Su Siri è uno scontro politico più che un caso giudiziario
Il sottosegretario Siri è nel mirino, al centro di un caso giudiziario che potrebbe anche portare alla caduta del governo Conte. La Lega vuole evitare a tutti i costi ogni sospetto di legame con la mafia. Mentre i 5 Stelle vorrebbero ripristinare la loro nomea giustizialista per riconquistare gli elettori, in vista delle prossime europee.
Il Presidente del Consiglio è a Pechino e sul caso Siri deciderà forse la prossima settimana. Nei giorni scorsi ha lasciato intendere che per motivi di opportunità politica potrebbe chiedere al sottosegretario leghista di fare un passo indietro, ma non si è ancora sbilanciato. Potrà “licenziarlo” con un atto formale, un decreto del Presidente della Repubblica che lo rimuova dalla poltrona che ricopre al governo (sottosegretario al Ministero dei trasporti e delle infrastrutture) lasciandolo in carica come senatore.
Se la polemica dovesse crescere di tono, è possibile che sia il diretto interessato a togliere il disturbo e a sollevare dall’imbarazzo Matteo Salvini e il Carroccio, che pure, allo stato, continuano a difenderlo a spada tratta. Ma sarebbe sbagliato trattare da caso giudiziario quello che è invece un vero e proprio caso politico, strumentalizzato da una parte e dall’altra per opposte ragioni. La Lega vuole in tutti i modi allontanare le ombre di possibili legami con la mafia e teme che l’allontanamento di Siri possa produrre un enorme danno d’immagine; i Cinque Stelle, in calo di consensi anche per aver salvato dal processo per la Diciotti l’alleato Matteo Salvini, ora cercano di rilanciarsi tornando a sventolare la bandiera del giustizialismo forcaiolo e manettaro, nel tentativo di recuperare voti a sinistra.
Ieri si è saputo che i magistrati di Roma hanno depositato al Tribunale del Riesame l'informativa della Dia in cui sarebbe riportata anche l'intercettazione ambientale che coinvolgerebbe il sottosegretario Armando Siri. Il quotidiano La Verità aveva addirittura messo in discussione l’esistenza di quella intercettazione, che peraltro non è ancora nella disponibilità delle parti. A quanto pare, però, l’intercettazione ci sarebbe ma potrebbe essere stata in parte alterata. Presto se ne saprà di più.
Siri è indagato per corruzione insieme ad altre nove persone. L’indagine ipotizza uno scambio di favori, utilità e denaro per agevolare aziende considerate vicine a un imprenditore dell'eolico ora in carcere, Vito Nicastri. Siri, tramite Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia responsabile del programma della Lega sull'Ambiente, secondo l'accusa avrebbe ricevuto denaro per modificare una norma da inserire nel Def 2018 che avrebbe favorito l'erogazione di contributi per le imprese che operano nelle energie rinnovabili. Norma mai approvata.
All’apparenza, quindi, sembrerebbe un tentativo di corruzione di un politico da parte di ambienti considerati vicini alla mafia. In realtà potrebbe trattarsi della classica “polpetta avvelenata” di una parte della magistratura nei confronti del Carroccio, che nei sondaggi vola e che in caso di exploit nelle urne del 26 maggio potrebbe essere tentato di far saltare il tavolo dell’esecutivo, provocando il ricorso a elezioni anticipate. I Cinque Stelle potrebbero uscire con le ossa rotte dal voto per Strasburgo e quindi non farebbero i salti di gioia se il governo cadesse. Di qui i tentativi di normalizzazione e sterilizzazione dell’attuale quadro politico da parte di forze occulte che tramerebbero per indebolire la Lega affinchè non alzi troppo la cresta con l’alleato pentastellato e continui nell’attuale esperienza di governo.
Non è un caso che ad essere tirato in ballo sia il potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, uomo chiave negli equilibri governativi. In un’intervista al quotidiano La Stampa, l’ex governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ha paventato il rischio di una crisi di governo sul caso Siri, precisando, tuttavia, che il vero problema non sarebbe tanto quello del sottosegretario alle infrastrutture bensì quello dell’assunzione a Palazzo Chigi di Federico Arata, figlio di Paolo. L’assunzione è stata decisa dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, che non ha preso bene le parole di Maroni: "Maroni gufa un po' - è il suo commento - sta semplicemente cercando di rientrare in gioco. Non credo proprio di essere un problema per il governo. Anzi io lavoro tutti i giorni per questo governo e credo di risolverli i problemi". Giorgetti ha anche difeso il suo collaboratore: "Fino a tre settimane fa qualcuno sapeva della famiglia Arata? No, e nemmeno io... Federico Arata ha tutte le carte in regola per far parte del mio staff, tra l'altro è finito nel tritacarne prima ancora di aver cominciato a lavorare".
I Cinque Stelle ovviamente hanno preso la palla al balzo dopo le critiche di Maroni a Giorgetti: "L'intervista di Maroni conferma che c'è un problema all'interno della Lega sul caso Arata-Siri. Ebbene, visto che Maroni indica il braccio destro di Salvini, Giorgetti, come il vero problema, allora gli chiediamo di andare in Procura, se sa qualcosa. Depositi tutto dai magistrati, lo faccia per il bene del Paese".
Comunque vada a finire il caso Siri, le distanze tra Lega e Cinque Stelle sono destinate ad aumentare. Non si tratta solo di campagna elettorale. Le divisioni sono reali e sostanziali. I Cinque Stelle hanno finora usato due pesi e due misure, assolvendo i propri rappresentanti, indagati o addirittura rinviati a giudizio (vedi sindaco di Roma, Virginia Raggi), e chiedendo le dimissioni degli altri. La Lega, già sotto assedio mediatico-giudiziario per quanto riguarda i famosi 49 milioni di fondi pubblici spariti e un presunto utilizzo di soldi pubblici per fini privati (vedi ultime inchieste del settimanale L’Espresso), non può permettersi troppi fronti aperti e il caso Siri potrebbe rivelarsi logorante sul piano dell’immagine.
Ma la questione è un’altra. Il contratto di governo Lega-Cinque Stelle prevede l’obbligo di dimissioni di un membro del governo solo se rinviato a giudizio, e Siri non lo è. Se si dimettesse o venisse rimosso, si creerebbe un pericoloso precedente e prevarrebbe l’idea che le Procure, anche con un avviso di garanzia, possono determinare il corso delle vicende politiche. In Italia è stato spesso così. Lo sarà anche questa volta?