Strage a Teheran, detonatore della faida nel Golfo
L’attacco terroristico al Parlamento iraniano e al mausoleo di Khomeini a Teheran confermano l’escalation della crisi in atto da anni tra il blocco sunnita guidato dai sauditi e dalle monarchie del Golfo e l’alleanza sciita guidata dall’Iran. In mezzo alla quale si inserisce anche la faida fra sunniti, fra sauditi (wahhabiti e salafiti) e Qatar (e Fratelli Musulmani). Un confronto molto ampio. Che coinvolge direttamente anche l'Europa, dove le parti in causa investono in modo massiccio per contendersi i fedeli musulmani.
L’attacco terroristico al Parlamento iraniano e al mausoleo che celebra l’ayatollah Khomeini confermano l’escalation della crisi in atto da anni tra il blocco sunnita guidato dai sauditi e dalle monarchie del Golfo e l’alleanza sciita guidata dall’Iran che coinvolge i governi di Iraq e Siria. Indipendentemente dal fatto che gli attacchi a Teheran siano stati effettuati dall’Isis (che ha rivendicato subito) o da gruppi di opposizione finanziati dagli arabi (come i Mujhaiddin Khalq) il confronto tra sciiti e sunniti sembra destinato a ingigantirsi dopo la visita di Donald Trump a Riad.
Il presidente Usa non solo ha accusato l’Iran di sostenere il terrorismo islamico (un’assurdità non solo perché è di matrice sunnita ma soprattutto perché furono i pasdaran iraniani, non i marines Usa o la Guardia Nazionale saudita, a impedire tre anni or sono al Califfato di prendere Baghdad), ma ha alimentato con la promessa di gigantesche forniture militari uno sforzo contro l’Iran che potrebbe avere presto connotati bellici, in vista dei quali le azioni terroristiche a Teheran potrebbe avere il ruolo di “detonatori” della conflittualità.
Anche se in Europa politica e media se ne sono sempre occupati molto poco, da almeno tre anni è in atto un violento scontro all’interno dell’islamismo sunnita tra le correnti salafita/wahhabita (cui si richiamano molti partiti, milizie e gruppi eversivi quali al-Qaeda e lo Stato Islamico) e la Fratellanza Musulmana. Uno scontro che si inserisce nel contesto della guerra tra sciiti e sunniti soprattutto perchè i sauditi hanno interesse ad emarginare il rivale Qatar additandolo come un “traditore”, alleato degli sciiti e dell’Iran. Il confronto interno al mondo sunnita che in realtà esiste da quasi un secolo, quando da Hassan al-Banna fondò il movimento dei Fratelli Musulmani, ma che si è ingigantito quando le “primavere arabe” hanno determinato la caduta di molti regimi arabi lascando vuoti di potere che le monarchie del Golfo dovevano evitare potessero lasciare spazio a democrazie compiute di stampo occidentale.
Il confronto tra le due ideologie infatti non è sugli obiettivi da perseguire, tutti puntano a instaurare uno Stato dominato dalla sharia, ma sui metodi politici. Non a caso quando si tennero le elezioni del 2012 in Egitto, il Qatar spese molti milioni per sostenere i Fratelli Musulmani (vincitori) e i sauditi altrettanto denaro per sostenere il partito salafita. Schematicamente, Salafiti e Wahabiti definiscono la democrazia “demoniaca” mentre i Fratelli Musulmani la considerano lo strumento per rovesciare regimi tirannici e monarchie assolute con il voto popolare, per poi costruire sul voto lo Stato Islamico.
Almeno due gli esempi più evidenti di potere dei Fratelli Musulmani. Il governo egiziano di Mohammed Morsi, salito al potere in seguito alle elezioni del 2012 e rovesciato un anno dopo, mentre cercava di imporre l’islamizzazione dello Stato egiziano, da rivolte popolari sostenute dai militari del generale Abdel Fattah al-Sisi, l’attuale presidente appoggiato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU). L'altro esempio è il regime turco di Recep Tayyip Erdogan che sta applicando il programma della Fratellanza per islamizzare la laica società turca. Erdogan gode infatti dell’appoggio di Doha (ricambiato ora nella crisi con Riad) e insieme i turco-qatarini esercitano una fortissima influenza sulla regione libica della Tripolitania. Anche il movimento palestinese Hamas, che controlla Gaza, sostenuto da Iran e Qatar, è stato membro della Fratellanza Musulmana applicandone il programma politico, ma ha ufficialmente rotto con il movimento il mese scorso, cercando un riavvicinamento a Riad.
Il confronto tra sauditi e Qatar era già esploso aspramente nel 2014 ma venne ricomposto grazie al progetto comune di far cadere il regime siriano con la costituzione dell’Esercito della Conquista che riunì sotto una sola bandiera le milizie jihadiste rivali (salafite filo-saudite, di al-Qaeda-Fronte al-Nusra e della Fratellanza filo Qatar) che vennero poi sconfitte in tempi recenti ad Aleppo e in altri settori grazie all’intervento militare russo.
Del resto il confronto ideologico è evidente anche in Europa dove Salafiti e Fratelli Musulmani si contendono, a suon di petrodollari da Qatar e Arabia Saudita, il controllo di moschee e fedeli in nome di un islam che non ha nulla di moderato. L’Italia parrebbe essersi schierata (forse senza esserne consapevole) col Qatar giacchè ha affidato all’Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia, espressione della Fratellanza Musulmana) la “deradicalizzazione” nelle carceri dei jihadisti di ispirazione salafita/wahabita. Qatar e Arabia Saudita sono membri della Coalizione contro lo Stato Islamico anche se non hanno mai ricoperto un reale ruolo militare contro un nemico che gode di ampi sostegni presso l’opinione pubblica sunnita delle monarchie del Golfo. Riad e Doha combattono i ribelli sciiti Houthi nello Yemen anche se ora il diktat saudita ha indotto gli altri Stati sunniti a estromettere il Qatar da questa alleanza anti-iraniana dopo che Doha aveva ritirato le sue truppe dallo Yemen.
Il Qatar è inoltre un acerrimo nemico di Bashar Assad, proprio come i sauditi e le altre monarchie del Golfo mentre può apparire paradossale anche che il Qatar, per contrastare l’egemonia saudita, cavalchi la Fratellanza Musulmana pur essendo anch’esso un emirato dominato da una monarchia assoluta ed ereditaria dove non si sono mai tenute elezioni. In Libia il Qatar sostiene le forze della Tripolitania mentre Egitto, sauditi ed EAU appoggiano il maresciallo Haftar, Doha finanzia non solo i Fratelli Musulmani ma anche il partito salafita al-Watan fondato dall’ex qaedista Abdelhakim Belhadj. Nel 2011 i fondi di alcune organizzazioni caritatevoli islamiche qatarine fornirono armi e danaro a diversi gruppi jihadisti che presero il controllo del Nord del Malì al punto che Parigi rischiò di arrivare ai ferri corti con la monarchia araba tradizionalmente molto legata alla Francia.
Ciò detto le accuse rivolte a Doha di sostenere il terrorismo fanno un po’ ridere se espresse da Riad e dalle altre capitali del Golfo considerando gli oltre 3mila volontari sauditi che combattono con l’Isis e i fondi inviati al Califfato attraverso le blande leggi bancarie del Kuwait. Paradossale anche che Donald Trump accusi il Qatar di sostenere i terroristi, quando proprio in quell’emirato gli USA dispongono della loro più importante base aerea in Medio Oriente, quella di al-Udeid.