Termometro e incenso: Cei sottomessa anche sulla liturgia
Alla Conferenza Episcopale Italiana non è bastato farsi prendere in giro dal Governo. Adesso si fa anche sottomettere sulla liturgia. Il Viminale impone anche tempi e riti dei funerali. E la Cei ricambia inserendo termoscanner in tutte le celebrazioni e proibendo l'ingresso a chi ha più di 37.5°, ignorando che la febbre non è sinonimo di Covid. La Chiesa non è più sovrana, non è più libera di esercitare il culto.
Alla Conferenza Episcopale Italiana non è bastato farsi prendere in giro dal Governo, allorché gli “esperti” – sempre loro - hanno ritenuto di dover negare una presunta autorizzazione a riprendere le Messe con la presenza del popolo. L’errore clamoroso reiterato per due mesi dalla CEI è stato quello di andare a chiedere l’autorizzazione al Governo per una cosa che non è affatto di competenza dello Stato. Poi, il comunicato piccato, che però nascondeva il peccato originale della posizione dei Vescovi italiani (vedi qui): quello di tirare in ballo la libertà di culto dei cittadini. Non che questo diritto non c’entri nulla, ma non era a questo livello che la CEI doveva giocare la partita.
Il Concordato del 1985, all’art. 1 afferma chiaramente che «la Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». L’articolo seguente specifica che «in particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica».
In altre parole, libera Chiesa e libero Stato; mentre invece l’atteggiamento della CEI si sbilancia drammaticamente verso il principio cavouriano “libera Chiesa in libero Stato”: il che significa semplicemente che la Chiesa è libera come l’uccellino nella gabbia. Questo sbilanciamento è pericolosissimo innanzitutto per la libertas Ecclesiae, prima ancora che per la libertà di culto.
«Niente Dio ama più in questo mondo della libertà della Chiesa»: così Sant’Anselmo di Aosta nell’epistola 235, indirizzata al re Baldovino. Ma non pare che sia questa la preoccupazione principale della CEI, visto l’ultimo clamoroso scivolone nelle sue relazioni con il Governo, che suona non solo come una calata di braghe, ma come l’accettazione del modello cinese di controllo dello Stato sulla Chiesa.
Un documento del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, firmato dal Capo Dipartimento Michele Di Bari, risponde ad una richiesta del Segretario Generale della CEI, Mons. Stefano Russo, il quale – udite, udite – ha chiesto al Governo dei chiarimenti per la celebrazione dei funerali. Quei funerali già “gentilmente concessi”, purché siano presenti solo 15 persone.
Il tenore della risposta dà l’idea del contenuto della domanda: «La forma liturgica della celebrazione rientra nella competenza dell’autorità ecclesiastica, [...] assicurando che la cerimonia si svolga in un tempo contenuto. In particolare poi, come richiesto dall’E.V., i riti dell’ultima commendatio e della valedictio al defunto, sono rimessi, allo stesso modo, alla competente autorità ecclesiastica, ovviamente da compiersi nel medesimo luogo in cui viene celebrato il rito esequiale».
Avete capito? La CEI è andata a chiedere al Governo se può svolgere il rito della Ultima Commendatio et Valedictio, cioè la parte finale del rito esequiale che prevede l’incensazione e l’aspersione del defunto e l’antifona Subvenite. In pratica, date a Cesare quel che è di Cesare e, già che ci siete, dategli anche quello che è di Dio. La Chiesa italiana non solo va con il cappello in mano a chiedere se ci sia ancora qualche briciola da concedere alla propria autonomia; adesso si rivolge al Ministero dell’Interno anche per questioni prettamente liturgiche, come se fosse un Ufficio della Congregazione per il Culto Divino. Per sentirsi ricordare che la forma liturgica non è di competenza del Governo. Quel Governo che finge di schermirsi di fronte alla generosa e supina cessione di competenze della CEI, ma poi di fatto ha pensato bene di definire chi poteva essere presente e chi no alle celebrazioni del Triduo pasquale; nonché di prendersi l’autorità di impedire che dentro le chiese, la Chiesa cattolica possa fare i riti liturgici che ritiene opportuni compiere, Messa inclusa. Ma le forme liturgiche non sono di competenza della Chiesa, gentile sig. Di Bari?
A questo punto, perché non chiedere al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione se celebrare in italiano o in latino? Se ad orientem o versus populum? Perché non domandare se, di domenica, si possono fare entrambe le letture, oppure soltanto una, visto che si deve assicurare «che la cerimonia si svolga in un tempo contenuto»? Perché quelli del Governo, ci dettano anche i tempi delle celebrazioni. Probabilmente la CEI si è dimenticata di rassicurarli in anticipo che ormai buona parte dei sacerdoti celebra Messa in 15-20 minuti, preghiere dei fedeli incluse, a prescindere dal Coronavirus.
Ma la vicenda non finisce qui. Perché la CEI ha emesso una Nota complementare al documento del Ministero dell’Interno con delle indicazioni “supererogatorie” (si sa: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei...). La più esilarante è la seguente: «Prima dell’accesso in chiesa dei partecipanti alle esequie funebri, sia garantito da un addetto alla sicurezza la misurazione della temperatura corporea, attraverso un termometro digitale o un termo-scanner. Questa disposizione è richiesta anche per le celebrazioni all’aperto. Venga bloccato l’accesso a chi risulti avere una temperatura corporea superiore ai 37,5°C». Eccessivo? No, è andata grassa. Pensate se avessero specificato che la rilevazione della temperatura doveva avvenire per via rettale; e magari da parte del sacrestano...
Fonti interne alla CEI hanno fatto sapere alla Nuova BQ che questa ulteriore richiesta sarebbe venuta dal comitato tecnico stesso, alla chetichella, senza esporsi con documenti scritti, ma ugualmente imposta come conditio sine qua non per avere i funerali. A ognuno la sua responsabilità: evidentemente, però, gli interlocutori della Chiesa italiana devono aver pensato che piuttosto che niente, meglio piuttosto. Chissà cosa accetteranno per riavere le Messe con popolo.
A parte il fatto che questa storia della rilevazione della temperatura corporea ha la stessa sensatezza di voler prendere le mosche con delle reti da pesca (infatti non tutti gli infetti covid-19 hanno la febbre – i temibili asintomatici -, e, viceversa, non tutti quelli che hanno la febbre hanno contratto il virus), resta da capire perché si debbano accettare condizioni che non sono obbligatorie in tutto il Paese neppure per i supermercati. Probabilmente c’è la paura di poter essere un domani additati come i responsabili di una eventuale crescita dei contagi. E su questa paura il Governo gioca al ricatto.
«La tutela della salute pubblica e l’esigenza di non vanificare gli importanti sforzi fin qui compiuti, ancora nella situazione attuale richiede la limitazione di diversi diritti costituzionali, fra i quali anche l’esercizio della libertà di culto», spiega il Capo Dipartimento. Affermazione che fa il paio con quella allucinante di Stefano Cappellini (vedi qui), pronunciata come se si trattasse del cambiamento del regolamento del campionato di calcio. «La Costituzione è sospesa», ci ha spiegato il giornalista di Repubblica. Adesso però apprendiamo che anche il concordato è sospeso: la Chiesa non è più sovrana, non è più libera di esercitare il culto, fino a quando la task force del Governo non dirà, secondo i suoi “dati” insindacabili, che l’emergenza coronavirus è terminata. Ovviamente, in attesa della prossima. E la CEI cosa fa? Diventa più realista del re. La dittatura cinese è più che mai vicina.