Non è un buon anno per il Libano, fra crisi e bombe israeliane
Il 2025 si chiude in modo catastrofico per il Libano, ancora alle prese con una gravissima crisi economica e grandi proteste contro il sistema bancario. Il sud, inoltre, continua ad essere bersaglio dei raid israeliani contro Hezbollah.
Non sono state Festività natalizie serene quelle appena trascorse per il piccolo Libano ed i suoi abitanti. IDF ha continuato a bombardare ampie regioni del Paese in cerca di uomini e strutture di Hezbollah, nonostante il premier israeliano Netanyahu abbia inviato i suoi migliori auguri di Natale alle comunità cristiane del medio oriente. Il 23 dicembre un attacco aereo ha ucciso tre persone a Saida, il 25 un bombardamento ha colpito il distretto di Hermel, nord-est del Paese a centinaia di chilometri dal confine con Israele (due le vittime, secondo IDF alti papaveri di Hezbollah) e Majdal Selm, villaggio del sud (una vittima); il 26 è stata la volta del distretto di Jezzine, città cristiana ricca di santuari e di testimonianze delle predicazioni di Cristo, di Nabatiyeh e di numerose altre località del sud.
Nello stesso giorno di Santo Stefano, IDF ha inoltre colpito con artiglieria pesante due pattuglie di UNIFIL in due diverse località nei pressi della Blue Line tra Israele e Libano: a Bastarra, dove un Casco Blu di nazionalità francese è rimasto ferito - con tanto di proteste ufficiali da parte della Francia - e a Kfarchouba.
Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario Generale dell’Onu, ha condannato fermamente gli episodi, ultimi di una lunga serie di attacchi di IDF alle Forze di interposizione.
Per cercare di salvare il salvabile, dopo un’iniziale riluttanza l’esercito libanese si è infine piegato nelle ultime settimane ai desiderata americani e israeliani, risolvendosi a cercare le “armi di Hezbollah” casa per casa nei villaggi di confine, Ainata, Kuneen, Beit Lif, Beit Yahoun. Per ora nulla, a quanto si apprende, è stato trovato; le ispezioni in ogni caso continueranno perché Hezbollah dev’essere disarmato entro la fine dell’anno, con le buone o con le cattive, come da consegna USA alle istituzioni libanesi.
Dal canto suo la milizia sciita mantiene il punto; l’anziano leader Naim Qassem ha ribadito recentemente il suo netto rifiuto al “piano di disarmo israelo-americano”, motivandolo con il mancato rispetto da parte dello Stato Ebraico del Cessate il fuoco in vigore da più di un anno e continuamente violato da Idf. Simile muro contro muro non promette nulla di buono; mentre scriviamo il Primo Ministro israeliano Netanyahu incontra in Florida il Presidente Usa Trump, e a quanto si sa c’è anche il destino del Paese dei cedri sul piatto.
Il 26 dicembre non è stata una bella giornata per il Libano nemmeno dal punto di vista della politica finanziaria: il Consiglio dei ministri ha approvato a maggioranza il progetto di legge sul disavanzo, chiamato Gap Law, misura richiesta dal Fondo Monetario Internazionale come condizione necessaria per la ristrutturazione del debito estero del Paese. I libanesi, specialmente i correntisti delle banche, hanno vissuto come un tradimento l’approvazione di tale testo; una volta in vigore, esso decreterebbe ufficialmente la fine della speranza dei risparmiatori di rivedere i loro denari depositati in banca.
Per meglio comprendere l’ardua situazione finanziaria del Paese, ricordiamo che nel marzo 2020 l’allora Primo Ministro libanese Hassan Diab annunciò il default dello Stato, che per la prima volta nella sua storia non fu in grado di ripagare ai creditori stranieri la rata di 1,2 miliardi di dollari di interessi sul prestito. Da allora la lira libanese ha perso drasticamente valore rispetto al dollaro americano, anche se il tasso di cambio ufficiale, invece, è curiosamente rimasto fermo a 1500 lire per dollaro USA com’era prima della crisi finanziaria, mentre al cambio effettivo attuale un dollaro americano vale tra le 89mila e le 90mila lire libanesi.
Da quando, quasi sei anni fa, il Libano è stato dichiarato failed State - “Stato fallito” - la situazione si è velocemente aggravata: i salari si sono ridotti di dieci volte, il potere di acquisto della popolazione è precipitato e, forse la cosa più grave di tutte, i risparmi dei correntisti nelle banche sono letteralmente evaporati, trascinati dal crack degli istituti finanziari. Ciò è particolarmente deleterio per il Libano che, diversamente da altri Paesi del medio oriente, aveva una classe media solida e piuttosto estesa, a cui questa ultima crisi ha spezzato le reni; il Paese dei cedri si avvia tristemente a ingrossare le fila delle nazioni in cui, a fronte di una minima percentuale di estremamente ricchi, la maggioranza della popolazione vive sotto o quasi la linea di povertà. Dopo l’approvazione della Gap Law da parte del Consiglio dei ministri la palla ora passa al Parlamento che la dovrebbe ratificare, ma in ogni caso le cose non cambieranno di molto.
Sarà estremamente improbabile che i risparmiatori - alcuni dei quali sono stati spinti dalla disperazione a rapinare le banche dei loro stessi soldi - rientrino in possesso dei loro conti correnti: le istituzioni libanesi non possono permettersi di disattendere la richiesta - o, in altri termini, il ricatto - del Fondo Monetario Internazionale.
«Siamo tutti rovinati: sia chi aveva i soldi in banca sia chi, non fidandosi, li teneva in casa e li ha persi nei bombardardamenti israeliani» commenta amaramente Mohamed (nome di fantasia), riferendosi alle migliaia di famiglie del sud che assieme alle case hanno visto bruciare, alla lettera, anche i propri risparmi. Per la ricostruzione dell’economia libanese probabilmente occorreranno anni - se il Paese riuscirà a risollevarsi - ma la spada di Damocle di una nuova, forse imminente offensiva israeliana rende ancor più difficile fare pronostici.

