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L'ANALISI

Terrorismo, l'Inghilterra ha la soluzione: non parlatene

Nessuna proposta viene avanzata per contrastare l'emergenza inglese, ed europea, del terrorismo islamico. Anzi, proprio il Regno Unito, sembra indicare una sola alternativa: smettere di parlarne, così passerà.

Esteri 18_09_2019

L'assistente commissario Neil Basu - ai vertici della polizia metropolitana di Londra -  ha espresso, pochi giorni fa, alla conferenza internazionale sulla lotta al terrorismo in Israele, tutta la sua preoccupazione  per la copertura che la stampa inglese dedica alle questioni di sicurezza e al terrorismo. E' convinto, infatti, del fatto che spesso parlare troppo possa, involontariamente, promuovere il terrorismo.

Basu ha affermato di comprendere l'enorme richiesta del pubblico di informazioni quando il Paese ha subito attentati terroristici, eppure non sente di condividere l'idea che una copertura "implacabile" sia stata, o possa essere in futuro, utile ad ostacolare il terrorismo. Ritiene, infatti, che i media giochino un ruolo importante nel contribuire ad impedire "agli estremisti di lanciare attentati". "Non cerco di minare le libertà di stampa - sono importanti - ma voglio lavorare con loro per capire se possono aiutare a prevenire, non a promuovere il terrorismo", ha  concluso.

Già lo scorso anno sosteneva che più polizia non fosse sufficiente a fermare il terrorismo: "La cura va cercata altrove". Anche perché Basu, che ha tutte le carte in regola per essere il prossimo capo di Scotland Yard di Londra, - ed è responsabile dell'antiterrorismo a livello nazionale - sostiene che la maggior parte della minaccia terroristica sia connessa al clima di intolleranza che si respira nel Paese. Ma soprattutto che non si può cercare di puntare ad assimilare gli islamici alla cultura britannica: significherebbe costringerli a nascondersi. A rinnegare se stessi.

Quello della sicurezza legata al terrorismo deve essere, però, un tema piuttosto caldo in Gran Bretagna ultimamente. Perché quasi in contemporanea il Tony Blair Institute for Global Change ha pubblicato un rapporto, 'Designating Hate: New Policy Responses to Stop Hate Crime' che raccomanda iniziative radicali per combattere i gruppi di "odio", anche se non hanno commesso alcun tipo di attività violenta. Il think-tank punta il dito contro il problema, dal loro punto di vista, più urgente: "la natura pericolosa di gruppi d'odio di destra, tra cui Britain First e Generation Identity. Ma le leggi attuali non sono in grado di fermare questo genere di formazioni che diffondono odio e divisione, anche se non sostengono violenza".

Il think-tank è dell'opinione che l'odio, specie on line, sia cresciuto in prossimità di attentati terroristici. Per esempio gli attentati del 2017 (non solo in Inghilterra), secondo il Tony Blair Institute for Global Change, hanno fatto registrare un aumento di odio nel Paese pari a quasi il 1000%.

Pertanto, quel che va assolutamente combattuto, l'emergenza nazionale è l'odio verbale che i cittadini riversano sui vari social network come risposta al terrorismo islamico. Ecco, allora, l'ostacolo credibile ed efficace al terrorismo. Probabilmente perché gli attentati sono diventati talmente parte integrante della vita inglese, che urge insistere sulla sfera dell'emotività.

Il rapporto 'Designating Hate: New Policy Responses to Stop Hate Crime' risulta molto esplicativo da questo punto di vista quando afferma, "i gruppi divisivi - in particolare i gruppi di estrema destra sempre più integrati - diffondono odio con relativa impunità perché le risposte all'estremismo non violento rimangono non coordinate; gli episodi di odio ruotano attorno ai grandi eventi, lasciando le comunità esposte. Ma soprattutto gli autori dell'odio religioso sono raramente perseguiti a causa di lacune nella legislazione".

Una delle soluzioni suggerite dal think tank sarebbe, dunque, creare una nuova legge per designare i "gruppi d'odio", in modo da colmare un vuoto normativo europeo e fermare chi diffonde intolleranza e antipatia. Si parlerebbe, pertanto, di reati intellettuali, legati al pensiero. Per rendere nullo, poi, anche un qualsiasi discorso politico che viene dagli ambienti di destra - quelli che per il think-tank tendono maggiormente a diffondere odio. E si arriverebbe ad avere, di conseguenza, un Ministero degli Interni in grado di accusare qualsiasi gruppo ritenuto politicamente scomodo perché giudicato capace di "diffondere l'intolleranza" o di "allinearsi con le ideologie estremiste" - e designarlo come un "gruppo di odio".

Ma nessuna proposta viene avanzata per contrastare, nel frattempo, l'emergenza inglese, ed europea, del terrorismo islamico. Anzi, proprio il Regno Unito, sembra indicare una sola alternativa: smettere di parlarne, così passerà.

Su altre lunghezze d'onda sembra, invece, il leader di Al Qaeda Ayman al-Zawahiri. Che, lo stesso giorno dell'anniversario dell'11 settembre, ha fatto appello ai musulmani perché non si distraggano e attacchino obiettivi militari statunitensi, europei, israeliani e russi.

Come riporta SITE - il gruppo di intelligence che traccia l'attività online dei terroristi - al-Zawahiri nel video pubblicato se la prende con gli ex combattenti che in carcere hanno cambiato idea. Per poi concludere, "proprio mentre cospirano e uniscono le forze contro di noi, dobbiamo inseguirli ovunque in un momento e in un luogo di nostra scelta. Siate inventivi e creativi nei vostri metodi".   

La stessa creatività con cui l'Inghilterra azzarda soluzioni.