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MEDITAZIONE

«Ti ho conosciuto fin dal grembo materno» Così la Bibbia rende sacra la vita dal concepimento

Dai Salmi a Giobbe, da Geremia ai Vangeli fino a San Paolo: pur in mancanza di conoscenze scientifiche sulla vita intrauterina, la tradizione ebraica e cristiana non ha mai considerato l'embrione un semplice grumo di cellule né c'è mai stato spazio per la liceità dell'aborto. Nell’ottica e nel linguaggio della Bibbia agli occhi di Dio ogni embrione umano, fin dal primo istante ha un nome, è conosciuto e amato da Dio come un “tu”.

Cultura 04_05_2015
Feto

La crescita dell embrione

Sappiamo che in ogni civiltà e cultura la vita umana è circondata dal massimo rispetto, al punto che l’omicidio volontario è punito con la massima pena, che può variare a seconda delle legislazioni. Per sfuggire a questa terribile accusa, i sostenitori della liceità dell’aborto giustificano questa loro convinzione dicendo che l’embrione è solo un grumo di cellule che fanno parte del corpo della donna e quindi si possono sopprimere come si sopprimono delle cellule tumorali. Se infatti l’embrione fosse un vero essere umano, la sua soppressione sarebbe un atto gravissimo.

È vero che nei primissimi stadi, esso non riveste ancora fattezze umane e appare solo come un insieme di cellule in sviluppo, ma questa è solo un’osservazione superficiale, ormai smentita dalla scienza. Inoltre, possono i sostenitori della liceità dell’aborto dire che alla 12ma settimana l’embrione sia ancora un grumo di cellule? Al che essi rispondono dicendo che la donna deve essere libera di disporre del suo corpo. A parte il fatto che nessuno è libero di disporre del proprio corpo come vuole, perché è un bene pubblico, e chi danneggia se stesso danneggia anche gli altri (tanto è vero che la legge ci impone di portare il casco quando si va in moto o di mettere la cintura di sicurezza quando si va in macchina), bisognerebbe dire alla donna che vuole abortire: «Guarda che quello che hai nella pancia è il corpo di un ‘altro’; è in te, è ospitato da te, è nel tuo corpo, ma non è il ‘tuo’ corpo, è il corpo di un altro». 

Siccome anche in molti cristiani si è offuscata questa verità, ed essi o fanno finta di non vederla, oppure pensano che sia più importante salvare la propria reputazione, la propria indipendenza, o il proprio benessere, piuttosto che salvare la vita di un essere umano, vediamo che cosa dice la Bibbia della vita intrauterina. Ricordiamo che molte conoscenze sulla biologia della riproduzione umana sono state raggiunte solo a partire dalla seconda metà del XX sec. Per millenni e millenni gli uomini non sapevano come avvenisse la fecondazione, anche se constatavano che la gravidanza durava nove mesi. L’idea prevalente era che l’utero della donna fosse solo un ricettacolo nutritivo e che la nuova creatura dovesse tutto al seme del padre.

Nel Medioevo i teologi poi si posero pure il problema di quale fosse il momento esatto in cui Dio infondeva nell’embrione l’anima umana. In effetti, nei suoi primi stadi l’embrione è così piccolo che è difficilmente osservabile e solo dopo parecchie settimane comincia ad essere visibile e a prendere una forma umana. Così alcuni pensavano che l’anima fosse immessa nel corpo con l’apparire di quella forma. Quindi prima di ricevere l’anima, dicevano, l’embrione è solo capace di ricevere una vita umana, cioè l’anima, ma non è ancora persona umana.

Oggi però la scienza ha fatto progressi incredibili, e sappiamo che l’ovulo fecondato, o zigote, è formato in eguale misura dalla fusione dei gameti del padre e della madre, e che questo ovulo fecondato fin dal suo primo istante ha il suo proprio DNA, distinto da quello dei genitori. Anche se non si vede ancora nulla, però è già tutto “programmato”: sesso, colore dei capelli e degli occhi, ecc. ecc.; l’ovulo fecondato deve solo crescere e svilupparsi secondo quella “programmazione”, che è appunto la sua “anima”, un’anima umana, e perciò spirituale, creata da Dio; lì c’è un essere umano nuovo, che prima non esisteva. Non c’è nessun confronto con gli spermatozoi maschili o con l’ovulo femminile presi separatamente: questi fanno parte del corpo dell’uomo o della donna e possono andare perduti, come avviene in natura nella maggior parte dei casi, mentre l’ovulo fecondato è un nuovo essere, tanto è vero che il corpo della donna subito se ne accorge, e mette in atto tutta una serie di provvedimenti per ospitare questa nuova creatura. Ora gli uomini che hanno scritto la Bibbia non sapevano nulla di tutto questo. Perciò sarà tanto più interessante vedere come essi parlano della vita intrauterina.

Partiamo dal Salmo 139 (o 138 nella traduzione latina), un testo di almeno 500 anni prima di Cristo. La Bibbia lo assegna a Davide, ma gli esperti dicono che si tratta di un’attribuzione convenzionale; in realtà, non conosciamo l’autore, che probabilmente era un sacerdote addetto al Tempio. Nella sua preghiera, egli inizia con il riconoscere che Dio è presente dappertutto e conosce ogni cosa, anche le cose più segrete, anche i pensieri. E riflettendo sulla sua propria vita, questo sacerdote-poeta (i salmi infatti sono poesie) non pensa affatto che la sua esistenza sia iniziata con la nascita, ma è convinto che lo fosse già da prima, quando lui era ancora nell’utero di sua madre. La cosa sorprendente è che parlando di quel periodo in cui era in gestazione, dice “io”: se potesse usare il linguaggio di oggi, direbbe: “Quell’embrione ero io!”.

Così dunque si esprime parlando a Dio: «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre» (v. 13). Cioè non ero ancora perfettamente formato, ero come una tela che si sta tessendo, dove ancora non si vede il disegno finito, ma nella mente del tessitore (= Dio) quel disegno c’era già, ed ero io! E continua: «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (v. 15). Il grembo materno è misterioso, come le profondità della terra, ma Dio le conosce e vede quel “ricamo” mentre si sta formando: «Ancora informe, mi hanno visto i tuoi occhi; anche i giorni fissati per me, erano tutti scritti nel tuo libro, quando ancora non ne esisteva uno» (v. 16). E’ vero che noi contiamo i nostri giorni dalla nascita, ma Dio comincia a contarli da prima, perché lui «fa crescere i nostri giorni fin dal seno materno» (Sir 50,22).

Allo stesso modo parla Giobbe, quando descrive la sua vita intrauterina: non è la vita di un’altra cosa, di un grumo di cellule che poi sono diventate lui, no, era già lui stesso: «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte ... di pelle e di carne mi hai rivestito, di ossa e di nervi mi hai intessuto» (Gb 10,8-11). Anche lui direbbe oggi: “Quell’embrione, ero io!”. Per gli antichi il concepimento era un evento misterioso per l’uomo, ma non per Dio, così che non ci potevano essere dubbi sulla continuità che c’è tra il concepito e il nato. Dice la madre dei fratelli Maccabei, martiri per la loro fedeltà alla legge mosaica: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né ho dato forma alle membra di ciascuno di voi» (2Mac 7,22). È evidente che ciò è opera di Dio: «Così dice il Signore che ti ha fatto, che ti ha formato dal seno materno» (Is 44,2). E’ sempre lo stesso “tu”, sia prima che dopo la nascita, come dice Tobia al figlio: «Ricordati, figlio, che tua madre ha corso tanti pericoli per te, quando tu eri nel suo seno» (Tb 4,4).

Veniamo ora al profeta Geremia, un sacerdote nato nella regione a nord di Gerusalemme verso il 650 a.C. Ecco quello che ha scritto, riportando le parole che furono rivolte a lui da parte di Dio stesso: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato» (Ger 1,5). Questo testo è straordinario: Dio tratta Geremia come una persona e lo “consacra” profeta prima ancora che nasca; e mentre si stava formando nel grembo materno, Dio gli dice: «Io ti ho conosciuto», come si conosce una persona! Anche un altro profeta, i cui oracoli sono stati inclusi nel libro di Isaia, dice: «Ascoltatemi... udite attentamente», come a dire, guardate che sto per dire una cosa sorprendente: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49,1). Quello che noi chiamiamo embrione, per Dio ha un nome, è una persona! E già allora ha ricevuto una vocazione, è stato chiamato al servizio divino: «Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno» (Is 49,5). La stessa cosa dirà Paolo molto tempo dopo, quando affermerà: «Dio mi ha scelto [per essere apostolo] fin dal seno di mia madre» (Gal 1,15). Dio non aspetta a entrare in rapporto con una persona quando questa è adulta, ma lo fa fin dal concepimento, così che il salmista può dire: «Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno» (Sal 71,6). E Luca nel suo Vangelo dice di Giovanni Battista, riportando le parole dell’angelo: «Sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di suo madre» (Lc 1,15).

Gli antichi non avevano strumenti per vedere come era il feto dentro il ventre della madre, però le mamme lo sentivano e come! Il Vangelo di Luca ci dice che quando Maria, che era appena rimasta incinta di Gesù per opera dello Spirito Santo, andò a trovare la cugina Elisabetta, che aspettava un bambino ed era al sesto mese, successe una cosa sconvolgente: non appena Elisabetta ebbe udito la voce di Maria, che la salutava, il bambino che aveva in grembo fece un salto di gioia! Altro che ecografia! E da questo fatto, Elisabetta capì che Maria era incinta (non poteva vederlo perché Maria era al massimo alla terza settimana!), e la chiama “madre del mio Signore”. Anche questo titolo è sorprendente: ci dice che una donna che aspetta un bambino, anche se è appena stato concepito, anche se questi è ancora quasi invisibile, è già mamma!

La dottrina cattolica ha un dogma (cioè un insegnamento che la Chiesa proclama come rivelato da Dio) che ha ripercussioni importantissime su questo argomento: è il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato dal beato Pio IX l’8 dicembre del 1854. A quel tempo la scienza non sapeva ancora quasi niente sulla fecondazione umana, però la fede della Chiesa ha mostrato di avere una chiarezza sorprendente che ha preceduto la scienza. Che cosa dice quel dogma? Che la Beata Vergine Maria fin dal momento del suo concepimento è stata “piena di grazia” e quindi, in previsione dei meriti di Cristo Salvatore, è stata preservata dal peccato originale. Ciò significa che la B.V. Maria fin dal primo istante della sua esistenza aveva un’anima spirituale, capace di ricevere la grazia della santificazione, e perciò si chiama “Immacolata Concezione”.

Questo dogma ci insegna alcune cose importanti per il nostro argomento: primo, un essere umano inizia ad esistere fin dal primo istante del concepimento; secondo, questo essere umano fin dal primo istante ha un’anima spirituale e perciò è una persona umana. Se è una persona umana, va rispettata in tutti i suoi aspetti, e prima di tutto nel suo diritto alla vita. Nell’ottica e nel linguaggio della Bibbia possiamo dire che agli occhi di Dio ogni embrione umano, fin dal primo istante ha un nome, è conosciuto e amato da Dio come un “tu”. Se per cause naturali o - purtroppo - per deliberata volontà umana, questo embrione non ha modo di svilupparsi e crescere e venire alla luce, possiamo pensare che Dio non lo abbandoni, perché per lui è già una persona; possiamo pensare anche che gli comunichi la sua grazia e che alla risurrezione finale Dio farà in modo che la “programmazione” che già c’era e che è stata interrotta, sia portata a compimento, e nel modo migliore.