Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
DIPLOMAZIA

Sui vescovi Pechino decide, il Vaticano conferma

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La nomina di monsignor Shen Bin a vescovo di Shanghai, tre mesi dopo che la stessa nomina era stata fatta dal governo cinese in barba agli accordi del 2018, svela il vero rapporto di forze in campo. Ma in Vaticano non hanno ancora capito.

Editoriali 17_07_2023 Español
Monsignor Shen Bin

I rapporti tra Cina e Santa Sede ricordano ormai una scena con una lei che abbandona lui, che a sua volta le corre dietro implorandola di tornare a casa. È la sensazione netta che dà il trasferimento annunciato il 15 luglio dalla Santa Sede del vescovo Shen Bin dalla diocesi di Haimen a quella di Shanghai, vacante da dieci anni.

Solo che tale nomina era già stata decisa oltre tre mesi fa dal governo cinese e il 4 aprile scorso monsignor Shen Bin si era già ufficialmente insediato a Shanghai, senza il consenso della Santa Sede, in violazione dell’accordo provvisorio “segreto” dell’ottobre 2018, rinnovato nel 2020 e ancora nel 2022. Allora dalla Santa Sede venne un no comment, una richiesta di tempo per valutare la situazione. Valutazione che è arrivata contestualmente alla nomina di sabato con una intervista al Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, preparata dalla stessa Segreteria di Stato e rilasciata dalla Sala Stampa vaticana.

In sintesi Parolin da una parte denuncia la violazione degli accordi per la seconda volta in pochi mesi (a novembre 2022 c’era già stato il caso di monsignor Giovanni Peng Weizhao) senza comunque calcare troppo la mano, dall’altra esprime la volontà vaticana di proseguire il dialogo. Quanto a Shen Bin la decisione del Papa è per «sanare l’irregolarità canonica creatasi a Shanghai» avendo in mente il «maggior bene della diocesi». Il Segretario di Stato vaticano auspica comunque che tali decisioni unilaterali non si ripetano e che l’accordo venga rispettato dalla Cina; e tanto che c’è ricorda che ci sono altre tre questioni da risolvere attraverso il dialogo con il governo cinese: «la Conferenza episcopale; la comunicazione dei vescovi cinesi con il Papa; l’evangelizzazione». Visto come dopo 5 anni circa stiamo con il primo punto – la nomina consensuale dei vescovi – gli altri tre appartengono al libro dei sogni, almeno fin quando ci sarà questo regime. Da ultimo, per aiutare il dialogo, il cardinale Parolin propone «l’apertura di un ufficio stabile di collegamento della Santa Sede in Cina».

Una proposta, quest’ultima, per sottolineare ancora una volta con forza la volontà di dialogo con il governo di Pechino, ma che da un punto di vista pratico non ha molto significato, visto che i canali di dialogo aperti ci sono e che c’è già una “missione di studio” vaticana a Hong Kong che dall’anno scorso ha di nuovo due diplomatici in forza.

Ma il vero nodo di tutta la vicenda è che mentre nessuno mette in dubbio la volontà di dialogo della Santa Sede, altrettanto evidente appare che a Pechino se ne freghino altamente; e, anzi, l’accordo gli è utile per neutralizzare la Santa Sede (che non parla per non mettere a rischio il dialogo) mentre prosegue a tappe forzate il processo di “sinicizzazione” della Chiesa e la persecuzione di quanti non si sottomettono alle direttive del Partito Comunista.

La nomina dello scorso aprile di monsignor Shen Bin a Shanghai da parte delle autorità di governo è dunque chiaramente un gesto di disprezzo voluto, per affermare il potere assoluto di Pechino. E non c’è dubbio che - la si giustifichi come si vuole – la nomina ora di monsignor Shen Bin da parte del Papa, è imbarazzante e umiliante per la Santa Sede.

Alla quale non resta che implorare che non le facciano fare ancora figure di questo genere. Vale a dire che, nella migliore delle ipotesi, le prossime nomine di vescovi saranno ancora decise da Pechino ma informando la Santa Sede prima di renderle pubbliche, così da salvare l’apparenza di consensualità (comunque non è da contarci troppo).

Resta il fatto che al regime comunista cinese non interessa affatto un dialogo vero con la Santa Sede, tra pari. Ma il problema più grave – e pericoloso – è che in Vaticano non hanno ancora capito e continuano a concedere tutto senza avere nulla in cambio, sacrificando in questo modo anche i cattolici cinesi.   



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