L'ANALISI
Tagli alla politica, manovra di facciata
L'unica misura contenuta nel decreto "Salva Italia" riguarda
il ridimensionamento delle province. Ma ben altro ci sarebbe da fare.
Attualità
07_12_2011
Era lecito dubitare che questo governo potesse prendere misure incisive sui costi della politica. E in effetti con il decreto “Salva Italia”, ci si è limitati solo ad intervenire sulle Province - come tanti avevano auspicato da tempo - che però rappresentano l’1,5% della spesa pubblica complessiva del Paese. Oltretutto in modo parziale, con la riduzione indiscriminata dei consiglieri a partire dal mese di ottobre del prossimo; forse sarebbe stato più ragionevole commissariarle tutte, da subito., evitando la delegittimazione strisciante di questi Enti.
Ma quella che riguarda le Province, è la sola misura che il Governo dei tecnici prende sul tema dei costi della politica. Su tutto il resto, il Governo tecnico non interviene. E il resto, rappresenta il tumore della nostra democrazia, degenerata in oligarchie di potere e di consorterie, che coltivano e attuano interessi solo di parte. Ad esempio, invece di bloccare l’indicizzazione delle pensioni da mille euro al mese in su o di reintrodurre l’ICI o di aumentare l’IVA sui consumi o di consentire ai Comuni e alle Regioni di aumentare le addizionali IRPEF, sarebbe stato più opportuno e ragionevole intervenire almeno su una parte di quei 18,3 miliardi di euro rappresentati dai costi di quel milione e 300mila persone (dati UIL) che vivono di politica nel nostro Paese. A questi poi bisogna aggiungere 6,4 miliardi di euro, derivanti dall’apparato istituzionale centrale. O anche si poteva procedere alla drastica riduzione di quei 7mila enti strumentali (Consorzi, Aziende, Società), che occupano circa 24mila persone nei consigli di amministrazione. Si poteva intervenire sulle provvidenze all’editoria di partito (che ammontano a decine di migliaia di euro per il 2011) o sulla questione delle auto blu (72mila, con 35mila unità di personale impiegato, per un costo totale di oltre 2 miliardi di euro) o sul tema dei finanziamenti pubblici alla politica (i cosiddetti rimborsi elettorali, che ammontano a miliardi di euro).
Si può essere certi che sia il Presidente della Repubblica sia il Presidente del Consiglio, queste cose le conoscano bene. Allora, è legittimo chiedere perché non si interviene su questi settori, al fine di recuperare risorse, evitando - almeno in parte - di continuare a vessare con ulteriori tasse il ceto medio, distruggendolo?
Non vorremmo essere scontati, ma una risposta possiamo provare a formularla. Intervenire sui veri costi della politica o su quelli dell’amministrazione centrale dello Stato o sull’esistenza di Enti e di consigli di amministrazione che sono in larga parte emanazione diretta del potere dei partiti, avrebbe compromesso il legame che pur esiste tra questo Governo e questa politica che ad esso si è consegnata. Monti, che per volontà del Presidente della Repubblica riceve l’incarico di formare un Governo che non è espressione degli eletti dal popolo - è la prima volta che questo avviene nella storia della Repubblica - per continuare a vivere deve ottenere la fiducia dal Parlamento, formato dai rappresentanti di quegli stessi partiti, che sono diventati onnivori nella spartizione del potere e dei suoi privilegi.
Ancora una riflessione. Non esistono solo i costi diretti della politica. Ve ne sono anche di indiretti. Tra questi, si possono annoverare le risorse economiche sottratte al bene comune perché oggetto di corruzione. Recentemente, Transparency International Italia – Associazione contro la Corruzione - ha pubblicato il suo rapporto annuale sull'evoluzione della corruzione nel settore pubblico in 178 Paesi del mondo. L'Italia si colloca al sessantasettesimo posto della classifica – tra i Paesi dell’Unione europea, peggio fanno solo la Romania, la Bulgaria e la Grecia – preceduta da Rwanda, Tunisia, Kuwait, Arabia Saudita. L'analisi include i dati raccolti in merito alle richieste di tangenti da parte di politici e pubblici ufficiali per una varietà di attività come le procedure d'appalto o gli accertamenti fiscali, le autorizzazioni e le concessioni edilizie, le nomine e le promozioni nel pubblico impiego.
Sarebbe dunque il caso che si pensi a interventi legislativi e norme attuative a tutela della legalità. Ma nella manovra Monti non vi è traccia.
Ancora una riflessione. Non esistono solo i costi diretti della politica. Ve ne sono anche di indiretti. Tra questi, si possono annoverare le risorse economiche sottratte al bene comune perché oggetto di corruzione. Recentemente, Transparency International Italia – Associazione contro la Corruzione - ha pubblicato il suo rapporto annuale sull'evoluzione della corruzione nel settore pubblico in 178 Paesi del mondo. L'Italia si colloca al sessantasettesimo posto della classifica – tra i Paesi dell’Unione europea, peggio fanno solo la Romania, la Bulgaria e la Grecia – preceduta da Rwanda, Tunisia, Kuwait, Arabia Saudita. L'analisi include i dati raccolti in merito alle richieste di tangenti da parte di politici e pubblici ufficiali per una varietà di attività come le procedure d'appalto o gli accertamenti fiscali, le autorizzazioni e le concessioni edilizie, le nomine e le promozioni nel pubblico impiego.
Sarebbe dunque il caso che si pensi a interventi legislativi e norme attuative a tutela della legalità. Ma nella manovra Monti non vi è traccia.