Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ATTO ARBITRARIO

Strickland, i motivi della rimozione sono inconsistenti

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Mancanza di comunione con i vescovi USA, mancanza di supporto al Sinodo sulla sinodalità e a Traditionis Custodes. Questi i motivi per cui mons. Strickland sarebbe stato rimosso dalla guida della diocesi di Tyler. Motivi fumosi, per un atto pontificio così grave.

Ecclesia 18_11_2023

È probabile che a monsignor Joseph Strickland, di recente sollevato dal suo incarico da papa Francesco, qualche imprudenza la si possa rimproverare. Anzitutto, perché Twitter non è il luogo ideale per l’apostolato di un vescovo (e forse nemmeno per l’apostolato in generale): poche righe facilmente tradiscono il pensiero reale di una persona, ancor più se quel “pensiero” riguarda la fede. E così una frase come «rigetto il suo [del Papa] programma di compromettere la fede» (tweet del 12 maggio 2023) non poteva che essere interpretata nel peggiore dei modi.

Si potrebbe anche questionare sull’opportunità di quella lettera di un suo amico, letta durante una conferenza a Roma, nella quale si metteva in questione la legittimità dell’autorità del Papa. Mons. Strickland non ha certamente aderito a quel contenuto; al contrario ha chiarito che egli crede che Francesco sia il Papa. Ma è chiaro che è difficile giudicarla una scelta felice, dal momento che Strickland è da tempo un vescovo nel mirino.

Intervistato da Raymond Arroyo nella puntata del 16 novembre della trasmissione The World Over, l’ormai vescovo emerito di Tyler ha svelato i capi di accusa che gli sarebbero stati imputati durante il suo colloquio con il nunzio apostolico, il cardinale Christophe Pierre: mancanza di comunione con i confratelli dell’episcopato statunitense, mancanza di supporto al Sinodo sulla sinodalità e mancanza di implementazione del motu proprio Traditionis Custodes. Strickland ha altresì affermato che nessuna violazione canonica gli sarebbe stata contestata. E, sempre secondo la sua testimonianza, già due anni fa da Roma gli avrebbero fatto sapere di non gradire affatto la sua insistenza sulla custodia del depositum fidei.

Le motivazioni addotte dal nunzio, evidentemente su disposizione del Papa, non rendono ragione di un atto così grave come la rimozione di un vescovo. Da quando non essere d’accordo con i confratelli vescovi costituirebbe di per sé un atto da sanzionare? D’accordo o in disaccordo su cosa? E poi, di quali confratelli si sta parlando? Di McElroy o di Cordileone? Stando alla frecciata (vedi qui) che mons. Timothy Broglio, presidente della Conferenza episcopale statunitense, ha lanciato al nunzio per le sue provocatorie esternazioni sulla rivista dei gesuiti America, nelle quali in sostanza rimproverava ai vescovi a stelle e strisce un ritardo nell’applicazione della “sinodalità”, non sembra che l’episcopato americano sia proprio così compatto nell’accettare qualunque cosa venga da Roma.

Che cosa significa supportare il Sinodo sulla sinodalità? Da quando un Sinodo dei vescovi sarebbe vincolante e non ammetterebbe possibilità di dissenso? Perché sarebbe un problema ricordare, come ha fatto Strickland, che al Sinodo si stanno mettendo in discussione questioni che la Chiesa ha già chiarito in modo definitivo da tempo?

Quale sarebbe stata l’implementazione di Traditionis Custodes che il vescovo avrebbe dovuto mettere in atto? A noi risulta che, nella sua diocesi, la Messa in rito antico venga celebrata nella parrocchia St. Joseph the Worker a Tyler, affidata alla Fraternità Sacerdotale San Pietro, accolta in diocesi nel 2003 dal vescovo di allora, mons. Alvaro Corrada. Ora, era stato papa Francesco in persona ad assicurare, in un’udienza privata del 4 febbraio 2022, che il motu proprio non si applicava a loro né a quegli istituti che hanno avuto nelle proprie costituzioni il riconoscimento di utilizzare i libri liturgici antichi. Il Papa lo aveva scritto nero su bianco in un decreto che era stato poi consegnato al superiore del Distretto francese della FSSP, l’abbé Benoît Paul-Joseph, e al rettore del seminario Saint-Pierre di Wigratzbad, l’abbé Vincent Ribeton. Dunque, cosa avrebbe dovuto fare Strickland? Proibire al sacerdote della FSSP di celebrare nel rito antico, andando così contro il decreto del Papa? Cacciarli dalla propria diocesi senza alcuna ragione, lasciando così numerosi fedeli senza pastore? Perché ‒ è bene ricordarlo ‒ si tratta di una vera e propria parrocchia, non di un semplice centro di Messa.

Anche Benedetto XVI rimosse numerosi vescovi dalle proprie sedi, ma si trattava di questioni legate ad abusi, a gravi scandali finanziari o a diocesi completamente allo sbando. Questo pontificato, invece, si contraddistingue per la rimozione di vescovi che perfetti non saranno, ma non risultano gravi omissioni a loro carico nella missione pastorale. Strickland ha perciò ragione da vendere quando denuncia «i numerosi vescovi che sono ancora al loro posto, strettamente connessi allo scandalo McCarrick». Ma i contrasti sono ancora più marcati quando si pensa che il vescovo di Anversa, mons. Johan Bonny, non ha subito nessuna sanzione nonostante abbia di recente contraddetto semplicemente il Quinto Comandamento e si sia posto in opposizione con tutto il Magistero della Chiesa sul fine-vita, aprendo, in alcune circostanze, all’eutanasia (vedi qui). I tweet imprudenti di Strickland pesano più della violazione dei Comandamenti di Dio?

Mons. Strickland ha poi più volte ribadito di riconoscere che il Papa ha certamente l’autorità di rimuovere un vescovo, ma che lo faccia con giustizia o meno non è indifferente. La sua accettazione della decisione di Francesco non rimuove il problema di fondo: che cosa accade se un vescovo può essere sollevato dal suo incarico semplicemente perché non è d’accordo con gli altri vescovi? O non sostiene una nebulosa “sinodalità”?

È una domanda che ogni vescovo dovrebbe farsi, non solo perché, come si suol dire, la vita è una ruota che gira, ma anche perché il rischio che il vescovo venga sempre più inteso di fatto come una figura amministrativa e non come un vero successore degli Apostoli è piuttosto alto. La Chiesa cattolica è un’impresa che può rimuovere i suoi dirigenti se non seguono la linea aziendale? Se non sanno fare gruppo? Se sono troppo indipendenti nella loro azione?

Il cardinale Gerhard Müller aveva fatto presente che, nel caso del vescovo di Tyler, ci si trova davanti ad «un abuso di ufficio contro il diritto divino dell’episcopato». Appunto. La sensazione è che il Papa stia letteralmente soffocando l’autorità dei vescovi su due fronti: paralizzandola e dissolvendola nelle sempre più invadenti strutture e dinamiche sinodali, e decapitandola nel caso di vescovi resistenti al trattamento sinodale. Pare la traduzione ecclesiale della tecnica di molti regimi, sempre attenti a rendere ininfluenti le autorità intermedie: usare la democrazia per imporre il pensiero unico, e sospenderla improvvisamente per eliminare quanti non si allineano.



RESA DEI CONTI

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IL CASO

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