Superbonus, populismo a galla, ma anche l'Ue ha le sue colpe
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I bonus a pioggia, rinnovati all’infinito e quasi mai ancorati a effettivi accertamenti circa la loro utilità, sono stati lo strumento elettorale di Conte e dei governi che avevano al loro interno esponenti grillini. Va detto, però, che l’Unione europea ha consentito per anni l’andazzo populista e ora mette dei paletti, lasciando che ogni Stato si regoli per conto suo.
Chi la racconta in un modo e chi in un altro. Chi difende il superbonus edilizio e chi vorrebbe cancellarlo. Ma, come spesso succede in queste vicende ingarbugliate, l’errore è stato fatto all’inizio e ora diventa difficile individuare i responsabili. Nessuno, probabilmente, è esente da colpe. Né chi, come l’ex premier Giuseppe Conte, ha promosso e sponsorizzato il bonus 110%, utilizzandolo populisticamente come leva di acquisizione del consenso. Né chi oggi, come il governo Meloni, vorrebbe neutralizzarne con la bacchetta magica gli effetti devastanti sul piano dei conti pubblici, anche a costo di prendere iniziative inique e svantaggiose nei confronti soprattutto delle fasce più deboli della popolazione.
Sul superbonus e, più in generale, sui bonus edilizi, la politica è chiamata ad una prova di maturità. Occorre cercare un equilibrio tra le doverose esigenze di salvaguardia dei conti pubblici e le ripercussioni economiche per migliaia di cittadini e imprese del settore edilizio. Con il decreto legge n.11 del 16 febbraio 2023, entrato in vigore il 17 febbraio 2023 e ora sottoposto all’esame del Parlamento per la conversione in legge, il governo è intervenuto in maniera sostanziale sulla disciplina del superbonus 110%, bloccando la cessione del credito e il cosiddetto sconto in fattura.
Lo sconto in fattura consisteva in una riduzione sul corrispettivo dovuto all’impresa, di importo massimo non superiore al corrispettivo stesso, che veniva recuperato dallo stesso fornitore sotto forma di credito d’imposta di importo pari alla detrazione spettante. La cessione del credito d’imposta, invece, comportava il pagamento effettivo dei lavori e la stipula di un accordo tra il contribuente, che cedeva il credito maturato e il cessionario, il quale, in cambio del beneficio fiscale ricevuto, avviava un piano di rimborso per restituire al contribuente il beneficio corrispondente alla detrazione fiscale.
Tutto questo è stato negli ultimi anni il superbonus 110%, che ha contribuito al rilancio dell’edilizia, ha offerto un’opportunità di ristrutturazione a milioni di italiani proprietari di case che non avrebbero altrimenti potuto accedervi, ma ha anche generato truffe per decine di miliardi di euro. Molte ditte beneficiarie di tale meccanismo di incentivi hanno fatturato lavori edili in realtà mai effettuati. I relativi crediti fiscali fittizi sarebbero stati successivamente rivenduti a società compiacenti e monetizzati. Ecco, quindi, che anche in questo caso è stata coniata l’espressione “i furbetti del superbonus”.
Proprio per mettere un freno a questa degenerazione, che è costata di fatto 2000 euro a testa a ciascun italiano, il governo ha deciso di correre ai ripari. Il decreto, sostenuto da tutte le forze politiche di maggioranza e già firmato dal Presidente della Repubblica, interviene sulla cessione dei crediti di imposta relativi a spese per gli interventi in materia di recupero patrimonio edilizio, efficienza energetica e superbonus 110%, misure antisismiche, facciate, impianti fotovoltaici, colonnine di ricarica e barriere architettoniche. A decorrere dal 17 febbraio 2023, è prevista la sola possibilità per i contribuenti di utilizzare le detrazioni fiscali derivanti dai bonus del comparto edilizio in dichiarazione dei redditi. Un meccanismo che però finisce per premiare i ricchi, che hanno liquidità disponibile e possono accettare di recuperare fiscalmente il costo in termini percentuali e nell’arco di 10 anni.
"Dobbiamo cercare soluzioni per evitare il tracollo di migliaia di aziende e difendere il bilancio pubblico – ha detto il premier Giorgia Meloni -. Convocheremo tutte le associazioni per chiedere come possiamo aiutarle e per mettere tutto su un binario sensato. Se lasciassimo il superbonus così com'è – ha aggiunto - non avremmo i soldi per fare la finanziaria. Vogliamo spingere le banche e tutti gli attori che possiamo coinvolgere ad assorbire i crediti che sono incagliati, che nessuno vuole prendere. E abbiamo definito meglio la responsabilità di chi deve prendere quel credito".
Il blocco deciso dal governo ha, quindi, l’intento di “tutela della finanza pubblica”, visto che il costo totale dei crediti del superbonus è attualmente di 105 miliardi di euro. Secondo Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, il blocco improvviso della cessione del credito e dello sconto in fattura mette a rischio il futuro di circa 100mila lavoratori. Secondo le stime dell'Associazione nazionale costruttori, i crediti fiscali bloccati relativi ai bonus edilizi ammontano a circa 15 miliardi di euro e i posti a rischio sono 130.000, senza considerare l'indotto.
Indubbiamente i bonus a pioggia, rinnovati all’infinito e quasi mai ancorati a effettivi accertamenti circa la loro utilità, sono stati lo strumento elettorale di Giuseppe Conte e dei governi che avevano al loro interno esponenti grillini. Ora che quell’esperienza è alle spalle, si raccolgono macerie e i conti pubblici, ancora più dissestati rispetto a qualche anno fa, turbano i sonni di Giorgia Meloni e degli esponenti della sua maggioranza, che temono di dover pagare un prezzo troppo alto anche in termini elettorali.
Va detto, però, che l’Unione europea ha consentito per anni l’andazzo populista dei bonus targati Conte e ora mette dei paletti, lasciando che ogni Stato si regoli per conto suo e metta una toppa a un meccanismo sbagliato fin dall’inizio. Un’Europa matrigna che scarica sempre sugli Stati nazionali il peso dei propri errori, che ancora una volta pagheremo tutti noi cittadini.