Tensioni con la Turchia: l'Italia da che parte sta?
Il governo turco continua a minacciare di Grecia e Cipro, mentre consolida la propria presa in Libia. Ma di fronte alla spavalderia di Erdogan, Roma non sembra in grado di mettere in campo una politica diversa dal “tenere i piedi in due staffe”. È questa “l’autonomia strategica nel Mediterraneo allargato” di cui si parla alla Farnesina e alla Difesa?
L’escalation nel Mediterraneo orientale tra Grecia e Turchia è parte di una competizione più ampia per la ridefinizione degli spazi geopolitici e delle rotte commerciali che vanno dai Balcani all’Africa, passando per il Maghreb. Allo sgomitare bellicoso di Ankara per ampliare la propria zona d’influenza, Atene ha reagito mostrando i muscoli schierando forze navali nel Mar Egeo, l’unico modo possibile per contenere l’espansionismo neo-ottomano turco sotto la guida di Erdogan, almeno per il momento. La mediazione della Germania non ha finora portato i frutti sperati e la tensione sembra destinata a crescere.
Il 26 agosto ha preso il via al largo di Cipro l’esercitazione “Eunomia”, che vede impegnate imbarcazioni militari greche, insieme ad aerei e navi francesi e alla guarda costiera cipriota, oltre a velivoli provenienti dagli Emirati Arabi Uniti. Anche l’Italia ha inviato suoi assetti, con l’imbarcazione “Durand De La Penne”, ma la sua partecipazione resta avvolta da un alone di ambiguità. Non sembra infatti trattarsi di una netta presa di posizione contro la politica aggressiva di Erdogan in tutta regione del Mediterraneo, contrariamente al senso attribuito all’esercitazione dagli altri paesi.
Il governo turco continua a minacciare la sicurezza delle acque territoriali di Grecia e Cipro, trivellando alla ricerca di gas dove non gli sarebbe consentito, mentre consolida la propria presa su buona parte della Libia, dalla capitale Tripoli a Misurata, e rafforza le relazioni con la Tunisia, spingendo Malta ad allinearsi per non incorrere in conseguenze (è questo il senso dell’accordo di “cooperazione” siglato da La Valletta con Ankara e Tripoli).
Ma di fronte alla spavalderia di Erdogan, il governo di Roma non sembra in grado di mettere in campo una politica diversa dal “tenere i piedi in due staffe”, già risultata fallimentare in Libia (si veda il balletto inconcludente tra Al Sarraj e Haftar). Ed è così che un cacciatorpediniere della marina si è fatto fotografare insieme a una nave turca durante un’esercitazione svoltasi alla vigilia di “Eunomia”: un modo per rassicurare Erdogan sul significato reale della presenza italiana al fianco di altri stati membri dell’UE, niente più di un obbligo diplomatico che non implica alcun coinvolgimento in un blocco europeo antiturco, integrato dagli Emirati Arabi Uniti (e dall’Egitto).
È questa “l’autonomia strategica nel Mediterraneo allargato” di cui si parla alla Farnesina e alla Difesa? Oppure, è un atteggiamento dettato dal timore della Turchia di Erdogan e di quello che rappresenta? Il deciso “no” di Roma a sanzioni contro Ankara comminate dall’UE la dice lunga.
C’è chi intravede una “simbiosi strategica” tra Italia e Turchia nel Mediterraneo e chi si fa portavoce delle ragioni per le quali l’Italia dovrebbe stringere una stretta alleanza con la Turchia. Non si tratta, in ogni caso, di una relazione alla pari. Piuttosto, è l’accettazione di un rapporto di subordinazione al paese che più minaccia la pace e la sicurezza nella regione, affinché gli interessi italiani vengano tutelati o quanto meno non calpestati, sebbene ciò comporti la legittimazione, anche solo non opponendovisi, dell’avanzata del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, di cui la Turchia di Erdogan è apripista e punta di lancia in Nord Africa e Medio Oriente, in sodalizio con il Qatar degli emiri Al Thani.
Specchio dei termini reali delle relazioni con la Turchia è la Libia, dove l’ospedale militare italiano di stanza nei pressi dell’aeroporto di Misurata è stato costretto a “sloggiare” per far posto a una base militare di Ankara, che (dopo quello di Taranto in Puglia…) ha anche preso in gestione il porto della strategica città costiera libica. Dal comitato di coordinamento costituito sempre a Misurata dai ministri della difesa di Tripoli, Turchia e Qatar, l’Italia è stata naturalmente esclusa e questo è un ulteriore indicatore di come Erdogan non consideri il governo italiano su un piano di “strategico”, rango riservato nelle alleanze esclusivamente al Qatar e ai Fratelli Musulmani.
Nella scacchiera della dama turca, l’Italia è tutt’al più una pedina innocua che può tornare contingenzialmente utile all’avanzata delle mire espansionistiche e degli interessi del regime fondamentalista capitanato da Erdogan. A quanto dovrà arrivare il suo grado di subordinazione, per scongiurare di essere “mangiata”?