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JIHADISMO

Terroristi o emigranti: l'incubo dei giovani africani

A fine agosto 2015 la Nigeria ha annunciato che Boko Haram stava inviando centinaia di militanti in Libia e Siria per rafforzare le basi dell’Isis di quel Paese. Non solo, migliaia di giovani si arruolano nelle fila dei gruppi terroristi allettati da false promesse di successo economico. Jihadismo o emigrazione: non c'è scampo.

Esteri 26_10_2015
Guerrigliero di Boko Haram

Secondo Mosca un gruppo di combattenti Boko Haram, i jihadisti che hanno la loro roccaforte nel nord est della Nigeria, sono arrivati in Siria, militano nell’Isis, lo Stato Islamico. Lo ha detto il 22 ottobre il capo dell’amministrazione presidenziale russa, Sergey Ivanov: è un fatto che preoccupa molto – ha commentato nel dare la notizia – «in esso vediamo il terrorismo passare a un livello superiore, globale». Nell’estate del 2014 Boko Haram aveva dichiarato la propria adesione al Califfato creato pochi mesi prima da al Baghdadi tra Siria e Iraq. A fine agosto 2015 la Nigeria ha annunciato che Boko Haram stava inviando centinaia di militanti in Libia per rafforzare le basi dell’Isis di quel paese. 

Secondo il governo nigeriano, per raggiungere la Libia i Boko Haram seguono le rotte nel deserto, le stesse usate dai trafficanti di uomini che portano sulle coste del Mediterraneo centinaia di migliaia di giovani provenienti dall’Africa subsahariana. Una di queste rotte attraversa il Niger dove si trova uno dei grandi centri di raccolta degli emigranti, Agadez. In Niger si trova anche uno dei campi allestiti dai jihadisti per addestrare i giovani africani che decidono di unirsi alla guerra santa. Ne arrivano da tutta l’Africa subsahariana, di recente anche dal Ghana, uno stato dell’Africa occidentale in cui i musulmani sono poco più del 17% e che fino a poco tempo fa sembrava del tutto al sicuro dal contagio islamista. Da mesi invece le autorità ghaniane tengono sotto controllo diversi atenei e indagano sul reclutamento di studenti universitari da parte di agenti dell’Isis. I giovani vengono convinti a iscriversi ai forum on line aperti dai jihadisti e poi indotti ad aderire all’Isis con promesse allettanti e prospettive “irresistibili”, spiega il coordinatore della sicurezza nazionale Yaw Donkor: ma per ora i giovani ghaniani reclutati non sono molti – sostiene – non c’è motivo di allarmarsi. Tuttavia le rassicurazioni del governo non convincono. 

Uno dei giovani ghaniani partiti per combattere il jihad è Mohammad Nazir Nortei Alema, 25 anni, studente di geografia presso la pretigiosa Università di scienze e tecnologia Kwame Nkruma. Se n’è andato senza preavviso. Ha comunicato alla famiglia la sua decisione tramite un messaggio WhatsApp quando era già lontano da casa. Si suppone che abbia raggiunto il centro di addestramento del Niger passando dal vicino Burkina Faso. Oppure, come altri suoi coetanei, potrebbe aver scelto di raggiungere la Nigeria, attraversando Togo e Benin, e in quel caso è possibile che si sia affidato poi ai Boko Haram per effettuare il resto del viaggio fino al Niger.  

Se in Ghana i giovani entrati in clandestinità per ora sono pochi, in altri Stati africani si contano ormai a migliaia. È il caso del Kenya dove a reclutare i giovani sono gli al Shabaab, il gruppo islamista legato ad al Qaida nato in Somalia nel 2006. Dato più volte per prossimo alla resa, al Shabaab continua a compiere attentati, anche nella stessa capitale somala, Mogadiscio, dove è in grado di colpire sedi governative e basi militari. Ma il 21 ottobre l’Oim, Organizzazione internazionale per i migranti, ha rivelato che quasi 700 jihadisti kenyani, militanti in al Shabaab, hanno “disertato” e sono tornati in Patria. Un rapporto pubblicato dall’Oim in collaborazione con il ministero degli Interni del Kenya spiega che si tratta di giovani in gran parte di età compresa tra i 18 e il 34 anni che dicono di essersi uniti ad al Shabaab spontaneamente. Quelli più giovani, e non sono pochi, per un terzo circa sono stati rapiti e arruolati a forza. A deciderli a lasciare il jihad sembra essere stato il fatto che fare i terroristi si è rivelato meno remunerativo di quanto era stato promesso loro. 

Questo evidenzia una differenza rilevante tra i jihadisti. Ci sono quelli temibili, anzi terrificanti perchè, come li ha perfettamente descritti il giornalista Domenico Quirico in una intervista rilasciata al settimanale Tempi il 19 ottobre, è «tutta gente pronta a morire, la possibile perdita delle vita gli è completamente indifferente»; li spinge la «volontà di uccidere e la disponibilità a morire per Dio. (...) Si concepiscono come la mano con cui Dio agisce nella storia». Come già aveva spiegato in un suo libro, «è inutile chiedergli chi sono, da dove vengono, cosa facevano prima di cominciare a combattere: qualunque cosa fossero, non conta più nulla, è stata eliminata dalla loro identità. Non hanno un passato, non hanno più affetti. Sono come pagine bianche sulle quali è stato stampato un codice identitario completamente nuovo». Non hanno neanche più un futuro che non sia il jihad, non torneranno più indietro. 

Non così quelli arruolati per una paga, allettati dai bottini di guerra, dal potere e dalla vita facile. Loro, se insoddisfatti, tradiscono e disertano, come i ragazzi kenyani che magari torneranno a combattere il jihad, se non si troveranno bene a casa, ma non intendono morire nè per Dio nè per nessuno. O forse, invece di riunirsi agli al Shabaab, allora partiranno per il Mediterraneo e l’Europa, anche in questo caso attratti da prospettive di facili guadagni, attirati da promesse grandiose: ma, questa volta, cadendo nell’inganno dei trafficanti di uomini.