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JIHAD

Strage a Istanbul, il prezzo dell'ambiguità di Erdogan

Sempre più credibile la pista dello Stato Islamico per l’attentato che ha devastato l’aeroporto Ataturk di Istanbul uccidendo decine di persone. E' il quinto attacco in un anno e rischia di distruggere il turismo in Turchia. Prima alleato segreto, poi nemico dell'Isis, Erdogan paga gli effetti collaterali della sua ambigua politica.

Esteri 30_06_2016
Aeroporto Ataturk, il momento dell'esplosione

Sempre più credibile la pista dello Stato Islamico per l’attentato che ha devastato l’aeroporto Ataturk di Istanbul uccidendo decine di persone almeno un quarto dei quali stranieri.

Non solo per la modalità suicida dell’attacco ma anche perché le autorità turche ritengono i responsabili fossero cittadini stranieri, probabilmente foreign fighters dell’Isis. In tutto 7 persone: 3 uccise, una catturata e 3 in fuga. Fonti di polizia parlano apertamente della pista dell’Isis mentre il presidente Recep Tayyp Erdogan ha sottolineato che la strage è stata compiuta durante il Ramadan.

Solo 20 giorni fa, Istanbul era stata colpita da un altro attacco bomba vicino all'Università statale, che aveva fatto 12 morti ed era stato rivendicato dal gruppo estremista curdo Tak (i “Falchi Curdi”). A gennaio e marzo, altre 2 azioni terroristiche, attribuite all'Isis: quella nel centro turistico di Sultanahmet, in cui sono morti 12 tedeschi, e quello nella via dello shopping Istiklal, che ha ucciso 4 turisti. Altri 2 attacchi quest'anno hanno colpito la capitale Ankara, con decine di morti, mentre più di 100 persone avevano perso la vita in quello del 10 ottobre contro un corteo filo-curdo, sempre nella capitale turca.

Ora, questo nuovo attentato rischia anche di dare il colpo di grazia al turismo, che a maggio aveva fatto registrare il crollo peggiore dal 1994. Una strategia tesa a minare l’economia nazionale che i jihadisti hanno già attuato con successo in Egitto e Tunisia. A differenza di altri Paesi presi di mira dall’Isis per la loro lotta al terrorismo islamico, la Turchia è in parte causa del suo male per le ambiguità del governo di Ankara nel rifornire di armi, munizioni, assistenza logistica e sanitaria alle forze dello Stato Islamico. Per anni il Califfato è stato coccolato dai turchi insieme ad altri gruppi islamisti che combattono il regime di Bashar Assad: un supporto anche finanziario come è emerso dalle migliaia di autobotti che vendevano in Turchia il greggio estratto nei pozzi petroliferi in Iraq e Siria occupati dallo Strato Islamico.

Un appoggio decisivo per le vittorie dell’Isis, prolungatosi fino alla battaglia di Kobane ra curdi e Isis, in cui emersero foto di truppe turche e jihadisti del Califfo che fraternizzavano alla frontiera siro-turca. Negli ultimi mesi turchi e arabi del Golfo, anche in seguito alle pressioni statunitensi, hanno abbandonato l’Isis concentrando il proprio appoggio sull’Esercito della Conquista, alleanza islamista tra i qaedisti del Fronte al-Nusra, Salafiti filo sauditi e Fratelli Musulmani sostenuti dal Qatar: un’alleanza ostile all’Isis anche se ha in comune col Califfato l’obiettivo di trasformare la Siria in uno stato retto dalla sharia.

La perdita del supporto turco ha influito non poco sulle capacità belliche dell’Isis, soprattutto in termini logistici, finanziari e sanitari poiché i miliziani feriti venivano curati negli ospedali del sud della Turchia. La risposta di al-Baghdadi non è stata solo affidata ai commando terroristici ma anche a pesanti offensive lungo il confine turco-siriano effettuate in risposta ai bombardamenti aerei e di artiglieria turchi tesi a favorire i rivali dell’Isis legati ad al-Qaeda.

Già in guerra con i curdi “di casa” (movimenti PKK e TAK)  e con quelli di Siria accusati di sostenere il PKK, Ankara si trova molto esposta dopo aver rinunciato di fatto al principio sancito dallo stesso Erdogan nel 2002 e basato sul concetto “nessun problema con i vicini”. La Turchia oggi ha invece problemi con tutti i vicini, per questo Erdogan ha riallacciato rapidamente, rinunciando a un po’ del suo orgoglio, le relazioni con Israele e con la Russia, complice anche l’embargo turistico ed economico di Mosca che stava colpendo duramente l’economia turca mettendo in forse anche la realizzazione del gasdotto che porterà in Turchia il gas russo. Un elemento che dimostra l’efficacia delle scelte attuate da Israele e Russia di affrontare Erdogan in modo inflessibile e usando le leve economiche a differenza di quanto ha fatto l’Unione Europea, subito prostratasi ai piedi del presidente turco cedendo alle sue richieste di 6 miliardi di euro e di abrogazione dei visti per i turchi in Europa in cambio dello stop ai flussi di clandestini lungo la cosiddetta “rotta balcanica”. Una valutazione che ancora una volta ridicolizza la Ue e soprattutto la Germania di Angela Merkel che ha trattato direttamente con Erdogan i termini dell’intesa poi “imposta” da Berlino alla Ue.

Se il governo di Ankara fa pagare ai suoi concittadini il prezzo della sua ambigua politica filo-jihadista è altrettanto vero che l’attentato di Istanbul mostra ancora una vota la vulnerabilità delle grandi metropoli e delle sue infrastrutture, “soft target” a disposizione di terroristi pronti a immolarsi pur di provocare il massimo delle vittime tra i civili.