Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CONTINENTE NERO

Sudafrica al voto. Il partito di Mandela può perdere dopo 30 anni

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Trent'anni dopo la fine dell'apartheid, il partito Anc, quello di Mandela, per la prima volta potrebbe perdere le elezioni, a causa della corruzione e della stagnazione economica.

Esteri 30_05_2024
Sudafrica, il presidente Cyril Ramaphosa al voto (La Presse)

Il 29 maggio il Sudafrica è andato alle urne per rinnovare l’Assemblea Nazionale, la camera bassa del Parlamento. L’esito del voto determinerà anche chi sarà il prossimo capo dello Stato perché spetta all’Assemblea eleggerlo. La consultazione si svolge in un clima di tensione mentre il paese sta facendo un bilancio dei 30 anni trascorsi dalla fine dell’apartheid, 30 anni ininterrottamente dominati dall’Anc, African national congress, il partito di Nelson Mandela, durante i quali è stato sempre più evidente che i nuovi leader non avevano intenzione di mantenere le promesse di sviluppo e giustizia sociale che tante aspettative avevano creato nel paese e nel mondo intero.

La situazione economica è uno dei fattori critici. Il Sudafrica è la seconda economia del continente africano, dal 2010 fa parte dei Brics, l’organismo che riunisce i paesi emergenti (gli altri sono Brasile, Russia, India e Cina), e, rispetto al 1994, il tasso di povertà si è effettivamente ridotto. Tuttavia dal 2011 il prodotto interno lordo pro capite è diminuito, passando da 8.737 dollari agli attuali 6.766. I dati relativi alla distribuzione della ricchezza peggiorano ulteriormente il quadro della situazione. Il Sudafrica infatti è il paese del mondo che registra la maggiore disuguaglianza nella distribuzione del reddito: il 20% della popolazione possiede quasi il 70% del reddito nazionale mentre i poveri, che sono il 40% del totale, ne possiedono appena il 7%.

Oltre a questo il paese, da quando è in mano alla maggioranza nera, ha accumulato un’altra serie di primati negativi. Dal 2012 il tasso annuale di crescita del prodotto interno lordo è stato in media solo dello 0,8%. Anche se è il paese africano più industrializzato, l’economia del Sudafrica non cresce abbastanza, non crea sufficienti posti di lavoro rispetto al numero di coloro che entrano ogni anno nel mercato del lavoro. Ne consegue che il tasso di disoccupazione sudafricano è tra i peggiori del mondo, cresciuto in 30 anni di 10 punti, dal 22,5% all’attuale 32,9%. Considerando le fasce d’età giovanili, i dati sono ancora più allarmanti. Solo il 56% dei sudafricani di età compresa tra 15 e 34 anni ha una occupazione, il 44% non soltanto non lavora, ma non va a scuola e non risulta neanche impegnato in corsi di formazione e di avviamento al lavoro. Il risultato è che il 60% dei giovani vive sotto la soglia di povertà. Se si considera che, su una popolazione di quasi 61 milioni di abitanti, i giovani costituiscono il 63,3% si capisce come mai la mancanza di lavoro, che è sempre un fattore di instabilità, in Sudafrica venga considerata una “bomba ad orologeria”.

Il paese detiene anche il primato degli omicidi e in generale registra livelli di violenza pressoché insostenibili. Subito dopo la fine dell’apartheid gli omicidi erano diminuiti, ma negli ultimi dieci anni sono aumentati del 77%. Nell’ultimo trimestre del 2023 in media ogni giorno sono state uccise 80 persone – circa una ogni 20 minuti – e si sono registrati più di 130 stupri. Nell’intero arco dell’anno sono state uccise più di 27mila persone e solo nel 12% dei casi i responsabili sono stati individuati il che equivale a dire che “farla franca se si uccide qualcuno è diventato normale”. Ma questo vale anche per altri reati e crimini, tanto che, ad esempio, i furgoni che trasportano denaro ormai vengono assaliti, speronati e svaligiati anche mentre percorrono le strade più trafficate.

Nei 30 anni trascorsi dalla fine dell’apartheid, infine, la corruzione ha dilagato, sfrenata e incontrastata, persino ostentata, invadendo e contaminando ogni aspetto della vita pubblica e privata, ogni settore, a ogni livello della scala sociale. Dei leader avvicendatisi alla guida del paese, forse solo Nelson Mandela ne è stato indenne, almeno a livello personale. Dopo è stato un crescendo di scandali. Sotto Jacob Zuma, il presidente che ha governato dal 2009 al 2018, la corruzione politica è diventata sistemica, ha assunto dimensioni tali da coinvolgere addirittura tutta la struttura statale, consentendo ai privati, in particolare alla famiglia indiana dei Gupta, di influenzare i processi decisionali a proprio vantaggio: un fenomeno per il quale è stata creata l’espressione “state capture”, cattura dello Stato. 

L’Anc ha inevitabilmente perso molto del credito che le ha consentito di essere finora il partito di governo. Sono sempre di più gli africani che accusano i suoi leader dei problemi che li affliggono. Alle elezioni del 2004, le terze dalla fine dell’apartheid, il partito aveva ottenuto il 70% dei voti; nel 2019 soltanto il 58%. L’attuale presidente e leader dell’Anc, Cyril Ramaphosa, concorre per un secondo mandato, ma per la prima volta la sua conferma, insieme a quella dell’Anc, non è certa. Due sono i maggiori avversari di Ramaphosa e del suo partito: John Steenhuisen, leader del secondo più importante partito, la Democratic Alliance (AD), e quindi leader dell’opposizione; e Julius Malema, leader del terzo partito per importanza, l’Economic Fredom Fighters (FFE). Propongono contro l’Anc due politiche diametralmente diverse. Steenhuisen si impegna a risanare il Sudafrica con un programma di privatizzazioni che sottragga l’economia alla corruzione politica. Al contrario, Malema, ex leader dell’organizzazione giovanile dell’Anc, vuole nazionalizzare tutte le attività produttive. Dei due chi fa più paura all’Anc è Steenhuisen.

È un bianco, però. Molti in questo momento si domandano se il Sudafrica sia pronto per un presidente bianco.