta l’area sarebbe contaminata e, infatti, lo stesso quotidiano afferma che i livelli di tossicità nell’acqua siano 7, 8 volte superiori alla soglia di sicurezza. Le autorità hanno successivamente smentito questo dato allarmante, hanno negato la presenza del cianuro sostenendo che i rilevamenti, sia in aria che nell’acqua, siano entro le soglie consentite di tossicità.  Però Pechino ha mandato 200 militari esperti in guerra chimica per indagare sull’accaduto. Fosse vero l’allarme del People’s Daily, la grande esplosione del 13 agosto risulterebbe il minore dei problemi per Tianjin, una città da 7,5 milioni di abitanti.

Il secondo punto oscuro riguarda il numero delle vittime. I dati ufficiali (ancora provvisori) parlano di 56 morti e 720 feriti, di cui 71 versano in gravi condizioni. Altre 3500 persone sono state evacuate e sono ospiti in campi profughi allestiti in fretta e furia in scuole e altri edifici pubblici. Solo fra i pompieri i morti sono 17 e 18 i dispersi, uno solo dei quali, un diciannovenne, è stato ritrovato vivo sotto le macerie. Ma i condomini erano, come abbiamo visto, molto vicini, ad appena 200 metri dall’epicentro e tre isolati sono stati travolti dalla palla di fuoco. Era mezzanotte al momento della deflagrazione e i condomini erano pieni di gente che dormiva o che era, comunque, già tornata dal lavoro. Il bilancio di 56 morti è dunque destinato ad aumentare ancora nei prossimi giorni e forse è solo una piccola approssimazione per difetto.

I media stanno giocando il solito ruolo di filtro, tipico dei regimi totalitari. Su Weibo, il principale social network cinese, la gente di Tianjin lamentava il silenzio assordante della locale Tianjin Tv. Ad esplosione appena avvenuta e soccorsi già arrivati, trasmetteva ancora una telenovela sudcoreana. Dopo ore dall’incidente, trasmetteva una rassegna stampa in cui non si parlava neppure dell’esplosione. Tutti i post su Weibo che lamentavano l’assenza della Tv pubblica locale sono stati a loro volta censurati e sono tuttora visibili solo grazie a Free Weibo, un sito che “cattura” i post prima che i funzionari cinesi ci possano mettere mano. E questa è una prova ulteriore della cappa di silenzio stesa su Tianjin. Nella loro prima conferenza stampa, bombardate di domande dai giornalisti, anche le autorità locali si sono date alle gambe, senza rispondere a tutte le questioni principali. Reporter della Cnn e di altre testate internazionali hanno subito intimidazioni, anche in diretta, da parte di “cittadini indignati” con frasi come “non lasciate girare le Tv straniere”, oppure “è un problema che riguarda solo noi”. La Cnn giustifica le aggressioni verbali con la concitazione del momento. Ma è probabile che si trattasse di una forma di censura più sistematica.

La risposta ufficiale delle autorità, fino ai massimi livelli (il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang) è improntata, come sempre, sul principio della punizione esemplare. I due leader cinesi hanno annunciato una “repressione senza precedenti” contro lo stoccaggio illegale di sostanze pericolose. E il presidente promette un’indagine “trasparente”. A partire dalla censura dei media e dei social network? Nonostante lo sforzo di silenziare lo scandaloso incidente e di convogliare l’indignazione su canali ufficiali, Tianjin, proprio come Chernobyl in Urss, sta generando un dibattito che coinvolge decine di milioni di cinesi. Su Weibo, nonostante la censura capillare, la grande esplosione nel porto industriale è ancora uno degli argomenti più gettonati. E risveglia le paure principali: l’incuria dell’ambiente, l’assenza delle più basilari norme di sicurezza a protezione dei cittadini comuni, un forte senso di impotenza di fronte all'arbitrio delle autorità, l’indignazione contro la censura sulle informazioni, il timore che il regime insabbi di nuovo il tutto.

 

Aggiornamento del 15 agosto: la polizia cinese ha confermato la presenza dle cianuro di sodio fra le sostanze esplose. Di conseguenza, anche a causa di venti sfavorevoli che soffiano verso terra, le autorità hanno ordinato l'evacuazione di un'area di 3 km di raggio dall'epicentro dell'esplosione. Nel corso della giornata il bilancio (ancora provvisorio) delle vittime è salito a 104 morti.