Tasse: non pagarle, a volte si deve
È sempre un dovere pagare le tasse? Anche quando sono palesemente ingiuste e imposte dallo Stato solo per scopi malvagi?
Pagare le tasse è un dovere oltre che giuridico anche morale? Sì, ma dal punto di vista morale è un dovere affermativo contingente, cioè da non rispettare sempre. Questa affermazione non è un incitamento alla disobbedienza civile, ma semmai un invito all’obbedienza di alcuni principi etici.
Vi sono almeno due casi in cui non solo è lecito non versare i contributi richiesti dallo Stato ma è addirittura doveroso non pagare le imposte.
Il primo caso nasce dalla risposta che diamo alla seguente domanda: perché paghiamo le tasse? In sintesi potremmo dire che noi versiamo i tributi al fine di permettere allo Stato di erogare alcuni servizi pubblici. Servizi di cui in parte godiamo sicuramente noi tutti nessuno escluso – pensiamo alle infrastrutture o alla difesa del territorio locale – ed in parte utilizzano solo alcuni: poniamo mente ai soldi che lo Stato versa per alcune ricerche cliniche di cui beneficeranno solo alcuni cittadini, o alle risorse destinate alla produzione di film che non saranno visti di certo da tutta la popolazione italiana, etc.
Ora tutti questi servizi, anche quelli di cui costantemente trae beneficio l’intera collettività, sono gerarchicamente dal punto di vista valoriale meno importanti della propria sussistenza in vita e di quella dei propri cari. Se dunque per pagare le tasse sottraggo risorse indispensabili per permettere di condurre una vita dignitosa a me e alla mia famiglia allora non solo è lecito, ma anche doveroso non pagare le tasse o almeno non tutte (cioè pagare solo una quota di esse che mi permetta di soddisfare anzitutto le esigenze primarie del vivere). Prima ci sono i doveri morali verso se stessi e poi i doveri morali verso gli altri, cioè Stato e altri cittadini. Non è egoismo ma logica etica e quasi pragmatica: prima di poter aiutare i lontani devo essere in grado di aiutare me stesso e in modo concentrico chi sta vicino a me e verso cui ho doveri morali prioritari rispetto alla generica collettività. Chi versa in uno stato di indigenza come fa a contribuire al bene pubblico quando è incapace di contribuire prima al proprio bene privato e personale?
C’è un passaggio della Somma Teologica di Tommaso D’Aquino che pur trattando dell’elemosina può fare al caso nostro per analogia delle argomentazioni addotte: “Il necessario può essere di due specie. Primo, può trattarsi di un bene, senza il quale un dato essere non può sussistere. Ebbene, dare l'elemosina con tale necessario è assolutamente proibito: e cioè, nel caso che uno, trovandosi in necessità, avesse appena di che sostentare se stesso e i propri figli, o altre persone a lui affidate. Infatti dare l'elemosina con questo necessario equivale a togliere la vita a se stesso e alla propria gente” (Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 32, a. 6). Se pagassi le tasse e così mi togliessi il pane di bocca, allora sarebbe vietato pagare le tasse.
L’obiezione potrebbe essere la seguente: il Dottore Angelico parla di elemosina e non di tasse e quindi il paragone non regge dato che l’elemosina è un gesto non doveroso dal punto di vista morale, un gesto gratuito (trattasi di consiglio supererogatorio); le tasse invece rientrano nell’alveo dei doveri morali. Ma, ed ecco la risposta all’obiezione, anche tra i doveri morali esistono delle gerarchie da rispettare, delle priorità. Ad esempio: è dovere morale restituire le cose avute in deposito. Facciamo il caso che io abbia in deposito una pistola ricevuta da Tizio. Questi mi chiede di restituirgli l’arma perché vuole sterminare la famiglia. Il dovere morale di tutelare la vita delle persone mi obbligherà a non consegnare l’arma. Cioè prevale l’obbligo morale della tutela della vita rispetto a quello di restituzione delle cose avute in deposito. Nel nostro caso, in stato di necessità, prevale il dovere morale di garantire una vita dignitosa a me e ai miei cari rispetto al dovere morale di pagare le tasse, se il pagamento di queste pregiudica il primo dovere morale che è assai più importante.
Il criterio per non pagare le tasse quindi va ricercato nell’espressione “vita dignitosa”. Non solo non devo versare le tasse se pagando queste rischio di morire perché non ho di che vivere (ed è il caso appena illustrato da Tommaso), ma non devo pagarle anche nel caso in cui non vivessi un’esistenza decorosa secondo il mio stato, cioè se versando i tributi fossi costretto a vivere di stenti. Per spiegare questo passaggio rifacciamoci sempre all’Aquinate il quale ci viene in soccorso quando, continuando il discorso appena citato, specifica cosa significhi l’espressione “bene necessario”: “Secondo, un bene può essere necessario nel senso che senza di esso non è possibile vivere secondo la condizione o lo stato della propria persona, o delle persone affidate alle proprie cure. Però i limiti di questo necessario non sono qualche cosa di rigidamente definito: ché con l'aggiunta di molti beni non si può giudicare senz'altro di essere al di là di tale necessario; e con la sottrazione di molte cose rimane ancora possibile vivere secondo il proprio stato. Ebbene, fare elemosina con codesti beni è cosa buona: ma non è di precetto [non è un obbligo morale], bensì di consiglio. Sarebbe un disordine invece se uno elargisse tanto dei suoi beni, da non poter vivere con ciò che rimane secondo il proprio stato, o da non poter compiere i propri doveri: infatti nessuno deve vivere in maniera indecorosa” (ibidem).
Quindi non devo pagare le tasse non solo se pagandole metto a repentaglio l’esistenza mia e dei miei cari, ma anche nel caso in cui pagandole non posso godere di quei beni essenziali che mi competono in quanto persona: una casa arredata e con servizi igienici funzionanti, degli abiti non rattoppati, del cibo non guasto, etc. Se invece, al fine di pagare le imposte, sono costretto a rinunciare alle vacanze estive, a cambiare il televisore o a comprare la mia prima auto, queste rinunce sono doverose perché tali beni o divertimenti esorbitano dall’insieme “vita dignitosa”. E dunque dovrei versare al fisco il dovuto anche se questo mi impedisse l’acquisto di un solo di questi beni. Il mio decoro di vita è intaccato se vado in giro vestito come un clochard, non dal fatto che non sono potuto andare al mare in Sardegna o che non ho un’auto. Dunque l’espressione “vita dignitosa” – e lo vogliamo sottolineare soprattutto a beneficio di quel zelante ufficiale delle fiamme gialle che eventualmente stesse leggendo con profitto il presente articolo – non è un salvacondotto per non pagare mai le tasse, un escamotage per fare la bella vita in barba a tutti.
Da appuntare poi il fatto che una vita dignitosa si costruisce grazie soprattutto ai proventi del proprio lavoro. Ora se le tasse che gravano sulla professione impediscono di fatto sia di avviare un’impresa sia di continuare a percepire un reddito che permetta al lavoratore di vivere dignitosamente sorge il dubbio anche in questo caso se sia doveroso moralmente pagare le imposte. Per i motivi prima illustrati i ricavi del proprio sudore prima di tutto devono beneficiare se stessi e la propria famiglia e solo dopo, tramite le imposte, la collettività. Non si deve dare agli altri – Stato e società – il necessario, ma – solo qualora esista – una quota dell’eccedenza del necessario.
Ma vi è un altro caso in cui è doveroso non versare i tributi pubblici. Si tratta dell’ipotesi di una tassa pensata unicamente al fine di sovvenzionare una pratica intrinsecamente malvagia dal punto di vista morale. Se ad esempio esistesse un balzello i cui proventi fossero destinati esclusivamente nell’aiutare le donne che vogliono abortire, correrebbe l’obbligo morale di astenersi dal versare simile tributo. Infatti si tratterebbe di una collaborazione formale al male, perché il cittadino aiuterebbe direttamente con i suoi soldi a compiere un atto malvagio. E’ l’esempio fatto poc’anzi: non devo restituire una pistola al legittimo proprietario se questi è intenzionato ad uccidere una persona innocente. Farlo sarebbe collaborare direttamente ad un atto malvagio. E analogamente pagare una tassa pro-aborto aiuterebbe a mettere nelle mani del medico quegli strumenti utili per uccidere il nascituro: sarebbe come consegnare una pistola al medico.
Da qui l’obiezione: ma anche le nostre tasse foraggiano, tra gli altri moltissimi “servizi”, gli aborti, dunque è giusto non pagarle. L’obiezione non è fondata perché una cosa è pagare un’imposta che sovvenziona esclusivamente gli aborti, un’altra è pagare le tasse che tra gli altri “servizi” sovvenzionano anche gli aborti. In quest’ultimo caso è doveroso pagare le tasse perché le attuali imposte non sono state pensate solo per aiutare le donne ad abortire. E’ lecito e doveroso pagarle se intenzione del contribuente non è quella di aiutare le pratiche abortive pagando le tasse (se così fosse sarebbe immorale) bensì di soddisfare un obbligo generale di giustizia.
Facciamo un esempio per spiegarci meglio. E’ moralmente lecito acquistare un’auto da un concessionario il quale so che userà anche dei miei soldi per acquistare droga? Sì, perché la mia intenzione è quella di pagare l’auto (atto doveroso di giustizia) non quella di aiutarlo a comprare droga (semmai per opportunità sarebbe meglio cambiare concessionario: ma nel caso dello Stato non posso farlo perché lo Stato è l’unico “concessionario” a cui pagare le tasse). Trattasi di collaborazione materiale al male e non formale: non collaboro direttamente all’atto malvagio, bensì solo indirettamente e non volontariamente.
Diverso il caso in cui quello stesso concessionario mi vendesse ad esempio la sua auto privata confessandomi che quei soldi gli serviranno esclusivamente per comprarsi della droga: in questo caso ho il dovere di non comprare l’auto. In merito al nostro tema, pagare la tassa pro-aborto implicherebbe per il contribuente il fatto di far sua l’intenzione malvagia del legislatore, di sposare il fine illecito per cui quella imposta è stata pensata.
Oltre a ciò esiste un altro motivo per cui è doveroso pagare le tasse ad uno Stato sebbene quest’ultimo finanzi pratiche abortive: è bene verificare che il rimedio non sia peggiore del male da evitare. Infatti i miei soldi aiutano lo Stato anche in altri ambiti moralmente leciti: non pagare le tasse comporterebbe una lesione a molti altri beni pubblici.
Inoltre se questa mia forma di resistenza passiva all’aborto di Stato fosse resa nota ai più, potrebbe gettare un’ombra di sospetto su tutto il fronte pro-life etichettandolo come gruppo anarchico che fomenta la disobbedienza civile, aumentando per paradosso il favore per il fronte pro-choice e facendo così arretrare la lotta contro l’aborto.
Infine questa mia decisione incrementerebbe altre forme di resistenza civile immotivate. La mia scelta potrebbe incentivare la nascita di altre decisioni simili ma illegittime. Sarebbe un pullulare di persone che decidono di non versare i tributi per i motivi più disparati: perché lo Stato finanzia giornali di una certa area politica, perché appoggia la caccia, etc.
Insomma: pagare sì, ma non sempre perché prima dello Stato e della società c’è la persona e la famiglia. E una pressione attuale delle tasse oltre il 45% del Pil fa sospettare che a causa di ciò non poche persone e famiglie stiano conducendo una vita non proprio dignitosa.