Terrorismo in Nigeria: è proprio guerra santa
Mentre si intensificano gli attacchi di Boko Haram, l'arcivescovo di Abuja nega la matrice religiosa del terrorismo. Non sono d'accordo gli altri vescovi e a ragione: nel paese è stata dichiarata la jihad, e colpisce anche i musulmani che non sono abbastanza devoti alla causa.
Non si allenta in Nigeria la morsa di Boko Haram, il gruppo terrorista islamico che dichiara di voler imporre la legge coranica in tutto il paese e fa strage di cristiani. Dal 16 giugno una serie di attentati hanno causato ben 70 vittime. Uno degli episodi più gravi si è verificato tra il 16 e il 17 giugno a Damaturu, capitale dello stato di Yobe, dove un commando è penetrato di notte nel collegio di una scuola secondaria uccidendo sette studenti e due insegnanti. Nelle stesse ore, sempre a Damaturu, è stato attaccato un check point dell’esercito e tre militari sono stati feriti gravemente. Il giorno successivo, nello stato di Borno, i terroristi hanno assalito una scuola privata della capitale Maiduguri, uccidendo nove degli studenti che vi stavano sostenendo gli esami di fine anno, e un’altra strage si è verificata ad Alau Dam, un villaggio di pescatori in prossimità della principale diga della regione: qui le vittime sono state almeno 13, sembra uccise perché accusate da Boko Haram di aver favorito l’arresto di alcuni esponenti del gruppo armato.
Tutto questo avviene nonostante che il governo abbia dichiarato il 15 maggio lo stato d’emergenza in tre stati del nord est, Borno, Yobe e Adamawa, e dal 12 maggio a caccia dei terroristi abbia dispiegato migliaia di militari con il supporto aereo di caccia ed elicotteri da combattimento. Si affievoliscono così le speranze riposte nel processo di conciliazione contemporaneamente avviato dal governo, con il sostegno di alcune autorevoli personalità religiose islamiche, e nell’amnistia proposta all’inizio di aprile ai terroristi disposti a deporre le armi. Peraltro, all’annuncio dell’amnistia, Boko Haram aveva risposto sostenendo di non aver commesso nulla di male: “al contrario, siamo noi che dovremmo perdonarvi” aveva sprezzantemente replicato Abubakar Shekau, il leader del gruppo su cui alcuni giorni or sono gli Stati Uniti hanno posto una taglia di sette milioni di dollari.
Quanto sta accadendo sembra purtroppo dare ragione al presidente nigeriano Goodluck Jonathan che nel gennaio del 2012, in un memorabile discorso alla nazione, aveva definito la situazione creatasi nel paese peggiore, più pericolosa di quella sfociata negli anni 60 nella guerra civile del Biafra. Concordano da tempo con il presidente i vescovi nigeriani. In un documento dal titolo “Salvare la Nigeria dal crollo”, pubblicato lo scorso maggio, parlano di “un’escalation di violenza e criminalità senza precedenti”, di una situazione “che nel modo più ottimistico può essere definita una guerra di bassa intensità”. A proposito dell’amnistia, il documento auspica che sia intesa come strumento di pacificazione e non come mezzo per “placare i criminali e i loro sostenitori perché stiano tranquilli”. I vescovi mettono poi il dito sulla piaga quando spiegano il successo crescente di Boko Haram presso la popolazione con i fattori che impediscono lo sviluppo del paese: “è chiaro – scrivono – che il nostro paese sta vivendo gli effetti cumulati e l’impatto corrosivo della corruzione; se i nostri leader politici non troveranno il coraggio di utilizzare le istituzioni dello Stato per combatterla, questo mostro divorerà la nazione intera”.
Per capire la gravità delle parole dei vescovi cattolici, basti pensare che la Nigeria da decenni è il primo produttore di petrolio del continente africano. Tuttavia il 68% della popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno ed è quindi sotto la soglia di povertà. La Nutrition Society of Nigeria ha appena pubblicato un rapporto in cui si dice che un bambino nigeriano su tre muore di denutrizione e che 11 milioni di bambini di età inferiore a cinque anni soffrono di disturbi della crescita dovuti ad alimentazione insufficiente.
In parte dissonante rispetto al documento dei vescovi è il discorso pronunciato dall’arcivescovo di Abuja, cardinale John Onayekan, durante il X convegno di Oasis, la rivista fondata dal cardinale Angelo Scola, svoltosi a Milano il 17 e 18 giugno. Pur ammettendo la crescente popolarità di Boko Haram e i cristiani uccisi, il cardinale sostiene: “è difficile capire se gli attacchi ai cristiani e alle chiese abbiano un chiaro movente religioso e quale scopo. Notiamo – prosegue – che di tanto in tanto questi gruppi manifestano la loro volontà di istituire in Nigeria uno stato islamico governato da una severa forma di shari’a”. Dato che nel compiere le loro azioni “gridano sempre lo slogan islamico ‘Allah u akbar’ (più che uno slogan, l’inizio della dichiarazione di fede islamica; significa: “Allah è il più grande”, n.d.A), la comunità musulmana della Nigeria non può rinnegarli”. Il cardinale Onayekan conclude quindi la sua analisi della situazione asserendo: “in Nigeria non vi è ‘guerra di religione’, ma una serie di attacchi terroristici con autori in parte locali e in parte stranieri”.
In verità è difficile dubitare del movente religioso quando dei cristiani vengono uccisi in chiesa, durante la messa. Neanche induce a dubitarne il fatto, spesso rimarcato, che vengano uccisi anche dei musulmani: infatti, in Nigeria come altrove, il terrorismo islamico colpisce i correligionari ritenuti non abbastanza devoti, trasgressivi, di ostacolo all’imposizione di un’interpretazione rigorosa della legge coranica e alla diffusione dell’Islam nel mondo intero. Il nome ufficiale di Boko Haram è “Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awati wal-Jihad”, Gruppo votato alla diffusione degli insegnamenti del Profeta e al jihad. Può darsi che quella in corso in Nigeria non si possa chiamare “guerra di religione”, ma si tratta senza ombra di dubbio di jihad, guerra santa.