Suicidarsi in diretta, la morte dilaga in Rete
Non solo la confessione e l'omicidio online del serial killer Steve Stephens, ma anche tanti suicidi ripresi con la propria videocamera e postati online in diretta sui social network. Il trend della morte nel Web è inquietante, fa pubblico e crea un effetto imitativo. Anche se non è una novità dei social network.
Si chiama Steve Stephens l’uomo che il 17 aprile ha caricato su Facebook una clip dove spara alla testa del 74enne americano Robert Goodwin, padre di nove figli. Nel messaggio, Stephens incolpa la ex fidanzata della sua follia e dichiara di aver commesso altri 15 omicidi nel giorno di Pasqua nella zona nord-orientale di Cleveland, vicino al lago Erie. Inizialmente, si pensava l’assassino avesse caricato il video “in diretta”, ma Facebook ha smentito, dichiarando invece essere un filmato caricato in un secondo momento.
In Italia non ha avuto eco, invece, la storia di Arjun Bhardwaj, il 24enne che il 4 aprile scorso ha compiuto l’insano gesto di gettarsi dal diciannovesimo piano dell’hotel Taj Lands End a Mumbai. Arjun Bhardwaj, studente di ingegneria e fondatore di una startup, depresso e dipendente da droga, aveva dichiarato i propri motivi pochi minuti prima di uccidersi attraverso un video su Facebook. Un video live, di quelli che Zuckerberg ha recentemente lanciato per permettere a tutti di condividere direttamente i momenti più importanti o più divertenti della propria vita.
Il video inviato da Arjun Bhardwaj è davvero macabro, un piccolo tutorial di ciò che bisogna fare per suicidarsi, un vademecum digitale per chiunque voglia mettere fine alla propria esistenza: «Primo passo: scrivere lettere alle persone. Secondo passo: ubriacarsi. Terzo passo: ammirare il paesaggio. Quarto passo: farsi una pasta con la pancetta…» per poi concludere con: «ciao ragazzi, ci vediamo dall’altra parte». E il video si chiude. Prende una sedia, sfonda la finestra a doppi vetri e si getta.
Da quando Facebook, Instagram, YouTube e Twitter (anticipando tutti con Periscope) hanno dato la possibilità di filmare alcune scene in diretta, la quantità di contenuti prodotti sulle piattaforme sono aumentati esponenzialmente. D’altronde, il trend video è uno di quelli che maggiormente crescerà nel 2017 e negli anni a seguire. Insieme a una nuova modalità di condivisione - sempre apprezzabile - l’utilizzo che se ne è fatto dello strumento non è stato sempre positivo.
I suicidi in diretta sono, infatti, un trend che preoccupa. Non sono infatti un evento sporadico. Agli inizi di gennaio, negli USA, aveva fatto parlare di sé il suicidio di Katelyn Nicole Davis, integralmente ripreso in un video di 42 minuti. In diretta. La dodicenne si è impiccata a un albero. A nulla è valso l’intervento digitale di migliaia di utenti che la dissuadevano dall’uccidersi. La polizia non è arrivata in tempo. Il video è stato condiviso innumerevoli volte, raggiungendo facilmente YouTube e Facebook. Adesso è stato rimosso dalle testate giornalistiche principali e dai social network, ma in rete - anche con una ricerca superficiale - non è difficile da scovare.
In uno dei più famosi libri del giornalista del New Yorker Malcolm Gladwell, Il punto critico, l’autore riprende la storia di un quattordicenne della Micronesia che si è suicidato agli inizi degli anni Sessanta. In quei luoghi il suicidio era pressoché sconosciuto. Di lì agli anni Ottanta, la Micronesia divenne la nazione con il più alto tasso pro capite di suicidi (sette volte superiore a quello degli Stati Uniti). Un piccolo evento ha generato la creazione di quello che l’antropologo Donald Rubinstein ha definito “rituali della cultura locale”. E a quei tempi, i Facebook Live non esistevano.