Terrorismo a Stoccolma, nella Svezia pacifista
Ormai è una scena consueta, rischiamo l’assuefazione. Un altro camion contro la folla, questa volta a Stoccolma. Perché proprio la Svezia, dopo che sono state colpite la Russia e il Regno Unito? L'Europa è tutta un unico bersaglio, ma gli attentati riescono solo lì dove i terroristi nuotano in un mare di estremisti.
Ormai è una scena consueta, rischiamo l’assuefazione. Un altro camion contro la folla, questa volta a Stoccolma. Il bilancio, ancora provvisorio, è di tre vittime. La capitale del paese scandinavo neutrale, emblema dell’accoglienza e dell’integrazione multiculturale, è stato colpito all’indomani di Londra e San Pietroburgo (e Berlino e Nizza e tutti gli altri). Occidente, Russia e neutrali: la nuova ondata di terrorismo non fa alcun distinguo.
L’arma dell’attentato, in questo caso, è un piccolo camion della birreria Spendrups. Nel primo pomeriggio il veicolo era in sosta e il suo autista era sceso temporaneamente dall’abitacolo per scaricare la merce. E’ in quel momento, approfittando del fatto che fosse incustodito, che il camion è stato rubato. Poco dopo, poco prima delle 15, quello che appariva come un normale furto si è trasformato in un attentato. In centro città, nei pressi della stazione centrale e in una via dello shopping affollata, il camion si è andato deliberatamente a schiantare nella vetrina del negozio Ahlens. I testimoni riferiscono che l’attacco è giunto così all’improvviso e l’urto è stato così forte che per i primi istanti si è pensato a una bomba. “Ero terrorizzata, è stato tremendo. Ho visto una donna che aveva perso le gambe. Potevo essere io”, dice alla stampa Nasrin, esule siriana che ha visto piombare nel cuore di Stoccolma lo stesso orrore del suo paese d’origine. Sul luogo dell’impatto è scoppiato anche un piccolo incendio. Non appena sono giunti i soccorsi, tre persone erano rimaste sul terreno. I feriti, al momento, sono otto. Non è ancora stata emessa alcuna rivendicazione, ma la modalità dell’attacco fa ancora una volta pensare allo Stato Islamico. Ne è sicuro anche il governo svedese, solitamente molto prudente nelle sue dichiarazioni: “La Svezia è stata attaccata, tutto fa supporre che si tratti di un attentato terroristico”, ha subito dichiarato il premier Stefan Löfven.
L’emergenza è scattata subito dopo l’attentato: stazione centrale evacuata, metropolitana chiusa, reparti speciali della polizia mobilitati. E’ ancora in corso la caccia all’uomo, nel momento in cui questo articolo va online. Un primo identikit ritrarrebbe un uomo in felpa e cappuccio rialzato, una foto scattata dalle telecamere di sorveglianza prima del furto del camion. La notizia di una sparatoria poco lontano dal luogo dell’attentato non è stata ricollegata alla caccia all’uomo.
Perché la Svezia dopo la Russia e il Regno Unito in così rapida sequenza? A giudicare da una logica terroristica occidentale, non vi sarebbe alcuna ragione di colpire in Svezia. Contrariamente al Regno Unito non fa parte della coalizione anti-Isis e non prende parte alle operazioni militari in Iraq contro il Califfato. Contrariamente alla Russia, la Svezia non è alleata di Assad in Siria. Non è neppure un paese che sostiene la causa di Israele. Anzi. Nell’ottobre del 2014, all’indomani della guerra a Gaza, la Svezia fu il primo paese europeo a riconoscere ufficialmente la Palestina.
La storia recente svedese, tuttavia, dimostra come il paese sia, da almeno undici anni, nel mirino dei jihadisti. Nel 2010, poco lontano dal luogo dell’attentato di ieri, un terrorista suicida aveva provato a provocare una strage facendosi saltare in aria. Era però morto solo lui stesso e aveva ferito due passanti. La Svezia venne indirettamente coinvolta nella campagna di odio scatenata dai radicali islamici contro i vignettisti che avevano ritratto Maometto.
Sarebbe inutile cercare una causa immediata di questo attentato perché, come dovrebbe essere ormai chiaro, il terrorismo dello Stato Islamico (così come quello di Al Qaeda prima di esso) è attivo e non reattivo. Dovrebbe essere chiaro dall’ondata di attentati che ha coinvolto per tutto il 2016 un paese come la Germania, anch’esso pacifico ed estremamente accogliente. I terroristi dell’Isis stanno con tutta probabilità rispondendo all’ultimo appello di Al Mujahid Abu Al Hasan Al Mujahir, nuovo portavoce “ufficiale” del Califfato, subentrato al più noto Al Adnani, dopo la morte di quest’ultimo nel settembre 2016. Al Muhajir invita a colpire Usa, Russia e tutti i paesi dell’Europa. Man mano che l’Isis accumula sconfitte sul terreno, più le forze della coalizione si avvicinano alla conquista delle sue due roccaforti principali, Mosul e Raqqa, più la campagna di terrore si fa intensa in tutta Europa. E per Europa, in questo caso, si intende proprio tutto il continente, senza far troppi distinguo.
L’unico discrimine parrebbe proprio quello fra “possibile” e “non possibile”. Un attentato è “possibile” dove i terroristi nuotano in un mare di estremisti già presenti sul terreno. E’ stato possibile a Londra, dove questa zona grigia è particolarmente ampia. E’ stato possibile in società come quella tedesca, belga e francese, dove l’estremismo fa molta presa nelle periferie. E’ stato possibile in Russia, in un paese con un’enorme presenza islamica e una notevole immigrazione dai paesi dell’Asia Centrale (l’attentatore di San Pietroburgo veniva dal Kirghizistan stando alle indagini) molto permeabili al messaggio dello Stato Islamico. La Svezia presenta le stesse caratteristiche. Proprio due mesi fa si era offesa con Donald Trump che puntava il dito sul pericolo. Ha già avuto notevoli problemi di ordine pubblico nella sua comunità islamica, nelle città a più alto tasso di immigrazione, anche se le autorità sono molto riluttanti ad ammetterlo. E da anni sta vivendo in casa una piccola versione della guerra civile siriana d’esportazione.