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Terremoti, tra Italia e Giappone c'è di mezzo la costruzione

Uno dei terremoti più violenti della storia (magnitudo 8.9) ha colpito oggi il Giappone. I morti sono centinaia, ma solo alcune decine causate dal crollo di edifici, grazie ai sistemi moderni antisismici. Che in Italia faticano ad affermarsi. Parla Alessandro Martelli.
- Sisma e tsunami devastante, centinaia le vittime

Attualità 11_03_2011
terremoto giappone «La questione fondamentale sta tutta nel come si costruisce». Così il professor Alessandro Martelli, direttore del Centro ricerche dell’Enea di Bologna e presidente del Glis (Gruppo di Lavoro Isolamento Sismico), spiega i danni sostanzialmente limitati provocati dal terribile terremoto che l’11 marzo ha colpito il Giappone. Alcune decine di morti oltre alle centinaia provocate dallo tsunami, per quanto si tratti sempre di un evento doloroso, sono un bilancio sostanzialmente limitato se pensiamo alla forza di questo terremoto, uno dei più violenti mai registrati nella storia, “in termini di energia migliaia di volte più forte di quello de L’Aquila del 6 aprile 2009”. Con una magnitudo 8.9 della scala Richter non è molto lontano dal più violento finora registrato, il “Grande terremoto cileno” che nel 1960 colpì la città di Valdivia con una magnitudo 9.5 (il bilancio fu di 3mila morti e due milioni di sfollati). Secondo calcoli fatti dallo stesso istituto del professor Martelli, un sisma simile in Italia provocherebbe un bilancio 500 volte più grave. «Da noi il 70% degli edifici non è in grado di resistere a una forte scossa di terremoto. Questione di mentalità, di frequenza dell’evento, con una ulteriore aggravante del ricco patrimonio storico, che in Giappone ad esempio non c’è. Fatto sta che in Italia non si pensa alla prevenzione».

Professor Martelli, lei parla di questione di mentalità. Cosa intende?
Vede, quanto a tecnologia in Italia non abbiamo nulla da invidiare a nessuno. Anzi, siamo stati i primi a progettare e realizzare i moderni sistemi di isolamento sismico, ma poi la loro applicazione va molto a rilento. Perché? La domanda che viene fatta in Italia prima di adottare una qualsiasi tecnologia è “Quanto costa di più?” e questo blocca in partenza qualsiasi innovazione. Ma è un duplice errore: primo perché stiamo parlando di sicurezza, secondo perché quando si parla di costi dobbiamo fare un bilancio complessivo, non solo il costo dell’applicazione: in caso di terremoto c’è da considerare la demolizione, la ricostruzione, le attività interrotte, oltre alle perdite umane. I giapponesi questi conti li fanno, noi no.

Conta anche il fatto che in Giappone i terremoti, anche di forte intensità, sono all’ordine del giorno.
Certo, anche questo è un fattore che conta. Paradossalmente si potrebbe dire che da noi il terremoto è un evento troppo raro. Però è provato che riparare i danni del terremoto costa tre volte di più che la prevenzione. In Giappone lo sanno bene e oltre alla vita cercano di proteggere i loro beni. In Italia preferiamo curare i danni di quel che è accaduto ma non pensiamo mai al prossimo terremoto che potrebbe arrivare. 

Ecco, come si pensa al prossimo terremoto che potrebbe arrivare?
La questione fondamentale sta tutta nel come si costruisce, nella progettazione e nella realizzazione degli edifici per poter sopportare un terremoto. E’ importante tenere in considerazione entrambi gli aspetti, perché ad esempio in Italia c’è un’ottima progettazione ma poi la realizzazione non è accurata, negligenza aiutata anche dalla mancanza di veri controlli. Se vuole, è ciò che è avvenuto per il terremoto in Abruzzo, almeno per quegli edifici che non sono patrimonio storico.

La tecnologia ha fatto grandi passi avanti nei sistemi antisismici.
Oggi ci sono dei sistemi di isolamento sismico che permettono di ridurre al minimo i danni per gli edifici. Si tratta di filtri o cuscinetti in gomma e lastre d’acciaio che vengono posti sotto le fondamenta, come fossero degli appoggi. Quando c’è il terremoto  “filtrano” la scossa in orizzontale così che l’energia arriva più lentamente e consentono all’edificio di muoversi indeformato. Perché sappiamo che se l’edificio è costruito bene per la struttura verticale non c’è problema, ma i maggiori danni provengono dal movimento orizzontale che gli edifici non riescono ad assorbire. Questi sistemi di isolamento rispondono proprio a questo problema e sono già stati provati dal vero fin dal terremoto di Los Angeles nel 1994, poi a Kobe nel 1995 fino ai più recenti in Cile nel 2010 e in Nuova Zelanda poche settimane fa. In tutte queste occasioni gli edifici isolati con questo sistema non hanno avuto danni.

Immagino che sia il costo a impedire che questi sistemi vengano usati massicciamente.
E’ vero solo in parte, e anche qui si vede la differenza di mentalità. In Giappone, che è il Paese dove questi sistemi sono più diffusi, questi apparecchi sono aggiuntivi rispetto alla normale costruzione antisismica. Cioè ci sono norme e criteri per costruire edifici anti-sismici, e i sistemi di isolamento sono un’opportunità in più che viene offerta per mettere in sicurezza l’edificio. E siccome i giapponesi ai loro beni ci tengono queste applicazioni vengono usate. Se in Italia si lasciasse questa libertà, il problema dei costi iniziali – secondo la mentalità che abbiamo detto prima - impedirebbe l’adozione di tali sistemi. Allora la normativa italiana ha introdotto una possibilità diversa: se si applicano i sistemi di isolamento si può alleggerire la struttura. In questo modo la maggiore spesa per un sistema è bilanciata in gran parte dal minore costo della struttura. Però qui nasce il problema importante: in Giappone il sistema di isolamento è aggiuntivo, in Italia è sostitutivo. Ciò significa che il sistema di isolamento deve essere perfettamente installato e durare per tutta la vita. E qui può stare il punto debole, perché si sa che per introdurre e applicare una tecnologia ci vogliono molti anni, poi quando diventa di moda sull’affare si fiondano tutti, dilettanti e pescecani. Con gravi conseguenze per la sicurezza. A questo si aggiunga il problema che citavo prima, quello dei controlli: in Italia chi controlla il modo in cui viene realizzato un edificio?

Ma questi sistemi sono relativamente facili da prevedere per un edificio nuovo, ma cosa succede per edifici vecchi? In Giappone mi risulta che ogni 20-25 anni gli edifici vengano rasi al suolo e ricostruiti.
Questo è un altro punto importante. In Giappone, così come in Cina, di storico c’è poco, le costruzioni si abbattono e si rifanno, a volte anche esagerando in questa pratica. Perché in realtà c’è la possibilità di applicare i sistemi di isolamento sismico anche a vecchi edifici, ma in Italia ci si scontra con un’altra difficoltà: dopo 50 anni ogni edificio diventa automaticamente un patrimonio vincolato, anche se non ha alcun valore artistico o storico. Questo è un problema grave soprattutto per le scuole che, in gran parte, sono in edifici vecchi, che hanno vincoli di restauro, e su cui diventa quindi impossibile intervenire con i nuovi sistemi anti-sismici. Evidentemente la sicurezza non è una priorità. Ripeto: anche quando – ed è la maggioranza dei casi – certi edifici non hanno valore artistico, sono semplicemente vecchi. C’è voluto il crollo della scuola di San Giuliano nel 2002 per rendere obbligatori i sistemi di isolamento per le scuole di nuova costruzione, ma quante sono le nuove scuole? Se poi proprio si vogliono mantenere certi edifici, allora si costruiscano altrove nuove scuole secondo i criteri di sicurezza.
La stessa cosa dovrebbe valere per gli ospedali, che si trovano nelle medesime condizioni: forse anche qui si aspetta una tragedia prima di rendere obbligatorie certe applicazioni anti-sismiche. In questo caso poi c’è un motivo ulteriore: non basta che gli ospedali restino in piedi dopo un terremoto, devono anche funzionare: l’elettricità che alimenta le apparecchiature non può essere interrotta, le sale operatorie devono restare funzionanti. Insomma, dobbiamo cambiare la mentalità: bisogna mettere la sicurezza al primo posto, e ci accorgeremo che è anche conveniente economicamente.