Sulle riforme Renzi sfida il Parlamento
Il premier lo aveva promesso: "Le riforme si fanno con tutti". E invece ha sfidato il Parlamento, con il solito "con me o contro di me", facendo scoppiare diverse risse (non solo verbali) negli ultimi due giorni. La riforma del Senato è stata votata. Ora i grillini minacciano di dimettersi in massa e provocare nuove elezioni.
Agli oppositori del Patto del Nazareno il premier ha sempre ribattuto: “Le riforme si fanno con tutti”. Le scene di guerriglia parlamentare alle quali abbiamo assistito nelle ultime ore ci confermano due cose: Renzi per l’ennesima volta si è rimangiato la parola data; la presidente della Camera, Laura Boldrini non è in grado di gestire i lavori parlamentari e di garantire la democrazia in assemblea.
L’ennesima prova di forza di Palazzo Chigi, che tiene in scacco un intero Parlamento, indebolisce ulteriormente la democrazia italiana e scava un fossato sempre più largo tra le regole e il loro effettivo rispetto. A garantire, nella dialettica parlamentare, che le opposizioni possano esercitare i loro diritti, dovrebbe essere chi presiede le aule della Camera e del Senato. Ieri, invece, la Boldrini si è ancora una volta rivelata inadatta a quel ruolo, tanto che è riuscita nel miracolo di saldare in un unico fronte Sel, Movimento Cinque stelle, Forza Italia, Lega e cespugli vari, delusi da una conduzione d’aula appiattita sulle posizioni governative. Ora tutte le opposizioni hanno chiesto udienza al Capo dello Stato, che le riceverà martedì. Pur nel rispetto del suo annunciato profilo notarile, sarebbe auspicabile che Mattarella rimarcasse la necessità di tutelare l’istituzione Parlamento nel suo complesso, sempre più svalutata e piegata ai diktat di chi sta al governo. Il principio della rappresentanza vive una fase di prolungata agonia. Votano sempre meno italiani e quelli che votano si sentono sempre meno rappresentati dai parlamentari attuali, peraltro, allo stato attuale, ampiamente estromessi dalla riscrittura di regole così importanti per il futuro del Paese.
Dicevamo che Renzi ha ancora una volta cambiato idea. Dopo aver condannato i trasformismi e aver detto che chi cambia casacca deve dimettersi, ha imbarcato una pattuglia di responsabili al fine di puntellare la sua maggioranza in Senato. Riguardo alle riforme, amava ripetere che le regole si scrivono anche con gli avversari e quindi che Berlusconi era un interlocutore prezioso per varare una poderosa ed epocale riforma della Costituzione. Ora ha deciso di fare da solo, senza contributi di altre forze politiche, pur di raggiungere lo scopo.
Nelle ultime 48 ore a Montecitorio si sono registrate varie risse tra parlamentari e si è assistito all’approvazione della riforma del Senato a colpi di maggioranza. Il Pd si è votato da solo una riforma che toglie al popolo il diritto di eleggere l’assemblea di Palazzo Madama e trasforma il Senato in una Camera delle regioni con ruoli discutibilmente limitati. E’ vero, dopo l’approvazione definitiva della riforma, gli italiani saranno chiamati a votare per confermarla o abolirla, ma in un referendum confermativo diventa davvero difficile mobilitare gli elettori e dunque il rischio è che una riforma così epocale, pensata solo per rafforzare ancora di più i poteri dell’esecutivo, passi nell’indifferenza generale, tra sbadigli, boicottaggi e demagogia.
Renzi esce apparentemente vincitore anche da questo round, ma non è detto che le macerie che sta lasciando lungo l’iter della riforma dello Stato non creino fratture insanabili e non aprano davvero la strada a derive autoritarie o plebiscitarie.
Dopo vent’anni di bipolarismo muscolare e militarizzato, segnato dalla contrapposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani, un altro soggetto dominante sulla scena politica, peraltro molto giovane, sembra tracciare il confine di un nuovo bipolarismo. Le opposizioni ieri si sono ricompattate tutte, a prescindere dal colore politico, per affermare principi di democrazia. La dialettica renziani-antirenziani segnerà la storia politica dei prossimi anni? Non sarebbe una buona notizia.
La conflittualità permanente non aiuta il Paese a risalire la china. Per riscrivere principi fondamentali per la vita dello Stato occorre la piena condivisione o quanto meno la più ampia. Gli strappi, i colpi di mano, le forzature non rispondono agli interessi della nazione e va ricordato che nello spirito dei Costituenti era scritta proprio un’attitudine alla ponderazione, al bilanciamento tra opposte culture, tra punti di vista differenti ma ugualmente meritevoli di dignità.
Renzi in questo momento usa l’arma dello scioglimento anticipato per convincere i parlamentari riottosi ad allinearsi, votando a favore di qualsiasi provvedimento governativo a prescindere dal merito. Tutto questo non porta lontano ed è l’esatto contrario di riforme condivise e di regole scritte anche con gli avversari.
I parlamentari grillini hanno minacciato di dimettersi per provocare lo scioglimento delle Camere e frenare il disegno renziano. In caso di elezioni anticipate si voterebbe con il Consultellum, il sistema di tipo proporzionale che garantirebbe a tutti di raccogliere seggi. Alla luce di quanto sta accadendo in Parlamento non è detto che sarebbe un male per il Paese.