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IL PUNTO

Terapie anti-Covid: una, nessuna e centomila

Insieme alla quarantena, continua anche la ricerca di un rimedio contro il Coronavirus. Dalla Clorochina al Remdesivir, dall’Avigan al Tocilizumab, dal Lopinavir/Ritonavir all’enoxaparina, sono diversi i “vecchi” farmaci che si stanno sperimentando sul campo. Con risultati alterni.

Attualità 03_04_2020

L’opinione pubblica è sempre più provata dalla quarantena. E mentre l’uomo della strada si chiede perché dopo tre settimane di segregazione ci siano ancora tanti casi di malattie tra persone che non vedono l’aria aperta da un periodo ben più lungo del tempo di contagio definito di due settimane, è sempre più crescente l’attesa spasmodica, quasi messianica, di un prodigioso rimedio che metta fine alla paura.

L’altro giorno un quotidiano metteva in prima pagina uno dei maggiori protagonisti della scena mediatica di argomento medico, Roberto Burioni, virologo del San Raffaele, che annunciava trionfalmente che presso il suo istituto era giunto a termine uno studio che aveva finalmente trovato il farmaco anti Covid: la Clorochina. Peccato che dell’uso di questo vecchio farmaco antimalarico avesse già parlato la Nuova Bussola quasi un mese fa (vedi qui), segnalando che in Cina era stato utilizzato fin dai primi di gennaio con buoni risultati.

Nel frattempo, uno studio sull’uso della Clorochina è stato condotto in Francia, a Marsiglia, su 24 pazienti sottoposti a trattamento, da cui è emerso - secondo quanto ha dichiarato il direttore dell’Istituto ospedaliero universitario Méditerranée Infection - che il 75% dei soggetti trattati con Idrossiclorochina dopo sei giorni di trattamento aveva una carica virale negativa, ovvero non aveva più il virus attivo all’interno del proprio corpo.

Burioni, poi, è stato preceduto nello sposare la causa di questo farmaco niente meno che da Donald Trump, che il 23 marzo ha dato il suo endorsement pubblico al farmaco, entrando però immediatamente in conflitto col dottor Anthony Fauci, il capo della task force anti-Covid americana, che replicava affermando che non ci sono ancora sufficienti evidenze scientifiche per sostenere che il farmaco possa essere efficace. Ne è nata una bufera mediatica, che ha visto il presidente americano oggetto dei consueti lazzi dei suoi detrattori, ma il tycoon non ha fatto alcun passo indietro e ha anzi rilanciato dicendo che la Clorochina dovrebbe essere associata ad uno specifico antibiotico per le infezioni polmonari.

Ma le terapie possibili non finiscono qui. In Gran Bretagna, dove si è volutamente scelto di lasciar circolare il virus in modo che potesse raggiungere un alto numero di persone che lo contraessero in forma leggera in modo da avere una diffusa herd immunity (“immunità di gregge”), sono in corso delle sperimentazioni cliniche in 15 ospedali tra Inghilterra e Scozia. Il farmaco che si sta usando è un antivirale, il Remdesivir.

Quest’ultimo farmaco è stato sottoposto a test clinici durante la recente epidemia del virus Ebola del 2013-2016. I risultati preliminari si sono dimostrati promettenti e il farmaco è stato usato in situazioni di emergenza durante l’ultima epidemia di Ebola nel Kivu, iniziata nel 2018. Tuttavia, nell’ agosto 2019, i funzionari sanitari congolesi hanno annunciato che il farmaco si è rivelato meno efficace dei trattamenti con anticorpi monoclonali, che sono un’altra classe di farmaci di cui si parla molto. Il Remdesivir è stato impiegato come terapia antivirale sperimentale all’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma per curare (con successo) la coppia di turisti cinesi che rappresenta come noto i primi due casi di Covid-19 riconosciuti sul territorio italiano.

In seguito, anche il primario della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova ha annunciato nel punto stampa sull’emergenza Coronavirus dello scorso 17 marzo di avere il primo vero guarito trattato con il farmaco sperimentale Remdesivir.

Nel frattempo, si stanno percorrendo anche altre strade: antivirali già utilizzati con altri virus quali l’Ebola e l’HIV, come il Lopinavir/Ritonavir, o il discusso (per i suoi notevoli effetti collaterali) farmaco giapponese Avigan, un antivirale usato per l’influenza. A Napoli si sta provando il Tocilizumab, un farmaco usato nella cura dell’artrite reumatoide.

Altri “vecchi” farmaci ritornano con rinnovato interesse: oltre alla Clorochina, anche l’enoxaparina, un comune anticoagulante, ha destato interesse, sia perché previene il tromboembolismo frequente nei casi gravi, sia perché il virus sembra legarsi facilmente all’eparina portando così ad una più veloce rimozione del virus. Anche l’ossido nitrico o meglio monossido di azoto (NO), una molecola con effetti vasodilatatori, ha dimostrato effetti antivirali verso alcuni virus: una ricerca del 2005 ha dimostrato la sua efficacia nell’inibire il ciclo di replicazione del virus della SARS-CoV; e potrebbe avere effetti positivi anche in quello attuale.

E avendo citato la prima SARS del 2002, visto che l’attuale Covid è da ritenersi ormai la seconda epidemia di SARS della storia, ci si chiede perché - nei 18 anni che hanno fatto seguito alla prima ondata - l’industria farmaceutica non si sia dedicata maggiormente alla ricerca sui farmaci antivirali. Ora si corre e si sperimenta sul campo, magari forzando certi limiti etici della sperimentazione. Ma come stiamo purtroppo vedendo in questi giorni, i limiti etici sono stati ormai infranti. Se i farmaci ci sono, come abbiamo visto, il problema è che vengano sempre utilizzati e provati, anche in chi appartiene alle età e alle categorie non più ritenute idonee ad essere trattate.