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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

Il tema

Sull’irreversibilità della modernità

Spadaro dice su Avvenire che la cristianità «è finita», un giudizio che comporta quello sull’irreversibilità della modernità. Ma questa irreversibilità, dal punto di vista teoretico, è immotivata. Il problema è che si confonde la fattualità con ciò che è vero e giusto.

Dottrina sociale 09_05_2025

Padre Antonio Spadaro, in un lungo intervento apparso su Avvenire il 6 maggio scorso, è tornato a dire che la cristianità «è finita» e il pontificato di Francesco sarebbe stato caratterizzato dalla presa d’atto di questo «cambiamento d’epoca». Per cristianità, Spadaro intende «il processo avviato con Costantino in cui si attua un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa». L’argomento è di ampia portata e in questo blog dobbiamo accontentarci di una breve annotazione.

Il giudizio sulla fine della cristianità comporta quello sull’irreversibilità della modernità. Se a quest’ultimo concetto si dà un significato cronologico, esso appare perfino ovvio: non si torna indietro nel tempo. Se invece gli si attribuisce un significato teoretico, relativo al modo di pensare e ai contenuti di questo pensare, esso appare come un’assunzione immotivata e dogmatica. Lo stesso si deve dire per il concetto di cristianità. Se considerato come un fatto del tempo, è logico che appartenga al passato, ma se visto nel senso dei suoi principi perché dovrebbe venire scartato? Il motivo per cui lo si scarta è che è diverso dalla modernità e, quindi, improponibile oggi. Ma in questo modo la modernità come contemporaneità nel tempo viene caricata di un valore teoretico irreversibile, come una conquista del pensiero rispetto alla quale i principi della cristianità in quanto vecchi sono anche considerati sbagliati. Insomma, c’è una sovrapposizione della fattualità, ossia ciò che accade oggi, con la legittimità, ciò che è vero e giusto.

Tutti i grandi filosofi e teologi contemporanei, siano essi protestanti o cattolici, partono da un’assunzione previa sempre la stessa: come si può presentare il cristianesimo all’uomo di oggi, secolare, scientifico, tecnologico, esistenziale, post-cristiano, ateo, abituato al pluralismo in ogni campo, mantenendolo nella sua configurazione di ieri, ossia metafisico, dogmatico, tradizionale, misticheggiante, confessionale? La modernità di fatto viene assunta come valida di diritto, la si considera come un contesto imprescindibile e da esso si ripensa e si ristruttura tutto il cristianesimo. Quei filosofi e teologi non si chiedono se l’assetto teoretico della modernità sia valido e accettabile, e soprattutto non lo fanno alla luce del cristianesimo della tradizione, ma lo assumono come vero e da lì reinterpretano la tradizione.

Alla modernità non si è arrivati in base ad una qualche legge immanente alla storia, qualche filo rosso che inevitabilmente ci ha condotti verso il meglio. Il pensiero della modernità è stato prodotto. Anche l’idea che sottostà al concetto di irreversibilità è conseguenza di percorsi del pensiero. Come tale la modernità non è assoluta, può essere rivista e criticata, può essere rallentata e anche può essere riconvertita in altro. Certo, non può essere fatta tornare indietro nel tempo, ma può essere ristrutturata mediante principi e processi di pensiero che essa giudica superati, non perché siano sbagliati ma perché non sarebbero più attuali.

Stefano Fontana