Terrorismo a capodanno: strage a New Orleans, bomba a Las Vegas
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Un terrorista lancia un suv sulla folla a New Orleans: 15 morti. Era Shamsud-Din Jabbar, veterano di guerra, musulmano, affiliato all'Isis. Contemporaneamente: un misterioso e fallito attentato con autobomba a Las Vegas. Di un suo ex commilitone.
Una tragedia di inizio anno per gli Stati Uniti. Una tragedia doppia, in due città fra loro lontane, ma quasi contemporaneamente: la mattina del 1 gennaio, un terrorista ha lanciato un suv sulla folla, a Bourbon Street a New Orleans e un altro suv è stato fatto esplodere di fronte al Trump International Hotel di Las Vegas. Due esiti molto diversi. Il terrorista che ha lanciato il suv sulla folla a New Orleans ha falciato 14 persone, prima che venisse a sua volta ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Il terrorista che ha fatto esplodere il suv a Las Vegas è morto senza fare altre vittime. I due attentati sono collegati? Per ora l’Fbi lo esclude, anche se le coincidenze sono molte e notevoli.
L’attentatore di New Orleans si chiamava Shamsud-Din Jabbar, 42 anni. Alla guida di un Ford F-150, pick up di grande cilindrata, da poco noleggiato, ha fatto improvvisamente una svolta, ha distrutto le transenne la polizia che proteggevano il centro, il cuore turistico del Quartiere Francese di New Orleans. Lanciandosi in mezzo alla folla, non diversamente dall’attentatore del mercatino natalizio di Magdeburgo, Jabbar ha travolto una cinquantina di persone, uccidendone 14 sul colpo. La polizia è intervenuta e Jabbar ha subito sparato contro gli agenti, rimanendo ucciso lui, prima che potesse fare altre vittime. E avrebbe potuto farne, visto che aveva a bordo sia armi che esplosivi. La pista del terrorismo islamico è emersa subito: a bordo del pick up c’era una bandiera dell’Isis. Le prime ricerche sui social network usati da Jabbar, hanno rivelato cinque video, girati l’ultimo giorno, in cui rivela la sua filiazione al gruppo jihadista, a cui si sarebbe unito l’estate scorsa.
Mentre a New Orleans si consumava la tragedia provocata dalla furia terroristica di Jabbar, a Las Vegas un altro terrorista cercava la strage, ma ha provocato solo la sua stessa morte. Ha parcheggiato un suv Cybertruck della Tesla, noleggiato poco prima nello Stato del Colorado, imbottito di esplosivo artigianale (grossi fuochi d’artificio e taniche di carburante) e ha fatto esplodere l’autobomba restando al suo interno, non si sa ancora se per errore o perché cercava il suicidio. La scelta del veicolo e del bersaglio non sembrano proprio casuali: un’auto della Tesla (Elon Musk) che esplode di fronte a un hotel di Trump. Il profilo è però completamente differente rispetto a quello di Jabbar. L’attentatore si chiamava Matthew Alan Livelsberger, 37 anni, un berretto verde (forze speciali dell’esercito Usa) ancora in servizio attivo. Non ci sono rivendicazioni ideologiche, né religiose.
Oltre alla tempistica, a legare i due attentatori c’è il noleggiatore di auto e una parte della loro esperienza di vita. Entrambi, infatti, si sono rivolti a Turo, una app di noleggio auto diffusa negli Usa. La ditta noleggiatrice non ha avuto modo di riscontrare anomalie o di sospettare qualcosa di losco nei suoi due clienti. Entrambi militari di lungo corso, hanno servito tutti e due in Afghanistan nel 2009, pur in reparti e in ruoli diversissimi: Jabbar nelle retrovie a gestire la logistica, Livelsberger in primissima linea con le forze speciali. L’Fbi non riesce a ricostruire altri legami tra loro, né a confermare un eventuale coordinamento fra le due azioni suicide.
La domanda, come dopo ogni attentato è sempre: si poteva prevedere? E anche prevenire? Christopher Wray, direttore dell’Fbi, ritiene che, sin dall’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, «Abbiamo visto crescere la minaccia di terroristi stranieri a livelli senza precedenti, a partire dal massacro del 7 ottobre in Israele. Guardandomi indietro, nel corso della mia carriera di tutore dell’ordine, trovo difficile ricordare un periodo con così tante minacce alla nostra sicurezza pubblica e nazionale, tutte così alte e tutte assieme».
«L'idea che il terrorismo possa semplicemente scomparire come problema di sicurezza si è rivelata un'illusione», ha dichiarato al Wall Street Journal Asfandyar Mir, esperto senior di antiterrorismo presso l'Istituto di Pace degli Stati Uniti. Le guerre a Gaza e in Libano in Medio Oriente, insieme alla conquista dell'Afghanistan da parte dei Talebani e alla caduta della Siria di Bashar al-Assad, «hanno rinvigorito i movimenti jihadisti in un modo che non avevamo riconosciuto», ha detto Mir.
Sulla carta, comunque, Jabbar era un insospettabile. Dopo una lunga carriera militare e un turno in Afghanistan, negli ultimi quattro anni aveva iniziato una carriera di consulente finanziario. Ultimamente lavorava per la Deloitte, una delle più grandi aziende nel settore. Aveva difficoltà familiari: un primo divorzio alle spalle lo aveva privato dei figli (assegnati alla madre), in un secondo divorzio, più recente, aveva subito l’ordine di distanziamento dalla ex. Forse la radicalizzazione si trovava nei dettagli: nel suo profilo in Deloitte, dichiarava che le sue grandi passioni fossero la caccia e la preghiera del Corano. E citava un versetto, noto come al Insan, in cui si dice che Dio premia i musulmani fedeli. Certo nei suoi ultimi video Jabbar giurava fedeltà all’Isis. Le forze di sicurezza, evidentemente, se ne sono accorte troppo tardi.
Livelsberger era ancora più insospettabile: berretto verde, serviva nel 10° Gruppo Forze Speciali, dislocato in Germania. Si trovava negli Usa in licenza natalizia. Nel 2009 aveva servito e combattuto in Afghanistan. In altre missioni era stato anche in Tagikistan e in Congo. Era stato decorato con la stella di bronzo al valor militare. Nessun problema di disciplina, i suoi commilitoni sono letteralmente cascati dalle nuvole quando hanno sentito il suo nome come sospettato principale per l’attentato a Las Vegas.