Terremoto giudiziario a 5 Stelle, De Vito arrestato
Il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, è stato arrestato con l’accusa di corruzione nell’ambito di un’inchiesta della Procura sul nuovo stadio della Roma e Luigi Di Maio ne ha subito deciso l’espulsione dal Movimento. Pur nel rispetto della presunzione d’innocenza, il quadro indiziario appare grave e fa traballare il pilastro pentastellato dell’onestà.
Il terremoto giudiziario che ha travolto ieri il Movimento 5 Stelle a Roma potrebbe portare la capitale a elezioni anticipate e certamente avrà ripercussioni sulla già compromessa solidità di quella forza politica. Marcello De Vito, presidente dell'Assemblea comunale capitolina, è stato arrestato dai carabinieri per corruzione nell’ambito di un’inchiesta della Procura sul nuovo stadio della Roma. Oltre a lui sono state arrestate altre tre persone. Pronta la reazione del vicepremier Luigi Di Maio, che via Facebook ha annunciato: “Marcello De Vito è fuori dal Movimento 5 Stelle. Mi assumo io la responsabilità di questa decisione, come capo politico, e l’ho già comunicata ai probiviri”. Gli ha fatto eco Virginia Raggi, che ha dichiarato: “Nessuno sconto a chi ha sbagliato, non c’è spazio per le ambiguità”.
Il pentastellato Enrico Stefàno, già vicepresidente dell'Assemblea capitolina e presidente della commissione Trasporti, sarà il nuovo presidente del consiglio comunale di Roma al posto di De Vito.
Pur nel rispetto della presunzione di innocenza, va detto che le accuse contro De Vito, esponente dell’ala ortodossa grillina, quella dei cosiddetti “duri e puri”, che dunque dovrebbe essere ancora più intransigente rispetto a casi come questo, sono alquanto gravi. Scrive il gip: “Marcello De Vito ha messo a disposizione la sua pubblica funzione di presidente del Consiglio comunale di Roma Capitale per assecondare, violando i principi di imparzialità e correttezza cui deve uniformarsi l’azione amministrativa, interessi di natura privatistica facenti capo al gruppo Parnasi”.
Oltre alle accuse di corruzione in cambio della sua promessa di favorire il progetto per la costruzione dell’impianto sportivo nell’area di Tor di Valle, la Procura ipotizza anche reati di traffico di influenze illecite nell’ambito delle procedure connesse alla costruzione di un albergo presso l’ex stazione ferroviaria di Roma Trastevere e alla riqualificazione dell’area degli ex Mercati generali di Roma Ostiense.
Le altre reazioni politiche non si sono fatte attendere. Le critiche più forti arrivano non solo dal Pd - attaccato dai grillini dopo la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati del segretario Nicola Zingaretti per finanziamento illecito - che chiede le dimissioni della Raggi, ma proprio da esponenti dell’M5s, in nome dell’onestà, il pilastro portante del Movimento che appare piuttosto lesionato.
Il deputato dem Michele Anzaldi scrive su Facebook: “Il Movimento 5 stelle che ieri chiedeva in massa le dimissioni di Nicola Zingaretti per un’indagine dove viene accusato da una persona terza che finora non ha portato alcun riscontro alle sue accuse, ora per coerenza dovrà pretendere le dimissioni del sindaco Raggi e di tutta l’Amministrazione capitolina”. Un altro deputato del Pd, Luciano Nobili, rincara la dose su Twitter: “Al di là delle responsabilità personali, che vanno sempre accertate, il disastro del M5s a Roma è definitivamente compiuto: prima Marra poi Lanzalone, oggi De Vito. Gridando onestà, proclamando pulizia, hanno portato la corruzione ai vertici del Campidoglio. L’inganno è finito”.
Uno scandalo di queste proporzioni ricorda per alcuni aspetti Mafia Capitale e getta una luce fosca su quello che è stato per anni il presunto tratto distintivo sbandierato ai quattro venti dalla propaganda grillina, vale a dire appunto l’onestà. Occorrerà accertare le eventuali responsabilità dei soggetti coinvolti, ma nel frattempo bisognerà capire quali effetti produrrà, anche sul fronte della fiducia degli elettori, questa torbida vicenda, che potrebbe secondo alcuni riservare anche altri sviluppi clamorosi.
Elemento non secondario da valutare riguarda l’atteggiamento del mondo dell’informazione. Nel mese di novembre, all’indomani dell’assoluzione di Virginia Raggi, i pentastellati lanciarono anatemi contro “la stampa di regime”, accusandola di aver perseguitato il sindaco di Roma. Restano impresse nella memoria le frasi di Di Maio contro i giornalisti, definiti “pennivendoli”. Per quelle parole il vicepremier, in quanto iscritto all’Ordine dei giornalisti, fu messo sotto procedimento disciplinare dal Consiglio di disciplina campano, che però poi archiviò le accuse considerando quelle accuse pronunciate al di fuori dell’esercizio della professione. Argomentazione un po’ gracile, considerato che Di Maio è giornalista pubblicista e quindi è insito nella sua qualificazione di pubblicista il fatto di svolgere altre attività non giornalistiche.
Chissà se ora, di fronte all’evidente gravità del quadro indiziario a carico di De Vito, i vertici del Movimento tuoneranno di nuovo contro la stampa scaricando sul mondo del giornalismo le loro responsabilità, evitando di fare autocritica. Troppo comodo espellere il presidente del consiglio comunale, quasi fosse un corpo estraneo al Movimento. Per aver avuto quel ruolo, proprio l’ultimo dei gregari non doveva essere.