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PARTITO SHOCK

Svezia, c'è chi chiede incesto e necrofilia legali

Il 21 febbraio scorso la sezione giovanile del Partito Liberale svedese (Luf) ha votato un documento che chiede la legalizzazione dell’incesto e della necrofilia (avere rapporti sessuali con cadavere). La presidente Cecilia Johnson spiega perché, a suo avviso, non ci sia nulla di male. E il suo discorso è la logica conseguenza della filosofia contemporanea.

Vita e bioetica 10_03_2016
La proposta della Johnsson ha fatto notizia

Love is love anche con il caro estinto. Il 21 febbraio scorso la sezione giovanile del Partito Liberale svedese (Luf) ha votato un documento che chiede la legalizzazione dell’incesto e della necrofilia (avere rapporti sessuali con cadavere).

In merito all’incesto Cecilia Johnsson, presidente della Luf di Stoccolma, ha spiegato che “la legislazione contro l’incesto è una legge morale ma non protegge nessuno in questo momento. Anche se l’incesto può essere considerato insolito e disgustoso, non deve essere la legge ad affermarlo”. Per il Luf dovrebbero essere consentiti rapporti intimi tra fratelli dai 15 anni in su. Avere relazioni sessuali al di sotto di quel limite di età e con il proprio padre o la propria madre, nonché ascendenti vari ad esempio nonni, invece pare, non si capisce bene perché, inopportuno.

Per quanto riguarda la necrofilia la Johnsson non fa un plissè e così argomenta: “Si dovrebbe arrivare a lasciar decidere che cosa succeda al proprio corpo dopo la morte, per cui se capita che qualcuno voglia lasciare in eredità il proprio corpo per un museo o la ricerca medica, oppure se voglia lasciarlo in eredità a qualcuno per il sesso, allora dovrebbe essergli consentito”. Insomma ti amo da morire ed anche da morto.

Certo, il ribrezzo e lo sconcerto nel leggere queste affermazioni sono difficili da nascondere però della Johnsson tutto si può dire fuorchè sia ipocrita. La presidentessa dalla Luf di Stoccolma in realtà ha dedotto con rigore logico da alcune premesse di principio, condivise quasi da tutti, le inevitabili conseguenze. 

In primis, si continua a dire che l’amore non deve conoscere confini, né di sesso, né di razza, né di etnia, né di orientamento sessaule. E allora che sia abbattuto anche il limite della consanguineità  e del tempo. Nel primo caso perché vietare che due fratelli possano esprimere il loro profondissimo sentimento fraterno tramite il rapporto sessuale? Perché due persone omosessuali possono avere gesti di intimità e invece questa facoltà dovrebbe essere negata a due fratelli, dello stesso sesso oppure no? Non è discriminatorio? Il legame di sangue non è forte tanto quanto o addirittura più forte di quello che c’è tra due fidanzati o due conviventi o due coniugi? Ma anche il tempo e la persistenza in vita dell’amato potrebbe essere considerato un limite all’amore. E dunque la necrofilia potrebbe, ovviamente in modo patologico, essere considerata adeguata espressione di un amore iper romantico che travalica i confini dello spazio e del tempo, atto che vince la morte con l’amore. Un amore un po’ ferale, ma sempre amore. Chi potrebbe arrogarsi il diritto di negare la patente di innamorato ad una persona che voglia trattenere con sé in questa vita l’amato defunto per il tramite di questa pratica becchinesca? C’è poco da fare. Se il principio da accettare sic et simpliciter è l’affetto, ogni affetto ed ogni espressione di affetto che il singolo giudica come buoni devono essere permessi. Ingoiata la premessa, ogni obiezione è insuperabile.

Altro principio caro alla contemporaneità e che, se inteso in senso assoluto, non può che avvallare la decisione del Luf è l’autodeterminazione. La Johnsson pone il limite di età di 15 anni perché, secondo lei, a quell’età i ragazzi sono consapevoli di quello che fanno e quindi possono esprimere un consenso valido. Tale libertà è incoercibile: se due fratelli decidono di avere rapporti sessuali perché lo Stato dovrebbe ficcare il naso sotto le loro lenzuola e proibirli? A maggior ragione viene buono il principio di autodeterminazione nel caso della necrofilia. Le parole della Johnsson – “si dovrebbe arrivare a lasciar decidere che cosa succeda al proprio corpo” – non sono le stesse che vengono utilizzate per legittimare l’eutanasia? Se il corpo è mio posso farci quello che voglio, in vita e dopo che sono morto. Il Luf chiede solo che il de cuius abbia lasciato disposizioni scritte in merito. Sono le Dat: dichiarazione anticipata di trattamento sessuale. Il ragionamento dei giovani liberals svedesi non fa una grinza, dobbiamo ammetterlo: se puoi ammazzarmi con il mio consenso, a maggior ragione posso darti il permesso di avere un amplesso con me post mortem. La battuta “basta che respiri”, di solito indirizzata ad una categoria di maschi affettivamente disperati tesi al minimo sindacale in quanto a relazioni con l’altro sesso, oggi appare superata e fin troppo generosa. 

Alla base della duplice proposta del Luf - la prima di natura foscoliana che considera i cimiteri come casini e la seconda di carattere parafiliaco -  c’è poi un principio politico che è condiviso ormai da tutte le democrazie moderne: la netta divisione tra morale e diritto. Ce lo spiega ancora la Johnsson in modo adamantino quando afferma che tali pratiche possono comprensibilmente «essere considerate insolite e ripugnanti», ma «una legge non deve basarsi su quel che piace o che non piace». D’altronde anche un tempo aborto, eutanasia e “nozze” gay apparivano insolite e ripugnanti, oggi non più. Non è competenza della legge quello di «moralizzare le relazioni sessuali», aggiunge la presidentessa, altrimenti scadiamo nello Stato etico. Questo principio non è forse stato sempre tirato in ballo nel caso di aborto, divorzio, fecondazione artificiale, eutanasia, droghe e omosessualità? Ora l’iperbolica proposta che viene dal nord Europa ci costringe a stare da una parte o dall’altra. O stiamo con il giuspositivista Hans Kelsen il quale placidamente affermava che una norma può comandare, vietare e legittimare qualsiasi condotta, anche delle più aberranti, oppure diamo retta al giusnaturalista Tommaso D’Aquino il quale sosteneva che compito della legge è di contribuire a rendere l’uomo virtuoso. E incesto e necrofilia propriamente non fanno il bene della persona.