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la rivelazione

Tangentopoli fu un golpe e i comunisti rubavano come gli altri

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Le ammissioni sui finanziamenti illeciti del Pci fatte dall'ex senatore comunista Giovanni Pellegrino riaccendono la ferita dell'inchiesta Mani pulite. Ormai non ci sono più dubbi che Tangentopoli fu un vero e proprio golpe che risparmiò la sinistra. 

Politica 06_06_2024

Nella Prima Repubblica i comunisti erano come tutti gli altri, facevano parte del sistema partitocratico e usavano le tangenti per fare politica e consolidare il consenso. Mani pulite, però, li risparmiò e si concentrò su tutti gli altri partiti decapitandoli. Ecco perché è giusto definire Tangentopoli un golpe mediatico-giudiziario, riuscito anche grazie alla spettacolarizzazione della giustizia da parte dei media dell’epoca. La storia di quelle inchieste è dunque da riscrivere, con onestà intellettuale e desiderio di verità.

Di tanto in tanto qualche protagonista dell’epoca decide di vuotare il sacco e questo contribuisce a fare chiarezza su una pagina ancora opaca della storia del nostro Paese. Nei giorni scorsi hanno destato clamore le parole di Giovanni Pellegrino, avvocato e senatore dal ’90 al 2001 per il Pci e il Pds, che in un’intervista al Corriere della Sera ha ripercorso il senso di Mani pulite, visto che lui nel 1992 ebbe un ruolo di primo piano come presidente della Giunta per le immunità al Senato.

Pellegrino ricorda che tutti i partiti godevano di finanziamenti irregolari, anche il Movimento Sociale italiano e anche il Pci, poi Pds: «Apparentemente - spiega - il mio partito non prendeva soldi. Però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa con una percentuale di lavori. Dal 10 al 15%. Rivedo ancora i nostri bellissimi congressi dove campeggiavano i cartelloni pubblicitari delle cooperative. Era chiaro il meccanismo di contabilizzazione dei finanziamenti irregolari. Ed era altrettanto chiaro che anche noi facevamo parte del sistema: una sorta di Costituzione materiale del Paese».

Eh già, le famose cooperative rosse, intoccabili in alcune regioni storicamente guidate dalla sinistra, e vere cinghie di trasmissione, insieme con la Cgil, del potere comunista in politica e in economia.

Pellegrino racconta che dopo l’emergere di timori che anche il Pci sarebbe rimasto coinvolto nell’inchiesta, chiese di parlare con Massimo D’Alema. Il racconto è illuminante: «Era la primavera del 1993. Mi concesse un incontro ma dopo pochi minuti mi zittì: “Come al solito voi avvocati siete contro i pubblici ministeri. Volete capirlo che questi di Milano stanno facendo una rivoluzione? E le rivoluzioni si sono sempre fatte con le ghigliottine e i plotoni di esecuzione. Perciò cosa vuoi che sia qualche avviso di garanzia o qualche mandato di cattura di troppo. Eppoi Luciano mi ha detto che possiamo stare tranquilli, perché Mani pulite non se la prenderà con noi…”. Intende Luciano Violante, che era la voce della magistratura nel partito.

E allora, se tanto mi dà tanto, il disegno era quello di usare le inchieste per sovvertire l’ordine politico e favorire l’ascesa al potere da parte dei comunisti, guarda caso risparmiati dalle inchieste. Ma le sinistre non fecero neppure in tempo a cantare vittoria per l’avvenuta decapitazione della classe politica della Prima Repubblica che subito irruppe sulla scena Silvio Berlusconi, il vero guastafeste in questa manovra di occupazione del potere con armi giudiziarie.

Oggi queste rivelazioni di Pellegrino, che peraltro non suonano rivoluzionarie poiché rafforzano sospetti assai diffusi tra gli osservatori più attenti delle vicende politiche italiane, confermano l’importanza di rivedere gli equilibri tra i poteri dello Stato riformando la magistratura, ancora fortemente percorsa da ideologismi e populismi che finiscono per compromettere la corretta amministrazione della giustizia.

Il Governo Meloni è stato il primo a varare in Consiglio dei Ministri una riforma che mira a risolvere il suddetto problema, a rompere quella ingerenza della magistratura sull'indirizzo politico della Nazione, a superare quella divisione in correnti che distrugge il mondo giudiziario e la sua terzietà prevista invece dalla Costituzione e dallo Stato di diritto.

Chi si oppone a questa prospettiva lo fa per interessi di bottega e così facendo rallenta l’evoluzione del nostro Paese verso il traguardo di una democrazia matura, nella quale l’azione della magistratura è ispirata a imparzialità e autonomia dalla politica.