Tangentopoli, trent'anni dopo si devono contare i danni
Il 17 febbraio 1992 Mario Chiesa veniva arrestato e da quel momento, grazie soprattutto all’iperattivismo della Procura di Milano, iniziò la rottamazione della classe politica della cosiddetta Prima Repubblica. Fu l'illusione di una purificazione della politica. Fu invece l'inizio di un declino inesorabile della politica e delle istituzioni.
All’indomani della riconferma di Sergio Mattarella al Quirinale, molti hanno usato la metafora del gioco dell’oca per evidenziare come si fosse ritornati al punto di partenza dopo aver fatto un giro largo attraverso tanti possibili candidati. Rieleggere Mattarella è sembrato a molti una sconfitta della politica e dei partiti, incapaci di esprimere alternative dopo averle a più riprese sbandierate con proclami roboanti. L’immagine del gioco dell’oca ritorna d’attualità in vista del trentennale dell’inizio di Tangentopoli, che ricorre domani.
Il 17 febbraio 1992 Mario Chiesa veniva arrestato e da quel momento, grazie soprattutto all’iperattivismo della Procura di Milano, iniziò la rottamazione della classe politica della cosiddetta Prima Repubblica, con la decapitazione dei vertici di tutti i partiti ad eccezione del Pds (Partito democratico della sinistra), nato sulle ceneri del vecchio Partito comunista italiano. Anche in questo caso si potrebbe parlare di gioco dell’oca, perché la rivoluzione giudiziaria di quell’epoca, oltre che lasciare tante macerie, ha impoverito la società e la politica e ha accelerato il degrado delle istituzioni, tanto che oggi, per trovare una via d’uscita ai mali del nostro Paese, si stanno riesumando tutti i riti e i meccanismi della Prima Repubblica, che dunque sta rinascendo.
Si pensi anzitutto al sistema elettorale. La Prima Repubblica si è retta sulle coalizioni, che non si formavano prima del voto, ma solo a urne chiuse, sulla base di alchimie e accordi verticistici tra i partiti e con un perno intangibile: la Democrazia Cristiana. Dunque il proporzionale, considerato intoccabile per favorire la rappresentanza parlamentare di tutte le opinioni politiche, veniva definito il sistema più equo e democratico. Subito dopo le inchieste di “Mani pulite” arrivò il sistema maggioritario, che costringeva i partiti a costituire due blocchi contrapposti. La polarizzazione tra berlusconiani e anti-berlusconiani fu la costante per circa vent’anni, favorita appunto da un sistema che premiava le aggregazioni prima del voto e marginalizzava le forze più piccole. Oggi, come nel gioco dell’oca, si sta tornando al proporzionale, cioè il sistema elettorale in vigore prima delle inchieste di Tangentopoli. Quasi tutti i partiti puntano a reintrodurlo, addirittura con le preferenze, esattamente come nell’epoca pre-Tangentopoli, per continuare a coltivare i rispettivi orticelli, senza preoccuparsi della governabilità.
Non parliamo, poi, della corruzione. Tangentopoli ha portato allo scoperto trame di potere pubblico-privato, con grandi aziende che finanziavano in maniera occulta la politica in cambio di favori, appalti, commesse, incarichi. La cosiddetta moralizzazione del pool di “Mani pulite” può dirsi ampiamente incompiuta. Oggi le intercettazioni ci fanno ascoltare imprenditori e personaggi di primo piano delle istituzioni che addirittura ridono di terremoti, di ponti che cadono, di tante altre tragedie e perfino del Covid, perché in questo modo si arricchiscono sulla pelle delle persone, pilotando la costruzione di opere inutili, la fornitura di prodotti più cari del normale perché gonfiati da tangenti, e tante altre degenerazioni del sistema. Anche qui siamo tornati al punto di partenza: corruzione estesa e ramificata, trasversale ai vari schieramenti.
Infine due aspetti che a trent’anni da Tangentopoli sono perfino peggiorati. Il primo riguarda la selezione della classe dirigente. Ci si lamentava, negli anni Novanta, delle guerre tra correnti nei vari partiti, additandole come esempio di cattiva gestione dei partiti. Ma almeno esisteva una sorta di cursus honorum e l’accesso alle cariche pubbliche prendeva almeno in parte in considerazione l’esperienza maturata sui territori, nel rapporto con la gente e nell’analisi e risoluzione dei problemi. Nella cosiddetta Seconda Repubblica l’elemento economico, cioè attinente alle risorse necessarie per finanziare campagne elettorali costosissime e alla portata di pochi candidati, è dominante e fa premio su qualsiasi valutazione meritocratica. Inoltre, il giustizialismo iniziato proprio con “Mani pulite” ha generato qualunquismo nell’opinione pubblica e ha provocato un progressivo scadimento della classe dirigente. Il trionfo del Movimento Cinque Stelle con il culto del “vaffa” rappresenta in questo senso il punto più basso della gestione della cosa pubblica, perché ha proiettato in Parlamento e verso le più alte cariche persone inadeguate e senza titoli, improvvisate e prive dei requisiti minimi per esercitare funzioni pubbliche.
Il secondo punto critico che Tangentopoli ci lascia in eredità è lo strapotere della magistratura, superiore a quello di qualunque altra autorità. I magistrati, nonostante le denunce di Palamara sul mercato delle carriere, rimangono intoccabili e con le armi delle lungaggini processuali e dei verdetti arbitrari hanno potere di vita o di morte su cittadini e imprese. Possono ribaltare la volontà popolare e incidere sugli equilibri politici, pur non godendo assolutamente della popolarità che vantavano negli anni di Tangentopoli, quando erano visti come degli eroi.
Ecco perché l’anniversario di domani dovrebbe far riflettere più che altro su quanti danni possa provocare la prevaricazione del potere giudiziario sugli altri poteri. Sarebbe sbagliato essere nostalgici verso un’era politica dominata dall’affarismo e da partiti scarsamente democratici al loro interno, ma non si può non prendere atto di quanto si sia degradato da allora il clima dentro e fuori le istituzioni. Come nel gioco dell’oca siamo tornati al punto di partenza: solo con riforme pensate per il bene di tutti sarà possibile uscire dalla prolungata agonia che il nostro Paese vive da decenni.