Tenevano famiglia, adesso non più. Il pasticciaccio sui fondi anti aborto della Regione Lombardia
Qualche mese fa scatenò l’ira di sinistre e gruppi Lgbt perché ordinò agli uffici del grattacielo regionale di tenere accese le luci di notte in modo da formare la gigantesca scritta “Family Day”. Così il governatore Roberto Maroni onorava il grande raduno di popolo a Roma. Ma ora, la Regione più family friendly d’Italia sembra aver fatto marcia indietro. E proprio sui fondi alle donne per non abortire. Ecco cosa è successo.
«Sono riusciti a cancellare il contrasto all'aborto dalle politiche della Regione Lombardia con il placet di tutti i partiti che si sono sempre detti a favore della vita e della famiglia. Tutti, Lega, Forza Italia, Ncd, hanno preferito l'opzione politicamente corretta, mentre diversi Cav (Centri di aiuto alla vita) si sono arresi per ragioni economiche e a prezzo della propria identità».
È questa la sintesi di quanto è avvenuto con la cancellazione del fondo Nasko, sostituito con un bonus di sostegno alla maternità. A denunciare quello che è un «gravissimo danno culturale, che dà un colpo mortale al lavoro fatto sul territorio in difesa della vita nascente», è Tea Ceni Longoni, presidente dei Cav di Abbiategrasso, Magenta e Rho.
Longoni non si capacita di come sia potuto accadere, dopo quella che definisce «una rivoluzione che spiazzò tutti e che ci ha resi un modello eccezionale per tutto il mondo». Rivoluzione che cominciò con una dichiarazione dell'allora presidente lombardo Roberto Formigoni quando, nel 2010, anticipò l'apertura del fondo: «In Regione Lombardia non ci dovrà essere più alcuna donna che abortisce per ragioni economiche», disse il presidente. Per la prima volta, spiega Longoni, «un politico parlava di lotta all'aborto come sostegno alla maternità».
Non solo, «diede ai Centri di aiuto alla vita un ruolo centrale per la gestione del fondo, istituendo anche un registro dei Cav, a cui ci si poteva iscrivere dimostrando l'attività a sostegno della madre e in difesa della vita fin dal concepimento». Il problema gestionale, però, fu enorme e ci furono degli sprechi, «dati dall'iniziale assenza dell'obbligo di certificazione della gravidanza da parte dei Cav». Longoni e altri rappresentati dei centri di aiuto alla vita e di associazioni impegnate sul territorio collaborarono quindi con la Regione per bilanciare il Nasko: «Già allora c'era chi voleva elargirlo senza più menzionare l'aborto e alcuni Cav si stavano piegando, ma alla fine abbiamo ottenuto che i fondi fossero elargiti per contrastarlo».
A cambiare fu quindi il percorso d'accesso: «Si richiedeva la certificazione di gravidanza da parte dei consultori, dei medici o degli ospedali». Vennero inseriti anche dei criteri di residenza e di Isee entro cui la donna doveva rientrare. «Da qui nacque un percorso di sostegno enorme. Per 18 mesi, la durata del fondo, accompagnavamo la madre in collaborazione con i consultori e i medici, persino quelli abortisti». Nel 2014, però, il fondo subisce un ulteriore taglio (clicca qui e qui): «Siamo stati disposti a rivedere i criteri di nuovo, ma mai a toccare la sostanza», perché «non importa quanti soldi ci arrivano, questi sono solo uno strumento».
Secondo Longoni, infatti, «il problema dell'aborto non è economico e il fondo aveva come unico scopo l'incontro con la donna prima della dodicesima settimana (limite legale previsto per abortire, fatta eccezione per altri casi particolari previsti dagli articoli 6 e 7 della legge 194)" e la possibilità di entrare in relazione con lei per aiutarla ad accettare il suo bambino. Non siamo un business, lavoriamo come volontari e il nostro compito non è quello di salvare bambini, ma di permettere alla madre di farlo attraverso uno strumento, donandole uno sguardo nuovo sul figlio». Mentre il nuovo bonus per il sostegno alla maternità «ci priva dello strumento per salvare le vite dei figli delle donne incerte. Lo riceveranno, infatti, solo le mamme che sono già oltre la quattordicesima settimana di gravidanza e che quindi non possono già più abortire a meno di pericolo di vita della madre e malformazione del nascituro».
Il nuovo fondo che prevede anche «un Isee maggiore, sotto i 20 mila euro annui e la residenza di 5 anni, è quindi un tradimento della nostra natura: con tutto il rispetto, ma noi non siamo la Caritas». Devastante sarà anche l'impatto culturale sul territorio: «Grazie al Nasko e alle certificazioni esterne ai Cav, accadeva ormai che diversi abortisti ospedalieri ci mandassero le donne. E lo stesso è successo con tutti i consultori della zona che siamo andati ad incontrare. Fino a ritrovarmi a parlare, durante un convegno sulla vita, della maternità della Madonna davanti alle operatrici abortiste invitate e sedute in prima fila». Longoni ci tiene a precisare che, «purtroppo, parte del movimento pro vita, e ormai molti Cav si sono piegati riducendo la maternità a una questione economica e al diritto di scelta della donna a essere madre».
Che implica anche quello di non esserlo e perciò di eliminare il bambino. Puntando sulle ragioni materiali e gli “ostacoli da rimuovere”, secondo la logica della legge abortista 194/78, «si è poi finiti per concentrarsi sui soldi e per cedere sul principio pur di ottenerli dalla Regione, non importa se non serviranno più a salvare bambini. Noi ed altri Cav, come quello di Varese, abbiamo sempre difeso il fondo: per ridotto che fosse ci permetteva di incontrare le donne che volevano abortire. È solo per questo che i centri di aiuto alla vita sono nati. Diversamente? Moriranno».